Tutte le donne della Bibbia 03

Raccolta di post da Facebook. Foglio n. 3 – Da Tamar alle figlie di Selofead (2/2/17)

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DDB 11. TAMAR, meglio non entrare in conflitto con una donna. Molti uomini non si rendono conto che la minore forza fisica delle donne si accompagna ad un altro tipo di armi, fra le quali quell’inventiva che ben si vede in Tamar: se possibile, allora, meglio che un uomo eviti di entrare in conflitto con una donna, perché non riesce ad immaginare come potrebbe reagire, mentre averla alleata è di grande utilità. Ma veniamo alla storia di Tamar. Giuda decise di allontanarsi dai suoi fratelli, andando a vivere fra i Cananei, dove ci prese una moglie dalla quale ebbe tre figli: Er, Onan e Sela. Naturale che questi figli si comportassero più da Cananei che da Giudei, ma Dio aveva altri piani, così Er morì presto lasciando vedova la cananea Tamar. Secondo la consuetudine che Mosè formalizzerà come “legge del levirato”, ad una vedova senza figli doveva essere il cognato a suscitare un figlio, in modo da perpetuare il nome del fratello defunto (Deuteronomio 25:5-10). Onan, però, per non restringere l’eredità portante il suo nome, quando andava da Tamar faceva in modo che non restasse incinta. Così Dio fece morire anche Onan, con il “dovere” verso Tamar che passò all’ultimo fratello rimasto. Comprensibilmente, Giuda temette che facesse una brutta fine anche Sela, lasciandolo senza progenie, e allora mise scusa che Sela era ancora giovane, rimandando Tamar dai suoi genitori, con la falsa promessa che in seguito l’avrebbe richiamata. Per Tamar, dunque, si prospettava una vana attesa, senza nemmeno la possibilità di prendersi un marito diverso da Sela. Dopo alcuni anni, vedendosi beffata e sapendo che Giuda passava da quelle parti, Tamar si travestì da prostituta e adescò Giuda il quale, non avendo denaro, le lasciò in pegno il suo sigillo. Quando Giuda seppe che Tamar era incinta, e perciò adultera, decretò che doveva essere bruciata. Tamar non volle svergognare pubblicamente il suocero mostrando il sigillo di chi l’aveva messa incinta, ma lo rimandò a Giuda, invitandolo ad assumersi le sue responsabilità con una frase della quale solo lui poteva capirne il vero significato: «Riconosci, ti prego, di chi è questo sigillo». Giuda si rese conto che Tamar era più giusta di lui, accogliendo lei e i due gemelli che partorì: Perez e Zerac. Giuda era arrivato a vedere Tamar come “la sterminatrice” della sua famiglia e un’adultera, ma poi ci fu un completo ribaltamento e fu proprio Tamar a dargli due nuovi figli al posto di quelli persi. Il vero significato della storia di Tamar, però, si capirà un millennio dopo, quando un discendente di suo figlio Perez, cioè Boaz (o Boos), diverrà progenitore di Davide, e perciò di Cristo, per mezzo di Rut, una moabita con una storia simile a quella di Tamar, come contiamo di vedere (Rut 4:12-22; Matteo 1:5). (Riferimento biblico principale: Genesi 38). (22/12/16)

DDB 12 MOGLIE DI POTIFAR, travolta da una passione distruttrice. Pure essendo sposata con un uomo molto importante, cercò in tutti i modi di “giacersi” con Giuseppe e sul piano morale non ha attenuanti, ma su quello psicologico il suo comportamento non è poi tanto raro. Perché una vita “dorata” è spesso anche noiosa e Giuseppe rappresentava il massimo dell’attrattiva: è infatti descritto con le stesse parole riferite a sua madre Rachele, cioè bello sia fisicamente che nell’aspetto (confronta Genesi 39:6 con 29:17); con in più una grande capacità di relazionarsi con gli altri e risolvere qualsiasi problema; mostrando inoltre nel concreto di essere un “amico di Dio”. Non riuscendo a possedere Giuseppe, cercò di distruggerlo con accuse false e che comportavano la pena capitale, dalla quale Giuseppe scampò finendo comunque in prigione (uno dei rari casi di “maschicidio”, insomma). Sappiamo che Dio usò la prigione come occasione per far arrivare Giuseppe fino alla carica di viceré d’Egitto, mentre non sappiamo come proseguì la vita della moglie di Potifar, ma è certo che – se ha proseguito nel suo egocentrismo voluttuoso – avrà finito per distruggere tutte le sue relazioni e, alla fine, anche se stessa. (Riferimento biblico principale: Genesi 39). (29/12/16)

DDB 13. SIFRA E PUA, due levatrici che obbedirono a Dio più che agli uomini. Giacobbe e tutta la sua discendenza furono accolti in Egitto ed abitarono nel territorio di Goscen (Genesi 47:27). Dopo diverso tempo erano diventati molto numerosi e i nuovi dominatori dell’Egitto ne volevano bloccare la crescita. Sifra e Pua erano le levatrici degli Ebrei e ricevettero l’ordine dal re di uccidere sul nascere tutti i maschi. Esse però temettero più Dio che il re e non obbedirono, mettendo scusa che le donne ebree erano vigorose e perciò, quando arrivavano le levatrici, avevano già partorito. Dio apprezzò molto il loro comportamento e face del bene alle loro case. Non staremo a considerare se e come questa storia si potrebbe applicare all’aborto dei nostri giorni o all’obbedienza verso dittatori malvagi, mentre accenneremo alla possibilità di mentire in determinate circostanze, cominciando con una scenetta. «Ciao Marcello, ma lo sai che Filippo ha dato un pugno a Carlo e lo ha steso per terra!» «Sì, ma durante un incontro di pugilato!» Dire la verità al nemico è rendergli testimonianza, ma mentirgli non è un inganno, perché fa parte delle regole della guerra. Dire la verità rischiando in proprio è un conto, dire una verità che mette in pericolo altri è tutt’altra cosa. Una via di fuga è il silenzio. (Riferimento biblico principale: Esodo 1:8-21). (5/1/16)

DDB 14. MARIA, un completamento dei fratelli Mosè e Aaronne. Dio rievoca la schiavitù affermando: «Sono io che ti ho condotto fuori dal paese d’Egitto […] ho mandato davanti a te Mosè, Aaronne e Maria» (Michea 6:4). Maria è dunque messa fra i condottieri insieme ai suoi due fratelli e vedremo sotto che è definita «profetessa». Dato che non sono segnalate altre sorelle di Mosè, è lei la bambina che seguì la cesta galleggiante sul fiume, nella quale era stato messo Mosè poco dopo nato, mostrando prontezza e scaltrezza per fare in modo che la principessa scegliesse proprio la madre di Mosè per allattarlo (Esodo 2:1-9). Ci sono solo due altri episodi significativi riguardanti Maria ed il primo si riferisce a quando Israele ebbe attraversato il Mar Rosso, liberandosi così  dagli Egiziani. Mosè e i figli d’Israele cantarono a Dio per gioire e rievocare l’accaduto, ma a Maria non bastò e ci aggiunse un’esuberanza tipicamente femminile: «Allora Maria, la profetessa, sorella d’Aaronne, prese in mano il timpano e tutte le donne uscirono dietro a lei, con timpani e danze. E Maria rispondeva: “Cantate al Signore, perché è sommamente glorioso: ha precipitato in mare cavallo e cavaliere”» (Esodo 15:20). Questo gesto di Maria è raccontato in due soli versetti, ma anche ad esso si deve se in seguito Davide danzerà di gioia «a tutta forza» davanti all’arca di Dio (2Samuele 6:14), coinvolgendo il popolo (1Cronache 13:8); come pure si deve anche ad esso se oggi gli Ebrei esprimono in diverse occasioni la loro gioia attraverso la danza collettiva. L’altro episodio non mette Maria in buona luce, perché quando Mosè fece l’errore di prendersi una moglie straniera (Levitico 21:14), lei ed Aaronne cercarono di avvantaggiarsene (Numeri 12:1-2). Maria fu allora colpita di lebbra e fu guarita proprio per l’intercessione di Mosè, ma dovette stare 7 giorni fuori dell’accampamento. Il popolo le era così affezionato che si schierò più con Maria che con Dio, infatti «Il popolo non si mise in cammino finché Maria non fu riammessa nell’accampamento» (Numeri 12:15). (Riferimenti biblici principali: Esodo 2:1-10; 15:20-21; Numeri 12; 20:1). (12/1/16)

DDB 15. SEFORA, una scaltrezza misteriosa. C’è solo un episodio nel quale si vede Sefora in azione, ma è di difficile interpretazione, mentre più diffusamente si parla di suo padre Ietro (o Reuel), definito «sacerdote di Madian» (Esodo 2:16): un’espressione che viene spesso compresa male, mettendo in cattiva luce il contesto familiare di Sefora. Il progenitore Madian, capostipite dell’omonima tribù, era uno dei figli di Abramo avuti da Chetura (Genesi 25:1-4) ed era sacerdote sul modello di Noè (che pure offriva sacrifici) e di Melchisedec (Genesi 8:20; 14:18). Ietro non era dunque un sacerdote pagano, ma esercitava correttamente la sua funzione e infatti, quando lui, Mosè e Aaronne offrirono un sacrificio, fu proprio lui l’officiante (Esodo 18:12). Il retroterra familiare di Sefora, perciò, gli consentiva una “condivisione di fede” con Mosè. Nell’episodio un po’ strano al quale abbiamo accennato, Dio voleva far morire Mosè, anche se non se ne capisce la ragione. Sefora invece sembra che abbia capito, agendo con rapidità ed efficacia (Esodo 4:24-26). In certe situazioni estreme, insomma, sembra che le donne si disorientino di meno. (Riferimenti biblici principali: Esodo 2:16-22; 4:24-26; 18:1-12). (19/1/16)

DDB 16. MOABITE E MADIANITE nell’Esodo, un lato vulnerabile degli uomini. Israele, dopo la liberazione dalla schiavitù d’Egitto, dopo aver attraversato il Mar Rosso ed essersi messo in marcia verso la Terra Promessa… dimentica tutto e si tuffa fra le braccia di moabite e madianite. Naturalmente andò a finire male, ma il racconto biblico è incentrato sul pericolo dell’idolatria, non su quello della sessualità, che la Bibbia non vede come in sé negativa. È vero che noi maschi abbiamo quel lato vulnerabile, ma esso viene più facilmente allo scoperto quando non sono stati costruiti altri valori, o si sono persi. (Riferimento biblico principale: Numeri 25). (26/1/16)

DDB 17. FIGLIE DI SELOFEAD, l’ardire di proporre “aggiunte” alla legge di Dio. C’è da restare senza parole di fronte all’episodio delle figlie di Selofead: per il loro incredibile ardire e per la “scandalosa” risposta di Dio, che costringe i più a sorvolare questo fatto, evitando di coglierne le conseguenze. La legge di Dio fu data da Mosè sul Sinai in un contesto di tale solennità da impaurire tutto il popolo (Esodo 20:18-19); le figlie di Selofead osarono invece affermare senza timore che quella legge, applicata al loro caso, non andava bene, proponendone una “aggiunta migliorativa”. In sostanza, la legge di Mosè dava per scontata la regola del popolo ebraico di dare in eredità la terra ai soli figli maschi: ad una determinata terra, così, veniva associato il nome di un capostipite. Selofead non aveva figli maschi, ma solo cinque femmine, perciò il suo nome sarebbe scomparso; le sue figlie però non si arrendono e presentano il loro caso a Mosè e a tutto il popolo, chiedendo di essere loro le eredi e così non far sparire il nome del loro padre. Più che un’aggiunta alla legge di Dio, propongono una modifica di una norma culturale integrata nella legge di Dio, ma qualsiasi interprete della legge di Dio, me compreso, le avrebbe severamente rimproverate: «Come vi permettete?! La legge di Dio va osservata e voi vi permettete di modificarla a vostro vantaggio?! Ravvedetevi immediatamente, prima che Dio vi fulmini!». Invece Mosè, che capiva meglio di noi lo spirito della legge di Dio e quello di Dio, valutò che le figlie di Selofead non avevano tutti i torti. Trovandosi nel dubbio, presentò il caso a Dio e Dio rispose che LE FIGLIE DI SELOFEAD AVEVANO RAGIONE, accettando la loro proposta di integrazione!!!!! Dio ci chiama ad applicare la sua parola con fedeltà, ma anche cogliendone lo spirito e nella libertà dello Spirito. Una libertà che spaventa, ma che Gesù riaffermerà applicandola al come osservare il sabato e prendendo ad esempio Davide, che trasgredì una norma specifica della legge (mangiando pane consacrato) per osservarne uno spirito più profondo (la vita vale più delle norme rituali) (Matteo 12:1-8). (Riferimenti biblici principali: Numeri 27:1-11; 36:1-12). (2/2/16)