Alessia Lanini

DA ADAMO AGLI APOSTOLI

Una panoramica di tutta la Bibbia basata sul testoin sé

Volume (da definire)

Scuola elementare di cristianesimo

Dialoghi sulla prima lettera di Paolo ai Corinzi, condotti da Fernando De Angelis

BOZZA 1 DEL DIALOGO 30: 1CORINZI 14:26-40    

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1. Introduzione               
2. L’amore porta a privilegiare il dono di profezia (14:1-4)             
3. Senza interpretazione è un parlare al vento (14:5-9)      
4. La fede ha componenti spirituali e razionali (14:10-20)      
5. Le lingue servono di segno per i non credenti (14:21-22)               
6. La profezia manifesta l’amore di Dio (14:23-25)        
7. Un esempio di diversità costruttiva               

1. Premessa     
2. L’obiettivo principale deve essere edificare (14:26-28)              
3. Anche il profetare va fatto con ordine (14:29-33)      
4. Le donne non devono tacere sempre (14:34-35)               
5. Ciò che Paolo ha scritto sono comandamenti di Gesù (14:36-40)   

Dialogo 30

1CORINZI 14:26-40

1. PREMESSA

Affrontiamo ora la parte finale del capitolo 14 (vv. 26-40), concludendo in questo modo tutta la sezione iniziata al capitolo 11.

Paolo termina il discorso sui doni, dando istruzioni facili da capire, ma che spesso sono ignorate e anche capovolte. Si resta così stupiti della discrepanza tra le indicazioni di Paolo e ciò che si fa nelle chiese.

Fino al versetto 25 Paolo ha confrontato il dono delle lingue con quello di profezia. Ora, nei versetti 26-35, applica i principi generali, che aveva esposti prima, ai comportamenti da avere durante il culto. Infine, nei versetti 36-40, conclude l’insieme dei capitoli 11-14.

2. L’OBIETTIVO PRINCIPALE DEVE ESSERE EDIFICARE (14:26-28)

«Che dunque, fratelli? Quando vi riunite, avendo ciascuno di voi un salmo, o un insegnamento, o una rivelazione, o un parlare in altra lingua, o un’interpretazione, si faccia ogni cosa per l’edificazione» (14:26).

Paolo ha iniziato con “dunque”, che si usa per concludere un discorso, terminando con «si faccia ogni cosa per l’edificazione». Esso è dunque l’obiettivo del riunirsi. È poi sottinteso che si debba edificare “tutta la chiesa”, riguardando il «quando vi riunite».

«Se c’è chi parla in altra lingua, siano due o tre al massimo a farlo e a turno, e uno interpreti. Se non vi è chi interpreti, tacciano nell’assemblea e parlino a se stessi e a Dio» (14:27-28).

Nonostante la chiarezza di queste parole, le chiese di solito non le mettono in pratica, deviando ciascuna a modo proprio: alcune cacciano via chi parla in altra lingua e altre forzano tale dono, praticandolo senza alcun ordine e anche se non c’è nessuno che interpreti.

3. ANCHE IL PROFETARE VA FATTO CON ORDINE (14:29-33)

«Anche i profeti parlino in due o tre e gli altri giudichino; se una rivelazione è data a uno di quelli che stanno seduti, il precedente taccia. Infatti tutti potete profetizzare a uno a uno, perché tutti imparino e tutti siano incoraggiati. Gli spiriti dei profeti sono sottoposti ai profeti» (14:29-32).

«Anche i profeti parlino in due o tre e gli altri giudichino» (v. 29). La risposta a chi siano questi “altri” si trova al versetto 32: «Gli spiriti dei profeti sono sottoposti ai profeti». Pertanto, un profeta può essere giudicato solo da un altro profeta. Anche ad Antiochia c’erano più profeti (Atti 11:27; 13:1). Infatti, se in una chiesa ci fosse un solo profeta, questo potrebbe dichiarare di aver ricevuto una rivelazione da Dio, senza che qualcun altro possa essere in grado di confermarlo. Bisogna fare attenzione, perché uno che ha il dono di profezia non è da considerare infallibile, potendo anch’egli confondersi e sbagliare.

«Se una rivelazione è data a uno di quelli che stanno seduti, il precedente taccia» (v. 30). Solitamente se qualcuno si mette a parlare mentre un altro non ha ancora finito, chi presiede l’incontro fa tacere il secondo, dicendogli di comportarsi educatamente e attendere che il primo abbia concluso il proprio discorso. Ebbene, Paolo ha scritto che non è così che si dovrebbe fare. La regola che pone ci sembra assurda, però è chiara: se uno sta profetizzando, un altro profeta può interromperlo, se ritiene che sia opportuno. Forse perché è già sufficiente quanto ha detto, o forse perché sta esprimendo vedute personali, non dettate da Dio.

A volte si sentono assurdità e scorrettezze nelle predicazioni, ma si considera intoccabile chi sta sul pulpito. Si dà per scontato che abbia pregato e letto la Bibbia e che, quindi, non si possa valutare ciò che dice. Paolo, invece, afferma che a presiedere deve essere lo Spirito Santo, per cui se una rivelazione è data a uno che era seduto, il precedente deve tacersi. Tuttavia, anche queste indicazioni sono difficilmente messe in pratica nelle chiese.

«Perché Dio non è un Dio di confusione, ma di pace» (14:33).

Anziché «pace», alcuni traducono «ordine». Questo tema fa da filo conduttore di tutta la sezione dei capitoli 11-14. Infatti, già da 11:1 Paolo ha cercato di mettere ordine nei comportamenti disdicevoli dei Corinzi, ribadendo alla fine del capitolo 14 ancora questo concetto: «Ma ogni cosa sia fatta con dignità e con ordine» (14:40).

4. LE DONNE NON DEVONO TACERE SEMPRE (14:34-35)

«Come si fa in tutte le chiese dei santi, le donne tacciano nelle assemblee, perché non è loro permesso di parlare; stiano sottomesse, come dice anche la legge. Se vogliono imparare qualcosa, interroghino i loro mariti a casa; perché è vergognoso per una donna parlare in assemblea» (14:34-35).

Questi due versetti sono un po’ problematici e, di conseguenza, spesso sorvolati. «Le donne tacciano nelle assemblee, perché non è loro permesso di parlare» (v. 34): è un insegnamento che ormai poche chiese seguono e che può anche essere rispettato alla lettera, ma magari con un atteggiamento non corretto e senza tenere conto di altri aspetti. Ad ogni modo, sebbene lo si possa osservare bene oppure male, la quasi totalità delle chiese risolve il problema dicendo che questa disposizione di Paolo non va più tenuta in considerazione, riguardando situazioni particolari che c’erano in quel tempo a Corinto. Paolo però ha scritto: «Come si fa in tutte le chiese dei santi» (v. 34), perciò la disposizione non è circostanziata a una specifica situazione.

Facciamo ora alcune riflessioni che si basano sul presupposto che ciò che dice Paolo è valido anche oggi, cominciando con un’analogia. Se una famiglia deve parlare con il sindaco e il marito ci va accompagnato dalla moglie, dovrebbe parlare il marito, in quanto non sta bene che sia lei a prendere l’iniziativa. La moglie dovrebbe parlare col marito prima di andare dal sindaco e così, quando il marito parla, lo fa anche a nome della moglie, che è da lui rappresentata.

Paolo aveva scritto prima: «Ma voglio che sappiate che il capo di ogni uomo è il Messia, che il capo della donna è l’uomo e che il capo del Messia è Dio» (11:3). L’uomo è visto come capo e deve dunque assumersi le sue responsabilità. Talvolta accade che sia la moglie a parlare perché il marito non ne ha avuto il coraggio e glielo ha chiesto. Non è però un vantaggio per la moglie, se il marito si sente inadeguato.

Quando la chiesa è in assemblea, presentandosi davanti a Dio, la situazione è simile a quella descritta sopra. Diventa allora «vergognoso per una donna parlare in assemblea» (v. 35). In alcune chiese, però, può succedere che gli uomini vadano al culto domenicale come se stessero andando al bar. Si aggiornano sulle varie squadre di calcio e partiti politici, pregando e ascoltando la predica come fosse un dovere. In tale contesto, le donne non sentono l’autorità degli uomini.

Per le donne è facile obbedire e sottomettersi se gli uomini, aiutati da Dio, riescono a farsi carico delle responsabilità. Se una moglie non obbedisce al marito, questi dovrebbe chiedersi se per caso è lui il colpevole. In una chiesa in cui le donne sono poco sottomesse agli uomini, bisognerebbe prima di tutto predicare agli uomini, esortandoli a mostrare sempre più il loro essere guidati da Dio nella loro vita.

Gli uomini, in ogni caso, non dovrebbero imporre alle donne di tacere, perché Paolo non ha scritto: «Imbavagliatele! Fatele tacere!». Ha invece scritto: «Le donne tacciano». Invitandole ad assumere da se stesse quella posizione.

Bisogna poi considerare che le donne sono invitate a tacere «nelle assemblee», cioè nei momenti solenni di incontro generale. Un altro conto sono le varie altre circostanze che si hanno nella vita di una chiesa. Ad ogni modo, c’è un posto privilegiato per la donna in cui può parlare in assoluta libertà, ovvero la sua casa, che può essere trasformata in un tipo di chiesa, aprendola a coloro che hanno bisogno di un insegnamento, di un conforto, di una preghiera. Molte donne sono poi un esempio di come si possa non dire nulla durante le assemblee, parlando poi in modo efficace al momento giusto e alla persona giusta. Altre donne, invece, hanno fretta di parlare, mostrando però una scarsa consistenza.

Se una donna ha ricevuto il dono di insegnamento, può esercitarlo, soltanto in modi diversi rispetto all’uomo. Per esempio, può istruire altre donne e non ci sarebbe poco lavoro da fare, visto che le donne sono mezza umanità! È facile mettersi in mostra la domenica mattina durante il culto, ma è molto più utile e impegnativo far diventare la propria casa simile ad una chiesa. Le donne, come tutti, hanno i loro limiti e sono chiamate, come tutti, ad impegnarsi nei compiti assegnati loro da Dio, che possono essere di una ampiezza e varietà infinite.

Nell’Approfondimento n. 11 abbiamo visto la figura di Abigail: una donna che ha ammaestrato Davide restandogli sottomessa. Altri esempi a cui rimandiamo sono quelli di Debora (Giudici 4:4-22) e delle figlie di Selofead (Num 27:1-7), che hanno agito efficacemente mantenendo la loro posizione come donne.

Seppure abbiano il ruolo di capo, gli uomini dovrebbero fare attenzione a come lo svolgono. In 1Pietro 3:7 è scritto: «Anche voi, mariti, vivete insieme alle vostre mogli con il riguardo dovuto alla donna, come a un vaso più delicato. Onoratele, poiché anch’esse sono eredi con voi della grazia della vita, affinché le vostre preghiere non siano impedite». Pietro riprende da Malachia 2:13-16, dove Dio avverte che non esaudiva le preghiere di quei mariti che non si comportavano lealmente verso le loro mogli.

5. CIÒ CHE PAOLO HA SCRITTO SONO COMANDAMENTI DI GESÙ (14:36-40)

«La parola di Dio è forse proceduta da voi? O è forse pervenuta a voi soli?» (14:36).

Il messaggio di Gesù a Corinto ce l’aveva portata Paolo. Alcuni di loro, però, si ergevano a maestri insuperabili, mettendo da parte Paolo, che ha dunque fatto loro queste domande per mettere in luce che era stato lui a evangelizzarli e farli crescere nella fede.

«Se qualcuno pensa di essere profeta o spirituale, riconosca che le cose che io vi scrivo sono comandamenti del Signore» (14:37).

A Corinto qualcuno si credeva «profeta o spirituale», ma non riconosceva validi gli insegnamenti di Paolo, che ha voluto precisare loro che quanto stava scrivendo non erano sue opinioni personali, ma comandamenti del Signore Gesù. Disattendere tali indicazioni era di conseguenza una esplicita disobbedienza a Gesù.

Dicendo «le cose che io vi scrivo», Paolo si riferisce a tutto ciò che gli stava scrivendo.

«E se qualcuno lo vuole ignorare, lo ignori» (14:38).

Paolo apparentemente lascia i Corinzi liberi di ignorare le sue parole, ma alla libertà si associa implicitamente la responsabilità, con le inevitabili conseguenze delle proprie scelte.

«Pertanto, fratelli miei, desiderate il profetizzare e non impedite il parlare in altre lingue» (14:39).

«Pertanto» indica che il discorso sui doni va verso la conclusione. Questa sintesi è chiara, ma in genere ognuno disobbedisce a suo modo. Dato che in molte chiese si desidera più parlare in lingue che profetizzare, mentre in molte altre si impedisce il parlare in lingue.

«Ma ogni cosa sia fatta con dignità e con ordine» (14:40).

Rappresenta la sintesi finale dei capitoli 11-14, dove Paolo ha preso in esame varie questioni, nelle quali i Corinzi si comportavano in modo disordinato e non dignitoso.