Alessia Lanini

DA ADAMO AGLI APOSTOLI

Una panoramica di tutta la Bibbia basata sul testoin sé

Volume (da definire)

Scuola elementare di cristianesimo

Dialoghi sulla prima lettera di Paolo ai Corinzi, condotti da Fernando De Angelis

BOZZA 1 DEL DIALOGO 26: 1CORINZI 11:27-34     

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1. Premessa     
2. Non prendere la Cena del Signore con superficialità (11:27-30)    
3. Essere corretti non significa essere condannati (11:31-32)        
4. Non è scontato che Gesù sia presente tra i credenti (11:33-34)   

Dialogo 26

1CORINZI 11:27-34     

1. PREMESSA

Nell’ultima parte del capitolo 11 troviamo questioni su cui ci siamo già soffermati, quindi non ci dilungheremo. Inoltre, questo passo e i restanti capitoli sono ben comprensibili, seppure poco messi in pratica. Questo perché ogni chiesa ha fatto le sue scelte e vuole mantenerle, perciò trova il modo per neutralizzare le istruzioni di Paolo. Così succede che di solito si mantiene la tradizione del proprio gruppo, anziché adeguarla alla Parola di Dio.

2. NON PRENDERE LA CENA DEL SIGNORE CON SUPERFICIALITÀ (11:27-30)

«Perciò, chiunque mangerà il pane o berrà dal calice del Signore indegnamente sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ora ciascuno esamini se stesso, e così mangi del pane e beva dal calice» (11:27-28).

Il modo di celebrare la Cena del Signore non può essere solo frutto di un accordo fra i responsabili. La chiesa non è un club di amici e quindi occorre anche l’approvazione di Gesù. È a lui che si riferisce ogni gesto, perciò lui non è indifferente sul come si svolge. Gesù è molto paziente, ma perseverando in abitudini scorrette, la sua ira potrebbe anche accendersi, portando a spiacevoli conseguenze.

«Poiché chi mangia e beve, mangia e beve un giudizio contro se stesso, se non discerne il corpo del Signore» (11:29).

Il pane e il vino rappresentano senza dubbio il corpo e il sangue di Gesù. In 1Corinzi 10:16 è scritto: «Il calice della benedizione, che noi benediciamo, non è forse la comunione con il sangue del Messia? Il pane che noi rompiamo non è forse la comunione con il corpo del Messia?». Sappiamo poi che è lo stesso Gesù ad averlo confermato nell’Ultima Cena (Mat 26:29; Mar 14:22-25; Luca 22:19-20).

Il corpo del Signore è da discernere dunque nel pane, ma anche nella chiesa, definita il corpo del Signore in 1Corinzi 12:12, dove troviamo scritto: «Poiché, come il corpo è uno e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, benché siano molte, formano un solo corpo, così è anche del Messia». Pertanto, quando la chiesa fa la Cena del Signore, Gesù è simboleggiato non solo dal pane e dal vino, ma anche dalla chiesa stessa.

«Per questo motivo molti fra voi sono infermi e malati, e parecchi muoiono» (11:30).

Paolo dice «per questo motivo», ovvero perché si accostavano ai simboli del pane e del vino con superficialità. Il motivo non era il loro essere peccatori, in quanto la Cena del Signore è proprio per loro, che la prendono confessando il proprio peccato. Se però qualcuno la prende senza rispetto per Gesù, le conseguenze possono essere infermità, malattia e morte.

In genere nelle chiese, celebrando la Cena del Signore, la lettura si ferma al versetto precedente, perché questo versetto smonta presupposti consolidati e turberebbe molti. Infatti, alcuni pensano che Gesù sia ora tutto e solo grazia, senza più alcuna legge, e che nessuno possa giudicare alcuno, ma che siamo in una libertà senza responsabilità.

Su questo tema non ci dilunghiamo, avendolo già affrontato nell’Approfondimento n. 6 del Dialogo 8, intitolato “Dobbiamo o non dobbiamo giudicare?”. Lo abbiamo visto anche nel Dialogo 22, commentando 1Corinzi 10:1-13, dove c’è il parallelismo tra la chiesa e l’Esodo, in cui la chiesa viene avvertita di non pensarsi così diversa da quelli che morirono nel deserto. Gli “Atti degli Apostoli” sono definibili anche come “Atti dello Spirito Santo” e ci mostrano come Dio si è comportato nel Nuovo Testamento e perciò come si comporta anche oggi.

In Atti 5:1-11 viene raccontato come Dio eseguì subito la sentenza verso Anania e Saffira, che erano pienamente interni alla chiesa. Essi avevano mentito e vennero puniti di morte. In Atti 12:20-23 troviamo un altro giudizio di Dio, quello dell’Erode che aveva fatto uccidere Giacomo, punito anch’egli di morte. I parallelismi con Esodo sono chiari, confermandoci come Dio sia sempre lo stesso, nell’Antico come nel Nuovo Testamento. Dunque, non illudiamoci che Dio sia diventato un bonaccione e che possiamo prenderlo in giro, comportandoci come ci pare e fingendo, perché poi le conseguenze ci sono.

Se uno va dicendo che i funghi velenosi non esistono, quelli che gli credono e mangiano tutti i funghi muoiono presto. Chi faceva girare tale falsa voce è quindi accusabile di omicidio colposo o di istigazione al suicidio. Paolo avverte che, prendendo la Cena del Signore con superficialità, «molti fra voi sono infermi e malati, e parecchi muoiono» (v. 30). C’è però chi dice: «Ma no! Non c’è nessun pericolo, possiamo stare tranquilli, perché tanto Gesù perdona i peccatori». Chi rassicura falsamente si rende colpevole di istigazione al suicidio, portando le persone a credere che ci sia solo la grazia, senza alcun giudizio e conseguenza per il peccato.

Bisogna però fare attenzione anche all’altro estremo, perché ci sono anche quelli che hanno paura di tutto e vivono con l’ansia: per una possibile punizione di Dio o per un poter scadere dalla grazia. Come in ogni cosa, dunque, è fondamentale mantenere l’equilibrio che troviamo nella Parola di Dio. Sapendo che Dio è benevolo e lento all’ira, possiamo stare tranquilli, se non insistiamo nel fare i furbi.

3. ESSERE CORRETTI NON SIGNIFICA ESSERE CONDANNATI (11:31-32)

«Ora, se esaminassimo noi stessi non saremmo giudicati; ma quando siamo giudicati siamo corretti dal Signore, per non essere condannati con il mondo» (11:31-32).

Qui Paolo vuole dire che «se esaminassimo noi stessi», evidentemente alla luce dello Spirito Santo, «non saremmo giudicati», perché riusciremmo a riconoscere il nostro errore e portarlo a Gesù, per essere ricoperti dalla sua grazia. Se però ci tappiamo le orecchie e vogliamo in tutti i modi percorrere una strada sbagliata, allora soffochiamo lo Spirito in noi, rendendo impossibile esaminarci alla sua luce.

L’essere «giudicati» è reso da Paolo anche come essere «corretti» e perciò possiamo considerarlo come l’essere «puniti». E questo non significa essere «condannati». Infatti, Paolo ci dice che l’essere ripresi da Dio ci permette proprio di non essere condannati, che significherebbe essere allontanati da Dio eternamente. Su questa distinzione, comunque, ci siamo soffermati nell’approfondimento n. 1 del Dialogo 2, intitolato “Si può perdere la salvezza? L’equilibrata risposta della Bibbia”. Nella 1Corinzi abbiamo trovato questo concetto in 3:14-15, dove è scritto: «Se l’opera che uno ha costruita sul fondamento rimane, egli ne riceverà ricompensa; se l’opera sua sarà arsa, egli ne avrà il danno; ma egli stesso sarà salvo; però come attraverso il fuoco». Come anche in 5:5, quando Paolo scrive, riguardo al fornicatore impenitente: «Ho deciso che quel tale sia consegnato a Satana, per la rovina della carne, affinché lo spirito sia salvo nel giorno del Signore Gesù». Nella Lettera agli Ebrei troviamo che «il Signore corregge quelli che egli ama, e punisce tutti coloro che riconosce come figli» (7:6). Essere oggetto della correzione di Dio non significa perciò essere odiati da lui, ma che siamo amati e che desidera farci maturare nella fede.

4. NON È SCONTATO CHE GESÙ SIA PRESENTE TRA I CREDENTI (11:33-34)

«Dunque, fratelli miei, quando vi riunite per mangiare, aspettatevi gli uni gli altri. Se qualcuno ha fame, mangi a casa, perché non vi riuniate per attirare su di voi un giudizio. Quanto alle altre cose, le regolerò quando verrò» (11:33-34).

L’invito a mangiare a casa prima, se uno ha fame, trasforma quella che era una cena completa, facendola assomigliare ad una merenda, successivamente la Chiesa la farà divenire un pasto simbolico, fino a ridurlo a un’ostia in certi casi.

«Perché non vi riuniate per attirare su di voi un giudizio» (v. 34). Ci sono credenti contenti di andare al culto la domenica per godere della presenza del Signore Gesù e spesso tornano a casa soddisfatti. In altri casi ci si riunisce con un atteggiamento sbagliato, che disonora Gesù, potendo così attirare su di noi un giudizio, fino a far diventare una maledizione l’incontrarsi. Gesù ha promesso che «dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mat 18:20). Se però in una chiesa c’è un atteggiamento di superficialità e l’incontro non è veramente nel nome di Gesù, allora può darsi che Gesù non sia presente.

Ad ogni modo, Gesù era ancora presente nella chiesa di Sardi, che era agonizzante (Apo 3:1-2), e anche in quella di Laodicea, la quale gli faceva venire da vomitare (Apo 3:16). Egli continuava a sperare per queste chiese e a non spegnere il loro lucignolo fumante fino all’ultimo. Non affrettiamoci perciò a emettere “sentenze di morte”, dicendo: «No, ma in questa chiesa Gesù non c’è, perché non c’è abbastanza zelo e non sono sufficientemente bravi». Sono molte le chiese che Dio mantiene e fa sviluppare al di là delle debolezze umane, mostrando il suo amore verso coloro che lo ricercano, seppure in modo imperfetto.

Come incoraggiamento, riportiamo un esempio estremo realmente successo. In un paesino di montagna era rimasto un solo credente, a causa delle liti tra i membri. Lui comunque continuò ad andare nel locale di culto ogni domenica: apriva la chiesa, pregava e poi tornava a casa. Dopo qualche tempo, c’era di nuovo un bel gruppo di credenti. Dio non ha spento quel lucignolo fumante, ma lo ha anzi ravvivato.

Qualcuno ha detto che «la chiesa è certamente un’opera di Dio, perché nemmeno gli uomini riescono a distruggerla», anche quando ce la mettono tutta per farlo, perché Dio è più forte di tutte le nostre debolezze. Non è un caso che la chiesa duri da più di 2000 anni e si sia diffusa in tutto il mondo. Poter avere comunione con altri credenti è un bel dono che Dio ci fa, anche se capita che a volte i fratelli ci trattino come Giuseppe, buttandoci nella cisterna e vendendoci (Gen 37:12-28). Dio però ci dà modo di ritrovare anche quelli, dai quali ha poi tratto un bel popolo (Gen 42-49:28).

La chiesa è il corpo di Gesù (1Cor 12:27) e, se lo discerniamo, quando vediamo la chiesa lacerata e sofferente ci dovrebbe venire da piangere (1Cor 12:26) e non da metterci su un piano superiore. Dovremmo continuare a sperare che Dio se ne prenda cura e porti avanti la sua opera.

Se uno si mette a fare un’analisi, è facile vedere che nella chiesa ci sono molte cose che non vanno, ma se ci concentriamo su ciò che c’è di positivo, allora ci rendiamo conto che ci sono anche tante cose preziose. Quella che riteniamo lo sia più di tutte per Dio è il tenere in evidenza la sua Parola scritta, perché anche se in una chiesa ci fossero distorsioni, ci sarebbe la possibilità di attingere direttamente alla Scrittura e nutrirsene.