Alessia Lanini

DA ADAMO AGLI APOSTOLI

Una panoramica di tutta la Bibbia basata sul testo in sé

 Volume (da definire)

 

Scuola elementare di cristianesimo

Dialoghi sulla prima lettera di Paolo ai Corinzi, condotti da Fernando De Angelis

 

BOZZA 1 DEI DIALOGHI 4-5: 1CORINZI 1:10b-13

Il Dialogo 5 porta a compimento il precedente Dialogo 4 già pubblicato e ora rimosso, che viene ristrutturato nei titoli, ma resta uguale nel testo. Vengono qui aggiunti alla fine i paragrafi D-G.

Scarica qui i Dialoghi1-5

1.Breve premessa

2.La questione dell’unità della Chiesa

3.Il percorso da seguire secondo Efesini 4:11-16

Approfondimento n. 5. Cosa posso fare per l’unità dei cristiani?

A.Panoramica

B.Dio può operare anche senza di noi

a)Dio può fare tutto, facendoci solo osservare.  b)Dio dà l’esempio e poi chiama a collaborare.  c)Dio sa difendersi da solo.  d)Dio è vivo e potente, non è come gli idoli.

C.Salvezza per grazia e santificazione per opere?

D.Sana dottrina: può essere capita male e praticata peggio

E.Cosa sta facendo Dio?

F.Partire da se stessi

G.L’autonomia della chiesa locale

 

«Ora, fratelli, vi esorto, nel nome del Signore nostro Gesù Messia, ad avere tutti un medesimo parlare e a non avere divisioni tra di voi, ma a stare perfettamente uniti nel medesimo modo di pensare e di sentire. Infatti, fratelli miei, mi è stato riferito da quelli di casa Cloe che tra di voi ci sono contese. Voglio dire che ciascuno di voi dichiara: «Io sono di Paolo»; «io di Apollo»; «io di Cefa»; «io del Messia». Il Messia è forse diviso? Paolo è stato forse crocifisso per voi?»(1Cor 1:10-13a). 

 

1.BREVE PREMESSA.

Pensando alla realtà della Chiesa e a certe recenti tendenze, ci viene facile pensare che l’unità sia difficile da raggiungere e perciò quasi rinunciamo a sperare che diventi realtà, come se accantonassimo ciò che è troppo difficile della Parola di Dio. Quello che invece non comprendiamo, dovremmo custodirlo dentro di noi, non abbandonandolo finché Dio non ci ha dato una risposta, altrimenti la lettura della sua Parola risulta vana.

Nel Vangelo di Luca leggiamo: «Quel servo che ha conosciuto la volontà del suo padrone e non ha preparato né fatto nulla per compiere la sua volontà, riceverà molte percosse; ma colui che non l’ha conosciuta e ha fatto cose degne di castigo, ne riceverà poche» (12:47-48 a). Dunque, se uno non studia la Bibbia e sbaglia, Dio lo punisce; ma se uno ha studiato la Bibbia, ha capito e poi non la mette in pratica, viene punito ancora di più. Lo studio della Parola di Dio deve accompagnarsi con la disponibilità e la determinazione a metterla in pratica, non può essere solo un esercizio intellettuale mosso dalla curiosità.

 

2.LA QUESTIONE DELL’UNITÀ DELLA CHIESA.

Nel brano che consideriamo c’è poco da spiegare o da capire, perché Paolo non fa altro che fare due liste: una delle cose che dovrebbero esserci in una chiesa e una delle cose che non dovrebbero esserci. Le mettiamo in evidenza con uno schema.

QUELLO CHE DOVREBBE ESSERCI E NON ESSERCI IN UNA CHIESA (1Cor 1:10-12)

dovrebbero esserci non dovrebbero esserci
Medesimo parlare Divisioni
Perfetta unione Contese
Medesimo pensare Esaltazione di persone (Paolo, Apollo, ecc.)
Medesimo sentire Esaltazione di particolari dottrine

Nelle chiese è spesso poco realizzato quello che dovrebbe esserci, però non è difficile comprenderlo e allora non resta che metterlo in pratica. Dobbiamo tuttavia essere cauti nel passare all’azione, chiedendo a Dio di mostrarci a che punto siamo nel nostro modo di rapportarci con i fratelli in fede, riflettendo bene su quale azione intraprendere.

Spesso si corre il rischio di considerare l’unità descritta da Paolo come qualcosa di auspicabile, ma irraggiungibile; dovremmo invece chiedere a Dio di aiutarci a comprendere la situazione concreta dal suo punto di vista, con la disponibilità a dare un nostro piccolo contributo per far fare passi avanti verso l’unità di parola, di pensiero e di sentimento.

«Il Messia è forse diviso?»(1:13 a). 

La Chiesa è l’assemblea di TUTTI i credenti in Gesù, pertanto deve essere aperta a tutti, altrimenti diventerebbe un club sociale. Dal momento che la Chiesa è il corpo del Messia (1Cor 12:7), quando distacchiamo da noi una parte di quelli che appartengono a Gesù, è come se dividessimo il suo corpo.

Per fare un esempio, quando dei genitori con più figli invecchiano e non sono più in grado di stare da soli, vanno di solito ad abitare con un figlio. A volte quest’ultimo si “impossessa” dei genitori, ostacolando le relazioni con gli altri figli. Questo porta alla lacerazione del cuore dei genitori, che sentono un legame profondo con tutti i figli. Il desiderio di possesso non è amore, perché amore significa disponibilità a dare e a fare il bene di chi si ama.

Quando allora selezioniamo gli appartenenti alla Chiesa basandoci non solo sull’essere stati accolti da Gesù, ma aggiungendo particolari connotazioni non condivise dalla generalità dei cristiani, è come se spezzassimo il corpo di Gesù… assomigliando così ai crocifissori.

«[…] ciascuno di voi dichiara: «Io sono di Paolo»; «io di Apollo»; «io di Cefa»; «io del Messia» »(1:12b). 

Paolo, Apollo, Cefa e Gesù erano aperti verso tutti. Dichiarando di appartenere a loro senza aprirsi verso tutti i credenti, era un cadere nella contraddizione, abusando del nome di Gesù.

«Paolo è stato forse crocifisso per voi?»(1:13a). 

Onorare i conduttori della chiesa che si frequenta, essere a loro sottomessi e obbedire per amore di Gesù è positivo, ma è tutt’altra cosa dal mettere di fatto i conduttori al posto di Gesù. In alcuni casi questo porta ad un’idolatria del pastore, che è più grave dell’idolatria rivolta verso il papa, perché quest’ultimo sta lontano e parla di cose generiche, mentre il pastore incalza e preme da vicino, cercando a volte d’imporsi anche nei dettagli.

 

3.IL PERCORSO DA SEGUIRE SECONDO EFESINI 4:11-16.

Nel passo della 1Corinzi che stiamo esaminando, vediamo come un credente dovrebbe essere e perciò ci viene da pensare che un credente abbia implicitamente queste caratteristiche riguardanti l’unità. Sappiamo invece che non è facile che ciò accada e allora ci chiediamo: l’unità è un punto di arrivo o di partenza? È qualcosa che dobbiamo realizzare subito o c’è un percorso da fare?

Paolo espone l’esigenza dell’unità fra credenti e poi sembra cambiare argomento. Guardando meglio, invece, si può notare che questo non è solo il primo tema che affronta, ma è come una cornice e un filo conduttore (1Cor 3:4; 3:16-17; 3:21-23; 12:4-27), con Paolo che torna a ribadire che i credenti sono il corpo di Gesù, il quale non è e non va diviso.

In questa Lettera ai Corinzi, Paolo parla soprattutto di come dovremmo essere, ma in un’altra sua Lettera spiega in dettaglio il percorso da fare per raggiungere quell’obiettivo.

Efesini 4:11-16: «È lui che ha dato alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e dottori, per il perfezionamento dei santi in vista dell’opera del ministero e dell’edificazione del corpo del Messia, fino a che tutti giungiamo all’unità della fede e della piena conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomini fatti, all’altezza della statura perfetta del Messia; affinché non siamo più come bambini sballottati e portati qua e là da ogni vento di dottrina per la frode degli uomini, per l’astuzia loro nelle arti seduttrici dell’errore; ma, seguendo la verità nell’amore, cresciamo in ogni cosa verso colui che è il capo, cioè il Messia. Da lui tutto il corpo ben collegato e ben connesso mediante l’aiuto fornito da tutte le giunture, trae il proprio sviluppo nella misura del vigore di ogni singola parte, per edificare se stesso nell’amore.».

Dopo essere divenuti credenti, c’è dunque un percorso di perfezionamento da fare e sono necessari vari specialisti. Il nascere in Gesù è dunque un punto di arrivo e di ripartenza. Paolo parla poi del giungere all’unità della fede e alla piena conoscenza del Figlio di Dio, che perciò si presentano come un traguardo. Arrivando allo stato di uomini fatti, dato che i neonati non lo sono. Dopo essere nati di nuovo, poi, Paolo mostra la necessità di crescere, perché un bambino non ha gli strumenti per difendersi dagli sconosciuti, fra i quali c’è qualcuno che fa promesse allettanti, ma che sono in realtà pericolose. Paolo precisa che la verità va seguita dall’amore e questo non è scontato, perché «la conoscenza gonfia, ma l’amore edifica» (1Cor 8:1b), perciò bisogna equilibrare la verità con l’amore. Chiedendo a Dio maggiore conoscenza, dobbiamo chiedere anche un maggiore amore per i fratelli, altrimenti danneggeremo noi e gli altri.

Questo ci porta a capire meglio come Paolo prosegue, sottolineando che il nostro sviluppo dipende dalla misura del vigore di ogni singola parte, cioè dallo sviluppo di tutto il resto. Un bambino cresce sviluppandosi in ogni singola parte, così dovrebbe essere per la Chiesa: siamo infatti tutti collegati come un corpo. Per fare un esempio, se i rapporti del cuore con tutto il resto non sono buoni, ciò danneggia le varie parti e il cuore stesso.

Ciò che Paolo propone è quindi un obiettivo che dobbiamo porci fin dall’inizio e verso il quale poi progredire. In Efesini parla di arrivare «alla statura perfetta del Messia», cosa che raggiungeremo solo da risorti, ma con il desiderio di avvicinarcisi, mantenendo la consapevolezza di non potersi mai considerare arrivati.

 

APPROFONDIMENTO n. 5:  COSA POSSO FARE PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI?

A.Panoramica.

Dopo aver visto che ognuno deve fare un cammino per essere in grado di contribuire efficacemente all’unità della Chiesa, viene naturale che ciascuno si chieda quale sia il proprio ruolo. Molto dipende da come abbiamo impostato il nostro operare da credenti, perché possiamo agire da uomini di fede o da religiosi, con una differenza che non è sempre facile vedere.

In generale, Dio ci chiama a collaborare con lui, ma è importantissimo ricordarci che lui può fare anche da solo, senza collaborazione umana. Cosa di cui spesso ci scordiamo, pensando che se non facciamo qualcosa noi, chi la farà? Ma quando Dio non trova nessun collaboratore adeguato, sa portare avanti i suoi piani anche direttamente.

Negli Atti degli Apostoli vediamo come Dio, per mezzo dello Spirito Santo, sviluppi i suoi progetti con precisione, efficacia e in modi imprevedibili. Andando anche contro la sua precedente Parola, come quando ha comandato a Pietro di andare in casa di pagani e mangiare cibi impuri. Pietro inizialmente si rifiutò, per non andare contro quelle che erano state fino ad allora le disposizioni di Dio, modificate da lui perché le necessità erano cambiate. Così ora Dio lo chiamava a fare qualcosa che non aveva mai fatto prima (Atti 10:9-29).

Altra cosa imprevedibile era che Dio facesse del più grande persecutore, Saulo, il più grande evangelista. Saulo-Paolo (Atti 9:1-22) era entrato in scena durante la lapidazione di Stefano (Atti 7:58b), poi sembrava essere sparito, ma nel frattempo successero varie cose che si incastrarono perfettamente, preparando le circostanze adatte all’entrata in azione di Paolo, chiamato a svolgere un’opera molto particolare.

Dio può darci di vedere la sua azione, anche dove agli altri sembra che lui non agisca, ma oggi i credenti sono in genere privi degli strumenti per vedere ciò che succede nel mondo alla luce di Dio. Spesso infatti i cristiani si rinchiudono in una bolla sentimentale, lasciando la realtà fuori da quella bolla. Se non siamo consapevoli di ciò che Dio sta facendo, non possiamo però sapere neppure dove e come collaborare con lui. Non riuscendo così a vederlo veramente VIVO, cioè in azione.

Più che capire Dio, è difficile accettarlo come realmente è, preferendo immaginarcelo simile a Babbo Natale, cioè buono ma impotente. Anche quando il suo popolo è disubbidiente, comunque, il programma di Dio continua ad andare avanti!

La salvezza ci porta a vivere una vita nuova, che comincia fin da subito in questo mondo, ma se non capiamo questo mondo… che vita viviamo?

Prima di vedere come potremmo agire, comunque, è essenziale essere più consapevoli di come Dio possa portare avanti i suoi piani anche da solo.

 

B.Dio può operare anche senza di noi.

a)Dio può fare tutto, facendoci solo osservare. 

Un episodio significativo è quando il popolo d’Israele aveva alle spalle l’esercito più potente del mondo, con davanti il profondo Mar Rosso. Mosè disse al popolo: «Non abbiate paura, state fermi e vedrete la salvezza che Javè compirà oggi per voi; infatti gli Egiziani che avete visti quest’oggi, non li rivedrete mai più. Javè combatterà per voi e voi ve ne starete tranquilli» (Eso 14:13-14). Israele doveva solo osservare, perché al resto ci avrebbe pensato il suo Dio.

La Bibbia descrive anche altri casi simili: ne accenneremo due. Ad un certo punto il regno del Nord (Samaria) si trovò assediato dall’esercito siriano e rimase senza viveri. Eliseo fece l’incredibile annuncio che il giorno dopo ci sarebbe stata sovrabbondanza di farina ed in effetti ci fu, perché l’esercito siriano si era precipitosamente ritirato da solo, lasciando nell’accampamento le provviste (2Re 6:24ss).

Un altro caso avvenne al tempo di Giosafat, re di Giuda. Un grande esercito si mise in marcia contro il regno di Giuda. Giosafat ebbe fiducia in Dio e organizzò un esercito per contrastare l’invasione anche se, sul piano logico, le speranze di vittoria erano pressoché nulle. Giosafat schierò in prima fila dei cantori che procedevano lodando Dio. Quando giunsero nell’accampamento nemico, trovarono che gli invasori si erano distrutti da soli (2Cro 20).

 

b)Dio dà l’esempio e poi chiama a collaborare. 

Poco dopo arrivò un altro esercito nemico, quello di Amalec (Eso 17:8-16). Il popolo poteva pensare: «Dio ci ha insegnato a stare fermi e lui combatterà per noi». La Parola di Dio, però, si relaziona sempre ad un certo momento e ad un certo luogo. Quando perciò la trasportiamo in un altro momento e in un altro luogo, è necessario un adattamento da ponderare bene. In questo caso, infatti, contrariamente alla volta precedente, Mosè ordinò di organizzare un esercito e Giosuè lo preparò per andare a combattere. Così Dio è come se dicesse loro: «Io ho sconfitto l’esercito egiziano e vi ho dato l’esempio, adesso vi chiamo ad essere miei collaboratori». In quella battaglia, Israele vinceva quando Mosè teneva le sue mani verso l’alto per pregare, mentre quando Mosè era stanco e abbassava le mani, Israele perdeva. Il protagonista principale della vittoria restò perciò sempre Dio, ma in questo caso con la loro collaborazione. Anche noi, applicando 1Corinzi 3:9, siamo chiamati ad essere «collaboratori di Dio».

 

c)Dio sa difendersi da solo. 

Un altro esempio ci fa vedere la capacità di Dio di difendersi da solo. Mosè ricevette le tavole della legge, scritte da Dio sulla roccia, e queste vennero messe dentro un’arca (Eso 34:1; 1Re 8:9). Quell’arca e quelle tavole rappresentavano la presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Quando Israele continuava a perdere le battaglie contro i Filistei, pensò che avrebbe vinto se avesse portato con sé l’arca, come se quella permettesse il possesso del «Dio degli Eserciti», che non avrebbe certo permesso di essere sconfitto, facendo vincere anche il suo popolo.

I Filistei, quando videro che l’arca era stata portata in battaglia, s’impressionarono perché percepirono anch’essi la presenza di Dio in quell’arca (1Sam 4:3-8). Cercarono dunque di farsi coraggio e se ne fecero così tanto da vincere, sconfiggendo Israele e prendendo l’arca, pensando con ciò di essersi impossessati anche del Dio d’Israele.

Gli Israeliti constatarono che la gloria di Dio si era allontana da loro, perché l’arca di Dio era stata presa (1 Sam 4:22), rimanendo sconsolati per non essere stati in grado di difendere la testimonianza di Dio, la cui arca si trovava ora messa nel tempio degli idoli dei Filistei. Il sacerdote Eli, all’udire quanto era accaduto, cadde a terra e morì (1 Sam 4:18). Successe però che la mattina dopo, nel tempio dove avevano messo l’arca di Javè, i Filistei trovarono l’idolo a terra. Poi un’altra serie di avvenimenti fecero capire ai Filistei che non potevano gestire quel Dio, così decisero di rimandare l’arca di Javè fra il popolo d’Israele. Il popolo di Javè aveva perso il suo Dio, ma Javè non aveva abbandonato il suo popolo, desiderando di starci nel mezzo nonostante la sua infedeltà. Dio dimostrò di sapersi difendere da solo e, alla fine, i Filistei furono definitivamente sconfitti e umiliati (1 Sam 7:13).

 

d)Dio è vivo e potente, non è come gli idoli.

Un altro episodio si verificò quando Gedeone distrusse l’idolo di Baal e i suoi concittadini volevano ucciderlo. Il padre disse loro che, se Baal era Dio, avrebbe dovuto difendere la sua causa (Giudici 6:32), cioè facendo come Javè. Facciamo attenzione e riflettiamoci, perché quando vogliamo difendere Dio e la sua Parola, rischiamo di diventare come gli adoratori di Baal, pensando che Dio abbia necessariamente bisogno di noi per difendersi. In Geremia 10:5-10 è descritta tutta la potenza di Dio messa a confronto con la nullità degli idoli.

Dio può delegarci alcuni compiti invitandoci sul campo di gioco, dove però siamo facilmente portati a sentirci protagonisti, dimenticandoci che Dio è in quel campo ben prima di noi e ci resterà anche dopo di noi, perché è un Dio VIVENTE e che agisce potentemente.

 

C.Salvezza per grazia e santificazione per opere?

Siamo tutti d’accordo che la salvezza sia solo per grazia e che i nostri sforzi a tal fine siano non solo inutili, ma che producano l’effetto contrario: «A chi opera, il salario non è messo in conto come grazia, ma come debito; mentre a chi non opera ma crede in colui che giustifica l’empio, la sua fede è messa in conto come giustizia» (Rom 4:4-5). Dobbiamo così riconoscere che non possiamo fare niente per essere salvati e accettare ciò che Gesù ha fatto per noi.

Spesso però capita di pensare, come accadde anche ai Galati, che dopo essere stati salvati per grazia, per santificarci ci sia bisogno delle nostre opere e dei nostri sforzi (Gal 3:2-3). Molti così pensano che la crescita spirituale dipenda da quanti versetti della Bibbia leggiamo ogni giorno, da quanto preghiamo, dal capire e osservare le regole che Dio ci chiama a rispettare. Tutto ciò non è in sé sbagliato, ma mettere i propri sforzi al centro della vita di fede significa mettere la santificazione nelle nostre mani, farla dipendere dalle nostre capacità, anziché metterla nelle mani di Dio, che può guidarci e darci forza per mezzo del suo Santo Spirito. Il primo passo da fare è quindi smettere di fare tutto, arrenderci, prendendo atto che non possiamo fare niente. Solo dopo possiamo essere pronti per contemplare ciò che Dio ha fatto e sta facendo.

Dopo averci salvati, Dio non ci lascia soli e con un codice morale da rispettare, ma insieme alla nuova nascita ci fa diventare dimora dello Spirito Santo (1Cor 2:12), che ci guida specificatamente, personalmente e potentemente. Che senso avrebbe avere in noi lo Spirito di Dio se la santificazione dipendesse da noi e dai nostri sforzi?

Inoltre, Dio ha dato a ciascuno di noi doni specifici (Efe 2:10; 1Cor 12), oltre a quelli che sono dati a tutti, perché Dio ha un piano per ognuno di noi e dà a ognuno di noi un compito particolare. Non possiamo perciò limitarci a leggere il regolamento (Bibbia), ma dobbiamo anche ascoltare ciò che ha da dire a noi il nostro capitano (Gesù).

Per far capire meglio abbiamo pensato ad una storia. Gli escursionisti stavano studiando attentamente il libretto delle istruzioni, poi sarebbero partiti per la difficile impresa. Inaspettatamente telefonò l’autore del libretto, promettendo al gruppo che li avrebbe seguiti per via telefonica. Alcuni presero a dire che era uno scherzo, che quello che aveva telefonato non era davvero l’autore del libretto, anche perché ritenevano che sul libretto ci fosse scritto diversamente da quanto lui stava dicendo. L’autore cercò di spiegare che erano loro ad aver capito male alcune istruzioni contenute nel libretto, ma quelli continuarono a non fidarsi e a voler proseguire seguendo la loro interpretazione, credendo che quello al telefono fosse solo uno che voleva prenderli in giro e non il vero autore.

Questo è quello che accade spesso a noi: abbiamo il nostro libro (Bibbia) e non vogliamo sentire la guida dell’autore (Dio), perché desideriamo fare a modo nostro. Dio non ci ha dato però solo un libro, ma ci ha dato anche la sua guida personale per farci capire la sua opera e ciò che desidera personalmente da ciascuno. Prima di adoperarci per l’unità della Chiesa, quindi, bisogna capire cosa Dio ha fatto, cosa fa e cosa intende fare.

Gesù stesso ha detto che «il Figlio non può da se stesso fare cosa alcuna, se non la vede fare dal Padre» (Giov 5:19-20), tanto più noi abbiamo bisogno di  comprendere ciò che il Padre ha fatto e fa nel contesto in cui vogliamo impegnarci. Solo dopo aver capito l’opera di Dio e il suo modo di agire possiamo inserirci svolgendo il compito assegnatoci.

 

D.Sana dottrina: può essere capita male e praticata peggio.

Osservando la realtà di oggi, sono evidenti alcuni elementi che favoriscono l’unità dei credenti in Gesù, ma ci sono anche comportamenti che la ostacolano.

Molto positive sono quelle organizzazioni che hanno specifici obiettivi e che riuniscono credenti appartenenti a chiese e nazioni anche molto diverse. Ne sono un esempio Porte aperte, Gedeoni e Alleanza evangelica. Nei loro statuti viene in genere precisata una base teologica che ribadisce i classici fondamenti della vita cristiana (ispirazione della Bibbia e divinità di Gesù, per esempio). Questo modo di  definire la “sana dottrina” rafforza il comune sentire e perciò tende a unire i cristiani. Non pochi, però, nell’elenco di dottrine per loro essenziali, inseriscono particolari vedute del proprio gruppo, perciò il loro “invito all’unità” nasconde spesso un invito a riconoscere un loro supposto primato.

In ogni caso, è necessario precisare che l’espressione “sana dottrina” non ha nel Nuovo Testamento il significato che le viene di solito attribuito. Definire la verità in modo teologico, fra l’altro, riflette un approccio greco, più che ebraico. Gesù non è stato un filosofo che ha insegnato a far certi discorsi, ma un maestro di vita che ha dato l’esempio di un corretto modo di interpretare e vivere la Parola di Dio.

È Paolo ad usare l’espressione “sana dottrina” e lo fa nelle Lettere a Timoteo ed a Tito (1Tim 1:6-11; 6:1-5; 2Tim 4:3-4; Tito 1:7-9; 2:1-10). Su questo tema ho inserito un post nel mio sito il 17/12/16 (“Sana dottrina o insane dispute”, link) e da lì riprendiamo ora qualche spunto.

Il passo più esplicito di Paolo, sul quale ci concentreremo, è Tito 2:1-10: «Esponi le cose che sono conformi alla sana dottrina: i vecchi siano sobri, dignitosi, assennati, sani nella fede, nell’amore, nella pazienza; anche le donne anziane abbiano un comportamento conforme a santità, non siano maldicenti né dedite a molto vino, siano maestre nel bene, per incoraggiare le giovani ad amare i mariti, ad amare i figli, a essere sagge, caste, diligenti nei lavori domestici, buone, sottomesse ai loro mariti, perché la parola di Dio non sia disprezzata. Esorta ugualmente i giovani a essere saggi, presentando te stesso in ogni cosa come esempio di opere buone, mostrando nell’insegnamento integrità, dignità, linguaggio sano, irreprensibile, perché l’avversario resti confuso, non avendo nulla di male da dire contro di noi. Esorta i servi ad essere sottomessi ai loro padroni, a compiacerli in ogni cosa, a non contraddirli, a non derubarli, ma a mostrare sempre lealtà perfetta, per onorare in ogni cosa la dottrina di Dio, nostro Salvatore».

Il messaggio su Gesù si sarebbe diffuso solo se i cristiani avessero mostrato un’unità al loro interno basata sull’amore dell’uno per l’altro (Giov 13:35; 17:21). Era perciò essenziale che ogni cristiano accogliesse l’altro, anche quando si avevano opinioni diverse (Rom 14).

Il brano di Paolo ripete il proposito di voler salvaguardare la sana dottrina (vedere parti sottolineate), invitando ad usare un comportamento molto elevato, che è certamente più impegnativo di qualche discorso ben organizzato. È quando si opera in contrasto col professarsi seguace del Messia che si distrugge la dottrina proclamata a parole.

In modo analago, Paolo così scrive in 1Timoteo 6:1-5: «Tutti quelli che sono sotto il giogo della schiavitù, stimino i loro padroni degni di ogni onore, perché il nome di Dio e la dottrina non vengano bestemmiati […] Se qualcuno insegna una dottrina diversa e non si attiene alla sane parole del Signore nostro Gesù Cristo e alla dottrina che è conforme alla pietà, è un orgoglioso e non sa nulla; ma si fissa su questioni e dispute di parole, dalle quali nascono invidia, contese, maldicenza, acerbe discussioni di persone corrotte di mente e prive della verità, le quali considerano la pietà come una fonte di guadagno.

Viene ribadito che è un comportamento immorale quello che contrasta con la sana dottrina, anche se chi devia cerca poi di giustificare il peccato con discorsi contorti, che hanno poco senso. Meglio perciò non cadere nella trappola di chi fa finta che i problemi di fondo siano di ordine intellettuale, mentre Gesù ha affermato che per conoscere la giusta dottrina bisogna essere disposti a fare la volontà di Dio (Giov 7:17). Quando insistiamo nel controbattere a parole le «acerbe discussioni di persone corrotte di mente», con lo scopo di difendere la sana dottrina, abbiamo perso in partenza, perché abbiamo accettato di spostare l’attenzione sulle chiacchiere, mentre i parolai vanno contrastati soprattutto sul piano morale e in silenzio, facendoci carico di una rigorosa condotta di vita.

Certo, bisogna mostrare l’inconsistenza dei loro ragionamenti affinché restino confusi (Pro 26:5), ma senza attardarcisi, altrimenti si finisce per somigliare a loro (Pro 26:4). Di ciò ci sono eccellenti esempi nel Vangelo, dove sono riportate le dispute fra Gesù e i suoi vari oppositori, dispute risolte da Gesù velocemente, per potersi poi concentrare nell’ammaestramento dei discepoli (Mat 22:15-46).

Per concludere, le differenze dottrinali fra Gesù e la Samaritana erano molte (Giov 4), pure quelle fra Pietro e Cornelio (Atti 10), fra Paolo e il carceriere di Filippi (Atti 16:16-34). Fu sufficiente che quei pagani riconoscessero Gesù come loro Salvatore e su quella semplice base si stabilì immediatamente una profonda condivisione. Essa aveva necessità di crescere (basta esaminare le Lettere di Paolo), ma in uno spirito di accoglienza e di amore fraterno, ben espressi da una nota frase di Paolo: «Accogliete colui che è debole nella fede, ma non per sentenziare sui suoi scrupoli» (Rom 14:1). In altre parole, chi aderisce ad una filosofia condivide una serie di concetti statici, invece la condivisione cristiana (comunione) è su altre basi, perché consiste nel guardare dinamicamente la persona di Gesù, verso il quale si sta camminando guidati dallo Spirito Santo. Era su questo fondamento che Pietro e Cornelio si sentirono fratelli, nonostante le grandi differenze di conoscenza biblica e di provenienza culturale.

Nel passato è stato il cattolicesimo a fare grandi danni con l’Inquisizione e i roghi. Oggi si deve purtroppo prendere atto che alcuni piccoli capi di chiese locali sentenziano e scomunicano con un’incredibile pretesa di infallibilità, facendo danni piccoli come quantità, ma numerosi nel loro insieme e non certo piccoli per chi ne è vittima.

Confesso di essere stato influenzato anch’io, nei miei impeti giovanili, dallo zelo per una mal intesa “sana dottrina”, che però poi mi si è ritorta contro. Ne conosco perciò da vicino la pericolosità e per questo reputo necessario contrastarla… accogliendo fraternamente e senza far polemiche coloro che ne sono ancora vittime.

 

D.Cosa sta facendo Dio?

Gesù ha espresso in vari modi il desiderio che i suoi discepoli siano uniti: quanto riportato in Giovanni 17:21 è da molti considerato come il più significativo. Alcuni comprendono quelle parole di Gesù nel modo seguente: «Che siate uno. Come il Padre è in me e io sono nel Padre, così anche voi dovete essere uno. Solo così il mondo crederà che sono venuto da Dio». Nel testo di Giovanni, però, la preghiera non è rivolta a noi, ma al Padre: «Che siano tutti uno; e come tu, o Padre, sei in me e io sono in te, anch’essi siano in noi». E il Padre esaudisce «sempre» Gesù (Giov 11:42).

Una piena unità dei credenti ci sarà dopo la risurrezione, cioè nella pienezza del regno di Dio, ma nel frattempo Dio non resta inoperoso. Prima di chiederci cosa possiamo fare noi, dobbiamo perciò renderci conto di ciò che Dio ha fatto e sta facendo.

Un grande aiuto all’unità è dato dalla presenza di traduzioni condivise dall’insieme dei cristiani, come lo è la TILC (Traduzione Interconfessionale in Lingua Corrente) e la Concordata, quest’ultima con la preziosissima partecipazione ebraica nell’Antico Testamento.

Un altro aiuto è il diffondersi di svariate organizzazioni interdenominazionali, nelle quali si trovano a collaborare credenti di varia provenienza e orientamento: nel paragrafo precedente abbiamo ricordato Porte aperte, Gedeoni e Alleanza evangelica e si potrebbe proseguire con un lungo elenco, ma ci limitiamo a segnalare Operazione Mobilitazione (OM), Gruppi Biblici Universitari (GBU), Evangelici D’Italia Per Israele (EDIPI). Oggi i contatti e gli scambi sono molto facilitati da Internet, così è reso vano il desiderio di alcune chiese di limitare i contatti esterni al proprio gruppo.

Anche la persecuzione contribuisce all’unità perché opprime i cristiani di ogni denominazione ed essi, quando si trovano in prigione, non si dividono certo in base al loro gruppo di provenienza. Spesso, e ciò è molto significativo, vengono perseguitati allo stesso modo i cristiani e gli Ebrei. Quando Gesù tornerà, troverà sulla Terra l’Anticristo (2Tes 2:8), che avrà già accomunato tutti i credenti, individuati per non aver accettato il marchio della Bestia (Apo 13:15-17; 20:4).

 

F.Partire da se stessi

Pensare ai programmi e alle regole da seguire può essere utile, ma il punto essenziale è chiedersi: «Cosa Dio MI chiama a fare?» Di fronte ai grandi problemi ci sentiamo giustamente impotenti e ciò può paralizzarci. Una via per uscirne è la “strategia del pescetto”, ricavabile da dall’invito a sfamare cinquemila persone, rivolto da Gesù ai discepoli (Mat 14:15-21). Essi avevano solo cinque pani e due pesci e li misero a disposizione. Gesù poteva creare il cibo dal nulla, invece volle sfamare tutti moltiplicando quei pani e quei pesci.

Se Dio, su una certa questione, ci ha dato un’utile indicazione anche piccola, condividiamola con i fratelli e, se Gesù vuole, può moltiplicarla. È quello che sull’unità dei credenti hanno fatto due Anonimi, producendo un testo scritto che ha avuto una certa diffusione e del quale ne conosco l’origine.

Due credenti, pur vivendo nella propria chiesa una situazione di collaborazione e comprensione reciproca, hanno dovuto prendere atto sconsolati che, nell’ambiente circostante, si stava sempre più estendendo un litigio fra conduttori, dove ogni credente veniva sollecitato a schierarsi con l’uno o con l’altro dei litiganti.

Il giorno successivo, uno dei due ha scritto all’altro quale comportamento avrebbe adottato, cercando di riflettere il carattere di Gesù e senza essere trascinato nelle contese. Dal dialogo fra questi due fratelli, diversi per carattere, estrazione e storia, eppure amici, ha preso forma una “Proposta per la ricostruzione dei rapporti fraterni”, diffusa poi in forma anonima. Dato che ne condivido pienamente il contenuto, il 22/12/2016 l’ho messa sul mio sito (link) e in tre anni è stata visualizzata tremila volte.

Questa proposta, dalla quale prendiamo ora qualche spunto, fa riferimento a Davide, perché quando il comportamento è sceso troppo in basso, è inutile e offensivo riferirsi direttamente all’eccelso esempio del Figlio di Davide.

Dopo che Davide fu unto re (1Sam 16:13) non cercò di scalzare il re che già c’era, cioè Saul, nonostante che Saul fosse stato giudicato già negativamente da Dio (1Sam 15:23). Davide tornò umilmente a fare il pastore e furono particolari circostanze che gli diedero l’occasione di farsi carico dei problemi del popolo, in quel momento oppresso da Goliat (1Sam 17:14-51). Quando poi Saul, mosso dalla gelosia, manifestò l’intenzione di ucciderlo, Davide non solo evitò di aggredirlo, ma continuò ad amare quello che per lui rimase sempre un “unto del Signore” (1Sam 24:5-8). Davide non scelse di sua iniziativa di separarsi da Saul, rimanendo in un primo tempo al suo servizio anche quando Saul cercò di ucciderlo (1Sam 18:10-11). Più che andar via, Davide fu costretto a scappare e, quando lo fece, non si tirò dietro nessuno, neanche il suo migliore amico Gionatan, anche se poi alcuni decisero di unirsi a lui (1Sam 19:11-12; 22:1-2).

Se ci sentiamo chiamati a ricostruire, non dobbiamo agitarci per allargare il nostro spazio fra i fratelli, ma se Dio ce ne dà l’occasione e le capacità, dobbiamo farci carico dei problemi del popolo di Dio. Praticando il “disarmo unilaterale”, cioè non facendo guerra a chi ci fa guerra, non parlar male di chi ci diffama. Continuando ad aver rispetto ed a difendere i fratelli che sono in posizione di responsabilità, anche quando come Saul si comportano in modo inadeguato, sapendo che sono comunque al servizio di Dio e perciò spetta a Dio valutare la loro opera. Bisogna sempre porci davanti il traguardo dell’unità del popolo di Dio, non rassegnandoci ad una divisione anche quando le circostanze la rendono inevitabile, sperando che prima o poi si possa ricomporre ogni frattura.

Dio voleva che Davide operasse in favore di tutto il popolo, compresi i suoi nemici; così come a suo tempo Giuseppe aveva operato anche in favore dei suoi perfidi fratelli (Gen 45:3-8). Davide usò la vittoria militare non per distruggere quelli che gli erano stati nemici, ma per accoglierli e conquistarne la fiducia, divenendo così re di tutto Israele (2Sam 5:3).

Se Dio vuole proteggerci, nessuno potrà farci del male. Dobbiamo impegnarci con calma e con la fiducia che il piano di Dio trionferà, avendo l’obiettivo finale di gioire non per la disfatta dei nemici, ma di gioire con gli “ex-nemici”.

 

G.L’autonomia della chiesa locale

Per poter ricostruire i rapporti fra le chiese, oltre che fra i credenti, riteniamo necessario ribadire e difendere il principio dell’autonomia della chiesa locale. Per brevità, ricaviamo questo principio da Apocalisse 2-3. Gesù non diede alle chiese migliori l’incarico di riprendere le peggiori, ma si rivolse direttamente a ciascuna con uno specifico messaggio.

Nel Nuovo Testamento non viene istituzionalizzata una classe dirigente al di sopra e al di fuori degli anziani della chiesa locale. Le organizzazioni di livello superiore si basano su dottrine particolari che dividono i credenti in Gesù, perciò lacerano il suo corpo.

Dobbiamo rispettare ed amare tutti, ma contrastando l’opera di demolizione che taluni fanno  in un modo molto semplice: disponendosi ad accogliere tutti, oppressi e oppressori.