Alessia Lanini

DA ADAMO AGLI APOSTOLI

Una panoramica di tutta la Bibbia basata sul testoin sé

Volume (da definire)

Scuola elementare di cristianesimo

Dialoghi sulla prima lettera di Paolo ai Corinzi, condotti da Fernando De Angelis

BOZZA 1 DEL DIALOGO 31: 1CORINZI 15:1-28    

Scarica qui il file del Dialogo 31.

Scarica qui il file dei Dialoghi 23-30.
Scarica qui il file dei Dialoghi 17-22.
Scarica qui il file dei Dialoghi 6-16.
Il file dei Dialoghi 1-5 è scaricabile dal post sul Dialogo 5

1. La struttura del capitolo 15              
2. L’essenza del Vangelo non è modificabile (15:1-11)      
3. Senza la risurrezione la nostra fede è vana (15:12-19)    
4. L’escatologia di Paolo è chiara per chi la vuole capire (15:20-28)   

Dialogo 31

1CORINZI 15:1-28

1. LA STRUTTURA DEL CAPITOLO 15

È un capitolo noto per il tema della risurrezione, che qui è trattato ampiamente, mentre in altre parti del Nuovo Testamento se ne accenna soltanto. L’importanza datagli da Paolo si può vedere dal fatto che è il capitolo più ampio e l’essere posto per ultimo ne facilita il ricordo.

Possiamo dividerlo in cinque parti.

-Parte 1 (vv. 1-11): il “Vangelo degli apostoli”, cioè l’essenziale predicato dagli apostoli.

-Parte 2 (vv. 12-28): sintesi escatologica, ovvero di ciò che avverrà nel futuro, in particolare per quanto riguarda la risurrezione.

-Parte 3 (vv. 29-34): ammonimenti a coloro che non credono alla risurrezione dei morti.

-Parte 4 (vv. 35-57): risposta alla supposta obiezione dell’uditorio.

-Parte 5 (v. 58): conclusione.

2. L’ESSENZA DEL VANGELO NON È MODIFICABILE (15:1-11)

«Vi ricordo, fratelli, il vangelo che vi ho annunciato, che voi avete anche ricevuto, nel quale state anche saldi, mediante il quale siete salvati, purché lo riteniate quale ve l’ho annunciato; a meno che non abbiate creduto invano» (15:1-2).

Paolo ha voluto ricordare ai Corinzi il Vangelo che aveva annunciato, perché evidentemente davano segni di esserselo dimenticato o di non ricordarlo bene. Ha poi scritto che in esso stavano saldi, ma questo sembra essere più una esortazione che un elogio, perché poteva esserlo per alcuni, mentre in altri cominciava a vedere già qualche segno di sbandamento.

Infatti, dicendo loro «purché lo riteniate quale ve l’ho annunciato», sembra alludere a un loro averne sostituito alcune parti con idee proprie. Tuttavia, mantenere il Vangelo come era stato annunciato era condizione essenziale per essere salvati. Se compriamo una macchina e poi sostituiamo i pezzi originali con altri fasulli, potrebbe darsi che essa non funzioni più. Così è anche per il Vangelo.

«A meno che non abbiate creduto invano». Alcuni probabilmente avevano una fede non autentica, perciò inefficace. La situazione era quindi drammatica, come quando si dà delle medicine ad un malato grave ed egli non le prende correttamente, rischiando la vita.

«Poiché vi ho prima di tutto trasmesso, come l’ho ricevuto anch’io, che il Messia morì per i nostri peccati, secondo le Scritture; che fu seppellito; che è stato risuscitato il terzo giorno, secondo le Scritture; che apparve a Cefa, poi ai dodici. Poi apparve a più di cinquecento fratelli in una volta, dei quali la maggior parte rimane ancora in vita e alcuni sono morti. Poi apparve a Giacomo, poi a tutti gli apostoli; e, ultimo di tutti, apparve anche a me, come all’aborto» (15:3-8).

Paolo riassume qui l’essenza del Vangelo (vv. 3-4), chiarendo che non era una sua invenzione, avendolo anche lui ricevuto così. Di Gesù ha anche specificato «che fu seppellito», fatto che ne accertava la morte, e che poi risuscitò. Molti erano i testimoni oculari (vv. 5-7), oltre a Paolo (v. 8), e la maggior parte era ancora viva a quel tempo, per cui non poteva scrivere menzogne, essendoci quelli che sarebbero stati pronti a smentirlo.

Paolo afferma che la risurrezione era dimostrata ed essendo lui un personaggio storico, come questa sua Lettera è un documento storico, l’affermazione costituisce una dimostrazione della risurrezione di Gesù anche per noi oggi. D’altronde, il Nuovo Testamento è stato scritto molto presto rispetto ai fatti narrati, quando ancora erano vivi i testimoni, e si è diffuso dove essi vivevano. È dunque un testo affidabile.

Gesù risuscitò «secondo le Scritture». Egli non era spuntato fuori dal nulla, ma era il frutto di una promessa di Dio, collegato alla sua Parola, che a quel tempo era l’Antico Testamento.

«Perché io sono il minimo degli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la chiesa di Dio. Ma per la grazia di Dio io sono quello che sono; e la grazia sua verso di me non è stata vana; anzi, ho faticato più di tutti loro; non io però, ma la grazia di Dio che è con me» (15:9-10).

Paolo aveva un doppio registro: disprezzava se stesso (v. 9), ma non l’opera che Dio aveva fatto in lui e per mezzo di lui (v. 10). Questo dovrebbe essere il nostro schema. Se qualcuno vuole disprezzarci, non abbattiamoci. Tuttavia, non pieghiamoci di fronte a quelli che disprezzano l’opera che Dio ci ha chiamati a fare.

«Sia dunque io o siano loro, così noi predichiamo, e così voi avete creduto» (15:11).

Questo versetto è fondamentale, perché Paolo ha associato la sua predicazione a quella di «loro», ovvero degli apostoli. Quindi, la base della sua predicazione era condivisa da tutti, non era una sua versione particolare. Paolo ha dunque operato in piena collaborazione con la Chiesa del suo tempo.

Nei vv. 3-4 abbiamo visto che Paolo ha esposto l’essenza della predicazione di tutti. Ne è conferma quella di Pietro a Cornelio e ai suoi amici, in Atti 10:39-44. Per essere battezzati e diventare membri effettivi della Chiesa del Messia, per Pietro era sufficiente aver creduto che Gesù era morto e risorto ed era potente da perdonare i peccati, insieme all’aver ricevuto lo Spirito Santo. Purtroppo, oggi molte chiese chiedono ulteriori requisiti per esserne membri, come ad esempio l’aderire a specifiche dottrine di loro preferenza. Tuttavia, sono soltanto due le cose su cui si dovrebbe essere intransigenti: il credere che Gesù è morto e risorto per i nostri peccati e il manifestare l’opera dello Spirito Santo nella propria vita. Per il resto, ci si dovrebbe accogliere tutti vicendevolmente, anche avendo convinzioni diverse.

«Così noi predichiamo, e così voi avete creduto». Sembra che avessero creduto correttamente. Tuttavia, dal v. 12 si presenta un problema, perché vedremo che possiamo dire di credere formalmente in qualcosa, ma poi le nostre parole e azioni potrebbero contraddirci.

3. SENZA LA RISURREZIONE LA NOSTRA FEDE È VANA (15:12-19)

«Ora se si predica che il Messia è stato risuscitato dai morti, come mai alcuni tra voi dicono che non c’è risurrezione dei morti?» (15:12).

A questa domanda non viene riportata la risposta, che però si può dedurre dal loro contesto culturale greco, contrario all’idea della risurrezione, un’idea che invece era comune fra gli Ebrei. La risurrezione era così inaccettabile per la mentalità greca che i filosofi ateniesi, quando Paolo parlò loro di risurrezione dei morti, «alcuni se ne beffavano; e altri dicevano: “Su questo ti ascolteremo un’altra volta”» (Atti 17:32). L’Italia si definisce di cultura greco-romana, non è dunque così strano che nelle nostre chiese si faccia difficoltà ad accettare del tutto la risurrezione.

A Corinto alcuni avevano adottato un trucco per andare oltre l’idea della risurrezione. Infatti, in 2Timoteo 2:18 è scritto: «Uomini che hanno deviato dalla verità, dicendo che la risurrezione è già avvenuta, e sovvertono la fede di alcuni». La gente credeva loro perché quell’idea distorta era più gradita. Infatti, nella loro cultura platonica il corpo era visto come la prigione dell’anima, pensare alla risurrezione dei corpi era come una condanna all’ergastolo. Spostavano quindi la risurrezione nel passato (cfr. 1Cor 4:8; 2Tess 2:2), dicendo che in qualche modo era già avvenuta, in modo da non doverci più pensare.

«Ma se non vi è risurrezione dei morti, neppure il Messia è stato risuscitato; e se il Messia non è stato risuscitato, vana dunque è la nostra predicazione e vana pure è la vostra fede. Noi siamo anche trovati falsi testimoni di Dio, poiché abbiamo testimoniato di Dio che egli ha risuscitato il Messia; il quale egli non ha risuscitato, se è vero che i morti non risuscitano. Difatti, se i morti non risuscitano, neppure il Messia è stato risuscitato; e se il Messia non è stato risuscitato, vana è la vostra fede; voi siete ancora nei vostri peccati» (15:13-19).

Dopo il secondo secolo, la dottrina cristiana si è sempre più saldata alla filosofia platonica (Origene, Ambrogio, Agostino), arrivando di fatto a sostituire la risurrezione col Paradiso. Così oggi è difficile trovare un cristiano che veda nel proprio futuro la risurrezione e il regno di Dio. Ufficialmente si crede sia alla risurrezione che al Paradiso, ma tra loro c’è un contrasto di fondo che li rende alternativi. Infatti, se uno si trova beato in Paradiso non desidera la risurrezione. Un altro contrasto è che in Paradiso si pensa di andarci subito dopo la morte, individualmente e si trova in cielo; mentre la risurrezione avviene al ritorno di Gesù, per tutti i credenti insieme e sarà nel regno di Dio su questa Terra. È vero che la pienezza del regno di Gesù non è di questo mondo (Giov 18:36), ma ci sarà in un altro tempo (al suo ritorno), non in un altro luogo (cioè in cielo).

Molti cristiani immaginano che ora Gesù sia come senza corpo. Questo però è negare la risurrezione e in qualche modo anche l’incarnazione. Tuttavia, Paolo mette in stretta connessione la risurrezione di Gesù con la nostra, perché siamo «in Gesù» e quindi saremo risuscitati in quanto parte di lui (cfr. 1Cor 12:12-30). In questi versetti ha scritto per tre volte «vana». Perché, se noi adulteriamo il Vangelo, esso perde la sua efficacia. Perciò ha scritto a quelli che avevano deviato: «voi siete ancora nei vostri peccati» (v. 19). La risurrezione di Gesù e la nostra, insomma, sono una parte essenziale del messaggio cristiano.

«Anche quelli che sono morti nel Messia sono dunque periti» (15:18).

Questo versetto è comprensibile soltanto escludendo l’idea del Paradiso, perché normalmente un cristiano direbbe: «No, non sono morti! Sono in cielo». Per Paolo, invece, se non c’è risurrezione è tutto perduto.

C’è anche un altro passo inconciliabile con l’idea del Paradiso, ovvero 1Tessalonicesi 4:13, dov’è scritto: «Fratelli, non vogliamo che siate nell’ignoranza riguardo a quelli che dormono, affinché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza». Per chi crede nel Paradiso non c’è nulla di cui essere tristi, perché per loro i morti sono beati in cielo col Signore. Qui Paolo ha scritto, però, che «quelli che dormono» attendono il risveglio, vale a dire la risurrezione che ci sarà al ritorno di Gesù. Poi ha proseguito scrivendo: «Infatti, se crediamo che Gesù morì e risuscitò, crediamo pure che Dio, per mezzo di Gesù, ricondurrà [non “ha ricondotto”] con lui quelli che si sono addormentati. Poiché questo vi diciamo mediante la parola del Signore: che noi viventi, i quali saremo rimasti fino alla venuta del Signore, non precederemo quelli che si sono addormentati; perché il Signore stesso, con un ordine, con voce d’arcangelo e con la tromba di Dio, scenderà dal cielo, e prima risusciteranno i morti nel Messia; poi noi viventi, che saremo rimasti, verremo rapiti insieme con loro, sulle nuvole, a incontrare [per proseguire nella discesa verso la terra] il Signore nell’aria; e così saremo sempre con il Signore» (vv. 14-17). Stando a questo passo, il Paradiso come comunemente concepito è una falsità, anche se usato da molti per calmare l’angoscia della morte.

Essendo questo un tema molto dibattuto e fondamentale, gli dedicheremo l’Approfondimento n. 14 nel Dialogo 33.

«Se abbiamo sperato nel Messia per questa vita soltanto, noi siamo i più miseri fra tutti gli uomini» (15:19).

Da questo versetto è lecito ricavare l’esortazione ad attendere la vita futura, ma a volte lo si fa pensando che Gesù possa fare poco o nulla per la nostra vita attuale. Gli ascoltatori di Paolo tendevano a concentrarsi su questa vita, mentre oggi i cristiani tendono a porre al centro la vita futura. Gli apostoli, però, come mostra il libro degli Atti, confidavano sempre in Gesù, sia per questa vita che per quella futura.

4. L’ESCATOLOGIA DI PAOLO È CHIARA PER CHI LA VUOLE CAPIRE (15:20-28)

«Ma ora Cristo è stato risuscitato dai morti, primizia di quelli che sono morti. Infatti, poiché per mezzo di un uomo è venuta la morte, così anche per mezzo di un uomo è venuta la risurrezione dei morti. Poiché, come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saranno tutti vivificati; ma ciascuno al suo turno: Cristo, la primizia; poi quelli che sono di Cristo, alla sua venuta; poi verrà la fine, quando consegnerà il regno nelle mani di Dio Padre, dopo che avrà ridotto al nulla ogni principato, ogni potestà e ogni potenza» (15:20-24).

Viene fatta una prima sintesi del futuro, esponendo una precisa sequenza di eventi. Riprendendo poi l’argomento per fare le ulteriori precisazioni che seguono.

«Poiché bisogna che egli regni finché abbia messo tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico che sarà distrutto sarà la morte. Difatti, Dio ha posto ogni cosa sotto i suoi piedi; ma quando dice che ogni cosa gli è sottoposta, è chiaro che colui che gli ha sottoposto ogni cosa ne è eccettuato. Quando ogni cosa gli sarà stata sottoposta, allora anche il Figlio stesso sarà sottoposto a colui che gli ha sottoposto ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutti» (15:25-28).

«Bisogna che egli regni» (v. 25), perché se Gesù non arrivasse mai a regnare sulla Terra, che Figlio di Davide sarebbe? Che Salvatore sarebbe se abbandonasse il mondo alla degenerazione? In Romani 8:19-21 è detto chiaramente che Gesù porterà salvezza all’intera creazione, perciò Terra compresa.

Il fine è che «Dio [Padre] sia tutto in tutti» (v. 28; cfr. 12:6). Prima, però, è il Messia Gesù ad essere tutto in tutti (Col 3:11) e, ancor prima, lo è lo Spirito Santo (1Cor 12:13; Rom 8:5-11). È lui, infatti, a farci capire Gesù (Giov 16:14) e a condurci avanti nel cammino verso l’essergli simili, a cui tutti i credenti sono destinati (Rom 8:29; 2Cor 3:18; Efe 4:13; 1Giov 3:2).

Infatti, al momento della conversione non diventiamo subito uguali al Signore Gesù, ma è lo Spirito che inizia un’opera di spogliamento dell’uomo vecchio e di rivestimento del nuovo (Efe 4:17-32). La fede nel Nuovo Testamento è così profondamente trinitaria, con Padre, Figlio e Spirito Santo che cooperano in noi e per noi.