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Sana dottrina o insane dispute?

Circola un diffuso concetto di “sana dottrina” che ostacola un confronto fraterno sulla nostra comprensione della Bibbia. Rendo perciò pubblico lo studio posto a fondamento del lungo e pacato dialogo che ho promosso nella mia chiesa locale, dialogo con il quale sono maturati i miei tre libri che fanno una prima sintesi di tutta la Bibbia.

di Fernando De Angelis

  1. Introduzione

Due naufraghi erano ancora lontani dalla riva, ma con la loro zattera di fortuna ci si stavano avvicinando. Ad un certo punto, uno di loro disse che la zattera andava manovrata in modo diverso, ma l’altro non era d’accordo. Siccome erano degli esperti, nessuno dei due volle cedere. Il contrasto si fece sempre più aspro e cominciarono a litigare. Non prevalse né l’uno né l’altro, però, perché la zattera finì per rovesciarsi ed ambedue furono inghiottiti dal mare, seppur ancora convinti di avere ragione.

Quando un cristiano si appassiona alla “sana dottrina” si può esser certi che comincerà a combinare guai. Se fosse a capo del mondo metterebbe su una “santa inquisizione” planetaria; se invece non ha potere, comincia a mordere quelli che gli capitano vicino. In nome della sana dottrina, insomma, succede che si spacca sempre più la “zattera di condivisione” che lega fra loro tutti gli appartenenti a Cristo e, in senso più ampio, tutti gli esseri umani.

Qualcuno potrà giustamente obiettare che difendere la sana dottrina è un invito che ci viene fatto dall’apostolo Paolo e perciò non possiamo ignorarlo; non dobbiamo però nemmeno deformarlo, usando categorie culturali greche per concetti che invece sono formulati secondo categorie ebraiche (non bisogna mai dimenticarsi che Gesù e gli apostoli erano ebrei). Comunque, quando viene citata un’espressione biblica, la prima cosa da fare è quella di andarla a leggere nel suo contesto, per controllare se dice veramente quello che gli si vuol far dire.

L’apostolo Paolo usa l’espressione «sana dottrina» in tre lettere dirette a due suoi fedeli discepoli (Timoteo e Tito). I versetti che riguardano direttamente questo concetto sono i seguenti: 1Timoteo 1:6-11 e 6:1-5; 2Timoteo 4:3-4; Tito 1:7-9 e 2:1-10.

Per i greci, la verità consisteva principalmente in una serie di concetti espressi con opportune parole. Di un filosofo si apprezzava che fosse convincente, senza interessarsi granché di come concretamente vivesse. Ciò purtroppo è stato poi teorizzato anche in campo cristiano, dove si sono scelti modi diversi per dare più importanza alla teologia che alla pratica. In ambito cattolico, per esempio si è affermato che «è importante ciò che il prete dice, non ciò che il prete fa», ponendo al centro una ritualità valida indipendentemente dalla moralità di chi la compie (ex opera operandi). Questa deformazione si era introdotta anche nel mondo ebraico e Gesù riconobbe che i Farisei predicavano bene, ma poi non facevano ciò che predicavano («dicono e non fanno», Matteo 23:3). Insomma, certe tendenze che si attribuiscono ad una certa religiosità, se si guarda più a fondo rivelano spesso tendenze che sono di tutti gli esseri umani, anche se vengono espresse in modi diversi.

Nel contesto biblico-ebraico, insomma, la verità è sostanzialmente rappresentata da fatti, piuttosto che da discorsi. Il Dio di Israele è il vero Dio perché è lui che ha fatto il mondo e non gli idoli dei pagani (Genesi 1; Geremia 10:11-12). Jahvè è il salvatore d’Israele perché lo ha fatto uscire dall’Egitto: è proprio su questa base che vengono dati i dieci comandamenti! (Esodo 20:2).

Più che dire la verità, Gesù era la verità (Giovanni 14:6). Le sue parole erano vere perché operavano concretamente (Matteo 4:23; Giovanni 11:43) e perché è risorto. Gesù non è stato un filosofo che ha insegnato a far certi discorsi, ma un maestro di vita che ha insegnato una «nuova via» (Atti 19:9,23; 22:4; 24:22) sulla quale modellare la nostra vita quotidiana. La sana dottrina insegnata da Gesù e dagli apostoli, insomma, era soprattutto un santo modo di vivere che si contrapponeva ai comportamenti deviati dei pagani (1Pietro 1:18; Efesini 2:1-10). Paolo cercò di coinvolgere i filosofi greci con i discorsi, ma ciò costituì solo un iniziale andare incontro al loro stile, passando poi presto ad invitarli a cambiar vita (cioè ravvedersi), portando come prova di verità il fatto della risurrezione di Gesù (Atti 17:22-31).

  1. Epistola di Paolo a Tito

Nell’esaminare i sopraccitati passi dell’apostolo Paolo, cominceremo da quello più esplicito, cioè Tito 2:1-10: Ma tu esponi le cose che sono conformi alla sana dottrina: i vecchi siano sobri, dignitosi, assennati, sani nella fede, nell’amore, nella pazienza; anche le donne anziane abbiano un comportamento conforme a santità, non siano maldicenti né dedite a molto vino, siano maestre nel bene, per incoraggiare le giovani ad amare i mariti, ad amare i figli, a essere sagge, caste, diligenti nei lavori domestici, buone, sottomesse ai loro mariti, perché la parola di Dio non sia disprezzata. Esorta ugualmente i giovani a essere saggi, presentando te stesso in ogni cosa come esempio di opere buone, mostrando nell’insegnamento integrità, dignità, linguaggio sano, irreprensibile, perché l’avversario resti confuso, non avendo nulla di male da dire contro di noi. Esorta i servi ad essere sottomessi ai loro padroni, a compiacerli in ogni cosa, a non contraddirli, a non derubarli, ma a mostrare sempre lealtà perfetta, per onorare in ogni cosa la dottrina di Dio, nostro Salvatore.

Agli apostoli stava soprattutto a cuore proclamare la dottrina che Gesù era il Messia promesso a Israele, cioè il Salvatore, credendo nel quale si era perdonati dei propri peccati e perciò riappacificati con Dio (Atti 2:38; 10:43; 13:38). La liberazione dal peccato non riguardava solo le conseguenze (condanna eterna da parte di Dio), ma anche una concreta liberazione dalla sua potenza, nel senso che in una persona che si dichiarava salvata da Gesù, doveva vedersi anche una vita rinnovata dall’obbedienza al Signore Gesù: non che si richiedesse al cristiano di essere immediatamente perfetto, ma era essenziale che fosse un testimone credibile (Filippesi 3:12; 2Pietro 1:5-8; 1Giovanni 2:1-6).

Il messaggio su Gesù si sarebbe diffuso solo se i cristiani avessero mostrato un’unità al loro interno basata sull’amore dell’uno per l’altro (Giovanni 13:35; 17:21). Era perciò essenziale che ogni cristiano accogliesse l’altro, anche quando si avevano opinioni diverse (Romani 14).

Il brano dell’Epistola a Tito sopra riportato, non solo comincia e finisce dichiarando esplicitamente di voler salvaguardare la sana dottrina, ma ripete il proposito anche nel corso dell’esposizione (vedere parti sottolineate). Invitando ad usare un comportamento molto elevato, che è certamente più impegnativo di qualche discorso ben organizzato. È quando si opera in contrasto col professarsi seguace di Cristo, insomma, che si distrugge la dottrina fondamentale che il cristiano proclama. Essere di sana dottrina, secondo Tito 2:1-10, è in conclusione incentrato su un’etica (all’ebraica) che si collega a quella di Cristo, non sull’uso di particolari parole di riferimento (cioè alla greca), come poi si prese presto a fare, innescando continue dispute teologiche fra cristiani.

L’altro passo della lettera di Paolo a Tito che abbiamo segnalato (Tito 1:7-9) riguarda l’insediamento di vescovi nelle varie città, da farsi solo quando si individuavano cristiani aventi precise caratteristiche, incentrate anche in questo caso sull’etica:

7 Bisogna che il vescovo sia irreprensibile, come amministratore di Dio; non arrogante, non iracondo, non dedito al vino, non violento, non avido di guadagno disonesto, 8 ma ospitale, amante del bene, assennato, giusto, santo, temperante, 9 attaccato alla parola sicura, così come è stata insegnata, per essere in grado di esortare secondo la sana dottrina e di convincere quelli che contraddicono.

  1. Epistole di Paolo a Timoteo

La chiarezza degl’insegnamenti di Paolo sopra visti, ci consente di essere ora più sintetici. Nelle due Epistole a Timoteo ci sono tre passi che ci interesano e che ora riportiamo in successione:

Alcuni hanno deviato da queste cose e si sono abbandonati a discorsi senza senso. Vogliono essere dottori della legge ma in realtà non sanno né quello che dicono né quello che affermano con certezza […] la legge è fatta non per il giusto ma per gl’iniqui e i ribelli […] per gli omicidi, per i fornicatori, per i sodomiti, per i mercanti di schiavi, per i bugiardi, per gli spergiuri e per ogni altra cosa contraria alla sana dottrina, secondo il vangelo della gloria del beato Dio, che egli mi ha affidato. (1Timoteo 1:6-11).

Tutti quelli che sono sotto il giogo della schiavitù, stimino i loro padroni degni di ogni onore, perché il nome di Dio e la dottrina non vengano bestemmiati […] Se qualcuno insegna una dottrina diversa e non si attiene alla sane parole del Signore nostro Gesù Cristo e alla dottrina che è conforme alla pietà, è un orgoglioso e non sa nulla; ma si fissa su questioni e dispute di parole, dalle quali nascono invidia, contese, maldicenza, acerbe discussioni di persone corrotte di mente e prive della verità, le quali considerano la pietà come una fonte di guadagno. (1Timoteo 6:1-5).

Verrà il tempo che non sopporteranno più la sana dottrina, ma, per prurito di udire, si cercheranno maestri in gran numero secondo le proprie voglie, e distoglieranno le orecchie dalla verità, volgendosi alle favole. (2Timoteo 4:3-4).

Anche in queste epistole vediamo che è un comportamento immorale quello che contrasta con la sana dottrina, anche se chi devia cerca poi di giustificare il peccato con discorsi confusi, che non hanno senso, perché ci si distacca dalla realtà concreta per rifugiarsi in un mondo ipotetico, immaginato secondo i propri desideri («favole», insomma). Meglio perciò non cadere nella trappola di chi fa finta che i problemi di fondo siano di ordine intellettuale, mentre Gesù ha affermato che per conoscere la giusta dottrina bisogna essere disposti a fare la volontà di Dio (Giovanni 7:17). Chi vuole rimanere attaccato ai suoi vizi e rifiuta la mano tesa di Gesù, non ha difficoltà a giustificarsi con mille discorsi. I nostri progenitori Adamo ed Eva, non a caso, si difesero dando tutte le colpe a Dio, ma Dio non si dilungò a contestare i loro inconsistenti ragionamenti (Genesi 3:9-19).

Quando insistiamo nel controbattere a parole le «acerbe discussioni di persone corrotte di mente», con lo scopo di difendere la sana dottrina, abbiamo perso in partenza, perché abbiamo accettato di spostare l’attenzione sulle chiacchiere, mentre i parolai vanno contrastati soprattutto sul piano morale e in silenzio, facendoci carico di una rigorosa condotta di vita.

Certo, bisogna mostrare l’inconsistenza dei loro ragionamenti affinché restino confusi (Proverbi 26:5), ma senza attardarcisi, altrimenti si finisce per somigliargli (Proverbi 26:4). Di ciò ci sono eccellenti esempi nel Vangelo, dove sono riportate le dispute fra Gesù ed i suoi vari oppositori, dispute risolte da Gesù velocemente, per potersi poi concentrare nell’ammaestramento dei discepoli (Matteo 22:15-46).

  1. Conclusione

Le questioni connesse a quanto espresso sopra non sono poche e di poco conto, ma queste riflessioni nascono in circostanze particolari e con un obiettivo semplice, che sarà bene chiarire.

Dal gennaio 2008 facciamo parte, con mia moglie, della Chiesa Evangelica “dei Fratelli” di Siena, dove ho iniziato ad esporre alcune considerazioni sul Vangelo di Matteo. Considerazioni subito impigliatesi nei molteplici aspetti di “Gesù Figlio di Davide” e “Figlio di Abramo”.

Gradualmente è emerso un disegno unitario della Parola di Dio, che collega la Genesi con l’Apocalisse in un’unità di fondo. Per approfondire il discorso e dar modo di fare domande, si è spostata l’esposizione dal culto domenicale allo studio biblico del giovedì, nel quale è presente un gruppo che ha dimestichezza con la Bibbia.

La Chiesa di Siena è concentrata sul testimoniare di Gesù con semplicità e sul fare, schivando le dispute dottrinali. È un atteggiamento che condivido pienamente, ma che potevo essere proprio io a minare, portando riflessioni suscettibili di contestazione. L’argomento “sana dottrina”, perciò, è stato affrontato con l’obiettivo di prevenire eventuali polemiche. A volte il dialogo può degenerare in disputa, mentre il mio desiderio era di continuare ad operare insieme agli altri con tranquillità e amicizia, al di là delle convinzioni che ciascuno ha maturato fino a quel momento. In fondo siamo tutti chiamati a continuare un percorso di approfondimento stimolato proprio da un pacato confronto fraterno, che deve rafforzare l’amicizia, senza cercare di stabilire chi abbia ragione (siamo tutti in difetto) e senza delineare un qualche tipo di gerarchia.

Le differenze dottrinali fra Gesù e la Samaritana erano molte (Giovanni 4), pure quelle fra Pietro e Cornelio (Atti 10), fra Paolo e il carceriere di Filippi (Atti 16:16-34). Per abbattere il muro delle differenze dottrinali e culturali bastò che quei pagani riconoscessero Gesù come loro Salvatore. Su quella semplice base si stabilì immediatamente una profonda condivisione, che aveva sì necessità di crescere (basta esaminare le Epistole di Paolo), ma in uno spirito di accoglienza e di amore fraterno, ben espressi da una nota frase di Paolo: «Accogliete colui che è debole nella fede, ma non per sentenziare sui suoi scrupoli» (Romani 14:1). In altre parole, chi aderisce ad una filosofia condivide una serie di concetti statici, ma la condivisione cristiana (comunione) è su altre basi, perché consiste nel guardare dinamicamente la persona di Gesù, verso il quale si sta camminando guidati dallo Spirito Santo. Era su questa base che Pietro e Cornelio si sentirono fratelli, nonostante le grandi differenze di conoscenza biblica e di provenienza culturale.

Se si è veramente forti – non a parole, ma come esempio di vita – e si è disponibili ad accogliere, non c’è bisogno di rincorrere i deboli per rimproverarli, perché sono loro stessi che desiderano star vicino a chi è in grado di sostenerli e farli crescere nella fede.

Nel passato è stato il cattolicesimo a fare grandi danni con l’Inquisizione ed i roghi. Oggi ci sono alcuni piccoli capi di piccole Chiese che sentenziano e scomunicano con un’incredibile pretesa di infallibilità, facendo danni piccoli come quantità, ma numerosi nel loro insieme e non certo piccoli per chi ne è vittima.

Confesso di essere stato influenzato anch’io, nei miei impeti giovanili, dallo zelo per una mal intesa “sana dottrina”, che però poi mi si è ritorta contro. Ne conosco perciò da vicino la pericolosità e per questo reputo necessario contrastarla… cercando di accogliere fraternamente e senza far polemica coloro che ne sono ancora vittime.

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