Alessia Lanini

DA ADAMO AGLI APOSTOLI

Una panoramica di tutta la Bibbia basata sul testo in sé

Volume (da definire)

 

Scuola elementare di cristianesimo

Dialoghi sulla prima lettera di Paolo ai Corinzi, condotti da Fernando De Angelis

 

BOZZA 1 DEL DIALOGO 16: Approfondimento n. 10
MALATTIE E FEDE IN GESÙ

 

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Il file dei Dialoghi 1-5 è scaricabile dal post sul Dialogo 5. 

 

A.Introduzione

B.Fondamenti sulle malattie in Genesi

C.«Io sono Javè, colui che ti guarisce» (Esodo 15:26): non trascurare il contesto

D.Dio può fare lo straordinario e ci invita ad apprezzare l’ordinario

E.Asa ricorse ai medici e non a Javè: attenzione al contesto e ai presupposti

F.Malachia e Pietro: Dio non risponde alle preghiere del marito infedele

G.Il contesto dei versetti sulla certezza della risposta alla preghiera

H.Sì al dono di guarigione, no ai ciarlatani

I.No alle formule magiche, sì allo Spirito Santo

 

Dialogo 16

Approfondimento n. 10

MALATTIE E FEDE IN GESÙ

 

A.Introduzione.

Come abbiamo già detto altre volte, nello studiare la 1Corinzi non vogliamo tirarci indietro di fronte alle questioni controverse, ma esaminarle con la fiducia che la Bibbia ha qualcosa di chiaro da dirci. Affrontiamo perciò il tema delle malattie con la convinzione che si possa ricavarne un insegnamento abbastanza obiettivo.

 

B.Fondamenti sulle malattie in Genesi.

Nel trovarci di fronte ad un particolare tema ci viene spontaneo andare a vederne le premesse in Genesi. Alla fine del capitolo 1 è scritto che «Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono» (Gen 1:31), quindi le malattie non c’erano. Esse sono infatti frutto del peccato in generale. Non è che ci sia una corrispondenza precisa per cui chi pecca si ammala e chi non pecca non si ammala, anche perché siamo tutti peccatori. Per questo il primo collegamento fra le malattie e il peccato è in senso generale, anche se in certi casi c’è una relazione fra una particolare malattia e uno specifico peccato.

Poniamoci una domanda: «Può esserci un virus, un batterio o qualsiasi altra cosa, che lo prendiamo per caso e interrompe la nostra vita?» In Genesi leggiamo le storie di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, le cui vite sono evidentemente nelle mani di Dio e non sono in balìa del caso, o di microbi vaganti e delinquenti. Dio chiamò Abramo, Isacco e Giacobbe, e poi si prese cura di loro e del loro percorso di vita, liberandoli dalle difficoltà e trasformandole in un bene, proprio come successe, ad esempio, anche a Giuseppe.

 

C.«Io sono Javè che ti guarisce» (Esodo 15:26): non trascurare il contesto.

Dopo la Genesi, con uno stacco di circa 400 anni, troviamo l’Esodo, dove entra in scena Mosè e abbiamo la liberazione del popolo dalla schiavitù, con l’inizio del loro cammino nel deserto. In Esodo Dio entrò in scena e agì in modo straordinario, con le piaghe in Egitto e la liberazione del suo popolo dalla schiavitù, senza chiedere nulla da loro. In un primo momento Dio operò non stando in mezzo al popolo, ma appena cominciò il viaggio nel deserto, Dio si presentò nei pressi del popolo e si mise in mezzo ad esso. La prima parola che Dio rivolse al popolo fu: «Io sono Javè, colui che ti guarisce» (Eso 15:26). È una frase magnifica e anche molto adatta a chi va in cerca di slogan. Infatti, si possono usare queste parole e dire: «Dio guarisce, sta scritto e io lo prendo alla lettera». Se uno cerca di controbattere, solitamente trova un muro che rende impossibile discutere.

Andando a leggere queste parole nel loro contesto, vediamo che la cosa è un po’ più problematica di come sembra. Partendo dall’inizio del versetto, infatti, troviamo scritto: «Se tu ascolti attentamente la voce di Javè che è il tuo Dio, e fai ciò che è giusto agli occhi suoi, porgi orecchio ai suoi comandamenti e osservi tutte le sue leggi, io non ti infliggerò nessuna delle infermità che ho inflitte agli Egiziani, perché io sono Javè, colui che ti guarisce». Prima dello slogan, dunque, troviamo scritto: «Se osservi tutte le mie leggi»; potremmo quindi parafrasare così: «Io sono Javè e sono pronto a fare tutto per te, se tu sei pronto a fare tutto per me».

Alcuni “guaritori” offrono tutto e non chiedono niente, proclamando: «Gesù ha detto: “Chiedete e vi sarà dato”! “Se avete fede quanto un granello di senape, potrete dire a questo monte: ‘Passa da qui a là’, e passerà; e niente vi sarà impossibile”, con la fede tutto è possibile». Svendendo ciò che riescono a svendere, ma con scarsi risultati perché, dice un proverbio popolare, «a poco prezzo roba che non vale niente».

 

D.Dio può fare lo straordinario e ci invita ad apprezzare l’ordinario.

In tutto l’Antico Testamento vediamo che Dio è pronto a usare lo straordinario, ma non vuole che disprezziamo l’ordinario, perché anche questo l’ha creato lui! Ad esempio, Dio fece lo straordinario della manna, perciò qualcuno avrebbe potuto dire: «Dio ci dà la manna dal cielo, quindi anche quando saremo nella Terra Promessa non faremo niente, perché tanto ci sarà la manna!». Non andò così e in Giosuè 5:12 è scritto: «La manna cessò l’indomani del giorno in cui mangiarono i prodotti del paese; e i figli d’Israele non ebbero più manna, ma mangiarono, quell’anno stesso, il frutto del paese di Canaan». Quando il popolo di Israele entrò nella Terra Promessa la manna cessò, perché seminare, raccogliere, macinare e fare il pane è qualcosa che Dio ci ha predisposto e di cui ci ha fatto dono; sono mezzi ordinari che Dio vuole che usiamo.

Un altro episodio analogo si può vedere nel fatto che nessun Israelita ha combattuto per sconfiggere il Faraone, perché Dio ha fatto tutto da solo. In quel caso gli Israeliti hanno visto Dio combattere e vincere, ma quando poi sono stati attaccati da Amalec, Dio ha voluto che il popolo si organizzasse anche come esercito, cioè che usasse strumenti ordinari, potenziati da Dio per mezzo della preghiera di Mosè (Eso 17:8-13). Gli Israeliti dovettero dunque formare un esercito e andare a combattere, non dire: «Tanto Dio farà tutto lui. È potente, sai? Hai visto cos’ha fatto a Faraone?». Bisogna stare attenti a non prendere un episodio e farne una regola, poiché nella Bibbia tutto è circostanziato e le cose accadono in particolari contesti. Possono essere applicate con giudizio, ma non generalizzate automaticamente.

Un modo ordinario in cui Dio preservava il popolo dalle malattie era attraverso il libro del Levitico, dove ci sono norme igieniche che in quell’epoca (circa 1500 a.C.), ma anche fino a Pasteur (1822-1895), sembravano assurde. Due medici hanno scritto un libro dove mostrano la scientificità delle regole igieniche del Levitico (S.I. McMillen e David E. Stern, Nessuna malattia). Un’applicazione ordinaria di Esodo 15:26 potrebbe allora essere: «Se osservi il Levitico, eviterai molte malattie».

Un particolare caso di straordinario, nell’Antico Testamento, è quello del serpente di bronzo. In Numeri 21:9 leggiamo che: «Mosè fece un serpente di bronzo e lo mise sopra un’asta; e avveniva che, quando un serpente mordeva qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita». Questa cosa straordinaria poteva far pensare: «Benissimo, questo serpente di rame ce lo teniamo da parte e ogni volta che è necessario lo alziamo su un’asta e funzionerà». In 2Re 18:4 è però scritto che il re Ezechia: «Soppresse gli alti luoghi, frantumò le statue, abbatté l’idolo d’Astarte, e fece a pezzi il serpente di bronzo che Mosè aveva fatto; perché fino a quel tempo i figli d’Israele gli avevano offerto incenso; lo chiamò Neustan», cioè “Pezzo di bronzo”.

Il serpente di rame funzionò perché Dio aveva deciso che funzionasse in quei momenti. Israele pensò di poterlo far funzionare sempre, ma non successe. Diventò così un’occasione di idolatria e venne distrutto, non avendo in sé alcun valore.

 

E.Asa ricorse ai medici e non a Javè: attenzione al contesto e ai presupposti.

È scritto che il re Asa «nella sua malattia non ricorse a Javè, ma ai medici» (2Cro 16:12). Si potrebbe concludere che i credenti devono ricorrere a Javè e non ai medici. Anche questa sarebbe una scorciatoia interpretativa, che non tiene conto del contesto, né dei presupposti impliciti. Rileggiamo l’espressione nel suo contesto, partendo dalle significative parole del profeta Canani: «“Javè percorre con lo sguardo tutta la terra per spiegare la sua forza in favore di quelli che hanno il cuore integro verso di lui. In questo tu hai agito da insensato; infatti, da ora in poi avrai delle guerre”. Asa s’indignò contro il veggente, e lo fece mettere in prigione, tanto questa cosa lo aveva irritato contro di lui. E, al tempo stesso, Asa divenne crudele anche contro alcuni del popolo […] Il trentanovesimo anno del suo regno, Asa ebbe una malattia ai piedi; la sua malattia fu gravissima; e, tuttavia, nella sua malattia non ricorse a Javè, ma ai medici. Poi Asa si addormentò con i suoi padri; morì il quarantunesimo anno del suo regno» (2Cro 16:12-13). Asa non si rivolse a Javè, ma ai medici, perché il profeta l’aveva rimproverato e lui, anziché ascoltare il rimprovero, si era innervosito verso il profeta e l’aveva messo in prigione, divenendo crudele anche contro il popolo.

Quello di Asa è dunque un percorso che va di degenerazione in degenerazione, finendo poi tragicamente. Non è che Asa fosse un normale o bravo credente che a un certo punto sbaglia, ma quella di rivolgersi ai medici era l’ultima tappa di una degenerazione progressiva, corrispondente ad un allontanarsi da Dio.

È necessario chiarire alcuni presupposti. Il primo riguarda il rapporto fra l’essere umano e la natura. Il primo a fare una cosa innaturale è stato Dio, quando ha piantato un giardino (Gen 2:8). Piantare significa coltivare un terreno, realizzando un’associazione di piante arboree ed erbacee che non esiste in natura. Dio piantò un giardino, anziché crearlo, perché voleva dare un esempio ad Adamo, il quale imparò a fare l’agricoltore vedendo Dio all’opera.

Il secondo presupposto importante è che noi uomini non siamo solo esseri naturali, ma anche frutto di una cultura. Adamo cominciò subito a dare i nomi agli animali, sviluppando una conoscenza non istintiva che trasmise alla discendenza: lo sviluppo culturale e scientifico è perciò biblico.

Un terzo presupposto è che la Bibbia ci invita a custodire la natura e ad averne rispetto, ma non in modo assoluto. Un ecologismo esagerato ha un retroterra pagano e non biblico. Oltre ad essere lecita l’agricoltura, come abbiamo visto, dobbiamo ricordarci che la natura di ora è corrotta, perciò siamo chiamati a limitarne e ripararne certi effetti negativi che questa corruzione ha prodotto.

Una quarta considerazione è che essere ebreo va oltre il naturale, perché si diventa tali con la circoncisione, il che significa che il corpo non è più totalmente naturale, dato che è stato tagliato un pezzo di pelle. Proprio il fatto che la circoncisione non è naturale sta spingendo alcune nazioni europee a considerare che un genitore ebreo non può circoncidere il figlio, equiparando la circoncisione ad una mutilazione.

Dopo aver chiarito questi presupposti, torniamo all’episodio di Asa. Una traduzione più corretta e che tenga conto del contesto culturale, direbbe che Asa ricorse «allo stregone», poiché i medici di quel tempo usavano sostanzialmente le arti magiche, cosa che un po’ accade ancora oggi in alcuni medici, essendo rimasto qualcosa di quella deviazione. La medicina ufficiale di oggi si basa invece soprattutto su dati scientifici oggettivi e non dovremmo rifiutarla.

Salomone fu approvato da Dio quando non rifiutò la scienza umana per costruire il Tempio, facendo venire addirittura esperti dalla straniera Tiro (2Cro 2). Gesù e Paolo usarono le navi, che sono frutto di un’elaborazione di quelle capacità scientifiche donataci da Dio.

Come credenti dobbiamo rifiutare la medicina se è una forma di arte magica, ma non come scienza oggettiva, che abbiamo invece il dovere di usare. Ad esempio, se ci ammaliamo di polmonite e Dio ha dato all’umanità la sapienza di isolare e produrre l’antibiotico, non possiamo dire: «La Bibbia insegna che non devo ricorrere ai medici. Hai visto che è successo ad Asa? Io non voglio l’antibiotico, ma un miracolo». Una conclusione simile non è frutto di una interpretazione seria della Bibbia, ma di fantasticherie dettate dai propri presupposti.

A questo punto non ci sarebbe nemmeno bisogno di andare al Nuovo Testamento, essendo già chiaro l’essenziale. D’altra parte, come abbiamo già detto, Paolo non leggeva il Nuovo Testamento, ma basava il suo insegnamento sull’Antico.

 

F.Malachia e Pietro: Dio non risponde alle preghiere del marito infedele.

Riprendiamo ora un passo del profeta Malachia già visto nell’Approfondimento n. 9, dov’è scritto: «C’è un’altra cosa che voi fate: coprite l’altare di Javè di lacrime, di pianto e di gemiti, in modo che egli non badi più alle offerte e non le accetti con gradimento dalle vostre mani. Eppure dite: “Perché?” Perché Javè è testimone fra te e la moglie della tua giovinezza, verso la quale agisci slealmente, sebbene essa sia la tua compagna, la moglie alla quale sei legato da un patto» (Mal 2:13-14). Il popolo invocava la risposta di Dio, che non rispondeva alle loro preghiere, nonostante gridassero e piangessero, poiché si comportavano male verso le proprie mogli, alle quali inizialmente avevano giurato fedeltà, per poi cambiare idea.

Non tutti si accorgono che Pietro evoca Malachia, quando scrive: «Anche voi, mariti, vivete insieme alle vostre mogli con il riguardo dovuto alla donna, come a un vaso più delicato. Onoratele, poiché anch’esse sono eredi con voi della grazia della vita, affinché le vostre preghiere non siano impedite» (1Pie 3:7). Pietro invita i mariti ad onorare le proprie mogli, altrimenti le loro preghiere saranno impedite e non ascoltate da Dio. I mariti che si ritengono capi delle mogli fanno bene, perché è la Bibbia che dice che lo sono, ma devono fare attenzione a trattare bene le proprie mogli, perché altrimenti Dio non risponde alle loro preghiere, neanche se pregano «nel nome di Gesù», perché quella non può essere una formula magica che funziona comunque, ma va usata in sintonia con lo Spirito di Gesù.

 

G.Il contesto dei versetti sulla certezza della risposta alla preghiera.

Nel Nuovo Testamento ci sono dei versetti che vengono spesso citati per affermare che, se noi preghiamo e abbiamo fede, Dio risponde certamente alle nostre preghiere. Come abbiamo fatto per l’espressione in Esodo «Io sono Javè che ti guarisce» (Eso 15:26, cfr. par C), così ora andremo a vedere il contesto di alcuni versetti, per capirne meglio il significato. Anticipiamo che essi risultano come la parte finale di un discorso, che invita alla santificazione e che va preso alla lettera tutto o niente, perché con Dio non si può fare i furbi.

 

Matteo 7:7: «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto».

È un versetto comprensibilmente famoso, ma non è raro che non si riesca a viverlo pienamente, anche quando si prende alla lettera. C’è da chiedersi se abbiamo preso alla lettera anche Matteo 5:29-30, dove Gesù dice: «Se dunque il tuo occhio destro ti fa cadere in peccato, cavalo e gettalo via da te; poiché è meglio per te che uno dei tuoi membri perisca, piuttosto che vada nella geenna tutto il tuo corpo. E se la tua mano destra ti fa cadere in peccato, tagliala e gettala via da te; poiché è meglio per te che uno dei tuoi membri perisca, piuttosto che vada nella geenna tutto il tuo corpo». Se prendiamo sul serio questo invito e rifiutiamo il peccato, fino ad essere pronti a cavarci un occhio, arriveremo ad abbandonare il peccato e non a cavarci un occhio.

Se noi facciamo un passo di santificazione verso Dio, lui ne farà dieci verso di noi. Però non possiamo prendere molto alla lettera la promessa di Matteo 7:7 e considerare molto poco alla lettera i due capitoli del Discorso sul monte che la precedono. Per inciso, prima del Discorso sul monte, Gesù ha operato guarigioni su «grandi folle» (Mat 4:23-25), provenienti da un’area molto vasta. Rivolgendo l’insegnamento morale a quelli che poi sono stati disposti a seguirlo sul monte. Così Gesù segue lo stesso schema di Esodo: prima una grande liberazione che mostra l’amore di Dio, poi un insegnamento che fa vedere la sua santità.

Il Discorso sul monte non è una scala su cui arrampicarsi con tutte le proprie forze per poter arrivare all’amore di Dio, ma è ciò che la potenza di Dio può metterci in grado di raggiungere. Mettere in pratica il Discorso sul monte non è un favore che facciamo a Dio, ma Dio si dispone a venirci incontro e ad abbracciarci per portarci sul percorso della sua santità.

 

Marco 11:24: «Tutte le cose che voi domanderete pregando, credete che le avete ricevute, e voi le otterrete».

Qualche predicatore ha illustrato questo versetto dicendo che, se tu credi che piove, devi portare l’ombrello, cioè fare conto che piove e, quindi, che abbiamo già ciò che abbiamo chiesto. Se a questo versetto ci arriviamo a piedi e non con l’elicottero, incontriamo Marco 8:34-35: «Se uno vuol venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi perderà la sua vita per amor mio e del vangelo, la salverà». A quel tempo, chi prendeva la croce andava a essere crocifisso, perciò non ha il significato di prendere le proprie difficoltà, ma di andare proprio a morire. Non è questione di dare più tempo a Dio, ma di dare tutto il tempo a Dio. La chiesa perseguitata paga un prezzo molto alto per la propria fede in Gesù, ma riceve anche grandi benedizioni da Dio, che fa vivere loro le promesse di Marco 11:24, perché hanno preso sul serio Marco 8:34-35.

 

Giovanni 15:16: «Non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi, e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; affinché tutto quello che chiederete al Padre, nel mio nome, egli ve lo dia».

La certezza della risposta alla preghiera è ribadita più volte nel Vangelo di Giovanni (13:34, 14:13-14, 16:24). Anche nello stesso capitolo 15, poco prima del versetto 16 considerato, dove Gesù dice: «Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quello che volete e vi sarà fatto» (v. 9). «Se dimorate in me», non «se venite a farmi visita»; se siamo sempre in Gesù e se Gesù è sempre in noi, allora ci sarà fatto quello che domandiamo.

 

1Giovanni 5:15: «Se sappiamo che egli ci esaudisce in ciò che gli chiediamo, noi sappiamo di aver le cose che gli abbiamo chieste».

È un concetto simile a quello espresso in Marco 11:24, che abbiamo visto sopra. È come dire: «Ho chiesto 50 euro al babbo e faccio conto che ce li ho già». Anche questo è un discorso finale, che Giovanni fa dopo essersi dilungato per distinguere chi è vero credente e chi no. Riportiamo solo i versetti 3:16,22: «Da questo abbiamo conosciuto l’amore: egli ha dato la sua vita per noi; anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli. […] e qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo ciò che gli è gradito». Ci viene detto che riceviamo qualunque cosa chiediamo, perché osserviamo i suoi comandamenti, tra i quali rientra quello di dare la nostra vita per i fratelli.

Un altro motivo alla risposta alla preghiera è che facciamo ciò che Dio gradisce. Quando obbediamo ad un ordine dei genitori, adempiamo un dovere, ma possiamo anche dire: «Ai miei genitori piacciono tanto gli asparagi selvatici. Domani mattina mi sveglio all’alba e li vado a cercare per regalarglieli». Chiediamoci, qual è il nostro rapporto con Gesù? Facciamo quello che ci comanda, perché sennò si arrabbia? Oppure facciamo anche ciò che gli è gradito? Nel fare solo ciò che Gesù comanda, mostriamo di avere con lui un rapporto di sudditanza, mentre nel fare anche ciò che gradisce, manifestiamo un rapporto di amore. La certezza della risposta alla preghiera risulta dunque essere interna a un contesto di armonia, obbedienza, sintonia e convivenza. Un figlio che ha con il padre dei buoni rapporti, una stessa visione e obiettivi comuni, non ha problemi: quello che chiede il padre glielo dà, perché è sulla sua direttiva.

 

Giacomo 5:14-15: «C’è qualcuno che è malato? Chiami gli anziani della chiesa ed essi preghino per lui, ungendolo d’olio nel nome del Signore: la preghiera della fede salverà il malato e il Signore lo ristabilirà; se egli ha commesso dei peccati, gli saranno perdonati».

L’insegnamento è chiaro: se stai male, chiami gli anziani, ti ungeranno e sarai guarito. Dice chiaramente che «la preghiera della fede salverà il malato». Tuttavia, prima di questo passo, in Giacomo 2:20, è scritto: «Insensato! Vuoi renderti conto che la fede senza le opere non ha valore?» Agli stessi credenti a cui sono rivolte queste parole, Giacomo poi aggiunge: «Da dove vengono le guerre e le contese tra di voi? Non derivano forse dalle passioni che si agitano nelle vostre membra? Voi bramate e non avete; voi uccidete e invidiate e non potete ottenere; voi litigate e fate la guerra; non avete, perché non domandate; domandate e non ricevete, perché domandate male per spendere nei vostri piaceri. O gente adultera, non sapete che l’amicizia del mondo è inimicizia verso Dio? Chi dunque vuol essere amico del mondo si rende nemico di Dio» (Gia 4:1-4).

Giacomo afferma che la risposta alla preghiera c’è, ma non per quelli che uccidono, litigano e tanto altro ancora. Dio è disposto a guarire anche questi ultimi, ma naturalmente se cambiano. Concentrarci su Giacomo 5:14-15 trascurando ciò che viene prima è una furbizia inutile.

 

H.Sì al dono di guarigione, no ai ciarlatani.

 al dono di guarigione. 1Corinzi 12:9,28,30 parlano di questo dono, che Dio poteva dare in quel momento e che crediamo possa dare anche oggi.

No ai ciarlatani, che dicono parole vuote nel nome di Gesù, seducendo quei cristiani che cercano più le arti magiche che la santità, restando delusi, perché l’idolo non funziona.

Gesù guarì tutti (Mat 4:23-25), come pure Pietro e Paolo (Atti 5:16; 19:11-12).

Quando Pietro andò al Tempio per la solita preghiera comunitaria, ad uno zoppo dalla nascita che era solito chiedere l’elemosina, disse: «Dell’argento e dell’oro io non ne ho; ma quello che ho, te lo do: nel nome di Gesù Messia, il Nazareno, cammina!» (Atti 3:6). Se a quelle parole «nel nome di Gesù», lo zoppo non fosse guarito, non crediamo che Pietro avrebbe potuto dirgli: «Si vede che non hai avuto fede». Eppure oggi succede proprio così: i ciarlatani dicono parole «nel nome di Gesù», poi non succede niente e hanno già pronta la scusa.

Pietro non ebbe dubbi e, dato che lo zoppo sembrava rimasto lo stesso, «lo prese per la mano destra, lo sollevò; e in quell’istante le piante dei piedi e le caviglie gli si rafforzarono. E con un balzo si alzò in piedi e cominciò a camminare; ed entrò con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio» (Atti 3:7-8). Quando Pietro prese per mano lo zoppo e lo sollevò, se avesse constatato che non era avvenuta nessuna guarigione, avrebbe forse detto: «Io ci ho provato, ma si vede che non era nella volontà di Dio»? Nei Vangeli e negli Atti non troviamo che Gesù e gli apostoli “provano” a fare miracoli, ma prima si mettono in sintonia con lo Spirito di Dio, poi procedono con assoluta sicurezza. Quando Pietro resuscitò Tabita (Atti 9:36-41), si accertò forse che Tabita avesse fede? Ma se era morta!

In Atti 16:16-18 Luca racconta l’incontro di Paolo con un’indovina: «Mentre andavamo al luogo di preghiera, incontrammo una serva posseduta da uno spirito di divinazione. Facendo l’indovina, essa procurava molto guadagno ai suoi padroni. Costei, messasi a seguire Paolo e noi, gridava: “Questi uomini sono servi del Dio altissimo, e vi annunciano la via della salvezza”. Così fece per molti giorni; ma Paolo, infastidito, si voltò e disse allo spirito: “Io ti ordino, nel nome di Gesù Messia, che tu esca da costei”. Ed egli uscì in quell’istante». Paolo, senza incertezze o dubbi, ordinò allo spirito di uscire nel nome di Gesù e quella sua parola fu subito efficace. Perché chi è chiamato da Dio a farsi strumento di miracoli, non fa delle prove dall’esito incerto, ma pronuncia parole che si realizzano subito.

 

I.No alle formule magiche, sì allo Spirito Santo.

No alle formule magiche e all’automatismo, perché non esistono. Non possiamo dire a qualcuno: «Leggi questo passo della Bibbia, invoca il nome di Gesù e vedrai che il miracolo succede sicuramente, perché il nome di Gesù è potente». Non ci illudiamo e non illudiamo altri, perché non esistono formule magiche che costringono Dio ad agire, o che ci permettono di aprire la cassaforte di Dio e prendere ciò che vogliamo. In 2Corinzi 12:7-10 Paolo pregò per essere guarito, Gesù gli rispose che la sua grazia gli bastava e non fu guarito. In 2Timoteo 4:20 Paolo dice di aver lasciato Trofimo infermo, quindi anche lui non guarito.

allo Spirito Santo, che applica la Bibbia alle nostre circostanze, guidando il nostro spirito. Per spiegarci meglio, facciamo l’esempio di quando Pietro camminò sulle acque (Mat 14:28-29). Qualcuno potrebbe dire: «È scritto che Pietro ha camminato sulle acque e, se abbiamo fede, possiamo farlo anche noi. Allora voglio avere fede, scendo dalla nave e comincerò a camminare». O comincerà ad affogare? Pietro scese dalla barca perché Gesù lo autorizzò a farlo, ma non possiamo farne una regola generale, dicendo che deve avvenire sempre così. Può succedere che Gesù dica anche a noi di camminare sulle acque, ma deve comunicarcelo personalmente. Si può senz’altro chiedere a Dio di darci mezzi straordinari e usarli, ma deve farcelo sapere direttamente e chiaramente. Se qualcuno ci dice: «Dio mi ha detto che ti farà camminare sulle acque», è meglio non ascoltarlo.

Spesso si obietta: «Come faccio ad essere sicuro del messaggio di Dio?» Possiamo esserne sicuri solo se Dio vuole farcelo conoscere e se abbiamo una relazione non solo con il suo libro (Bibbia), ma abbiamo anche quella comunicazione diretta che è INDISPENSABILE in un VERO rapporto padre-figlio. Possiamo esserne sicuri solo se lo Spirito Santo è venuto ad abitare con il nostro spirito e non ci siamo chiusi alla sua voce, dato che purtroppo troviamo spesso più rassicurante basarci sulle nostre capacità logiche. Possiamo esserne sicuri solo se, dopo aver accolto il Gesù crocifisso, abbiamo sentito bussare alla nostra porta il Risorto e abbiamo cominciato a familiarizzare con lui.

Divenire cristiani a volte ha il significato riduttivo dell’aderire ad una morale, ad una religione, ad una teologia, ad una chiesa ridottasi a club sociale. In questo caso, le opere straordinarie di Dio non fanno per noi ed è già tanto se beneficiamo di quelle ordinarie, cioè di quelle alla portata di tutti.