Alessia Lanini
DA ADAMO AGLI APOSTOLI
Una panoramica di tutta la Bibbia basata sul testo in sé
Volume (da definire)
Scuola elementare di cristianesimo
Dialoghi sulla prima lettera di Paolo ai Corinzi, condotti da Fernando De Angelis
BOZZA 1 DEL DIALOGO 3: 1CORINZI 1:10 a
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Approfondimento n. 3. Il nome distintivo di Dio: dal Tetragramma agli apostoli
A.La suddivisione in sei parti dell’Antico Testamento
B.Il Tetragramma nell’Antico Testamento prima di Daniele
C.Il nome di Dio nel libro di Daniele
D.La traduzione in greco dell’Antico Testamento come preparazione al Nuovo
E.L’uso del nome di Gesù nel Nuovo Testamento
a)Il nome di Gesù svolge il ruolo del Tetragramma.
b)Esempi dell’uso del nome di Gesù in Pietro.
c)Esempi dell’uso del nome di Gesù in Paolo.
F.Il battesimo nel solo nome di Gesù
Approfondimento n. 4. La Bibbia in italiano come base per l’unità dei cristiani
DUE UTILI APPROFONDIMENTI
«Ora, fratelli, vi esorto, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, ad avere tutti un medesimo parlare »(1:10 a).
Paolo esorta i Corinzi nel nome del Signore nostro Gesù Cristo e sembra che voglia semplicemente iniziare il suo discorso sulle divisioni nella chiesa, pertanto si tende a sorvolare su un’espressione che è data per scontata, seppure in realtà non lo sia molto. Gli apostoli la usavano abitualmente e possiamo constatarlo, per esempio, nelle Lettere di Paolo e negli Atti degli Apostoli. Abbiamo allora ritenuto necessario soffermarcisi, dedicandole il sottostante Approfondimento n.3.
Paolo inizia qui un argomento che poi riprende nella stessa 1Corinzi (12:12), riguardante i credenti come membra diverse di un unico corpo, cioè quello di Gesù. Per essere un unico corpo, ovviamente, Paolo li esorta a non avere divisioni e ad essere uniti nel modo di pensare e di sentire, un po’ come se tutte queste membra avessero lo stesso sistema nervoso («e tutti siamo stati abbeverati di un solo Spirito», 1Cor 12:13b), seppure poi svolgano funzioni diverse.
Spesso le divergenze dipendono dai presupposti dai quali si parte, abbiamo allora voluto condividere quelli che riteniamo emergano dalla Parola di Dio. Abbiamo perciò dedicato un successivo Approfondimento anche a questi presupposti.
Approfondimento n. 3
IL NOME DISTINTIVO DI DIO: DAL TETRAGRAMMA AGLI APOSTOLI
A.La suddivisione in sei parti dell’Antico Testamento.
Potremmo chiederci: «Cosa dice l’Antico Testamento?», ma sarebbe una domanda sbagliata, perché presuppone che ci sia una risposta unica a tale domanda, mentre l’Antico Testamento vede succedersi sei sezioni molto diverse tra loro e che abbiamo così individuato:
1-Prima di Abramo (Diluvio e successivo periodo di transizione).
2-Con Abramo, nella cui discendenza Dio individua il nucleo portante del suo popolo.
3-Con Mosè, attraverso il quale Dio dà una forma statale al suo popolo.
4-Con Davide, che dà l’esempio di un rivolgersi a Dio con «Ascoltami, o Dio», rovesciando il precedente prevalere di «Ascolta Israele» da parte di Dio. Gesù, come figlio di Davide, ne prosegue l’opera e si pone su quella scia.
5-Con Daniele, che rappresenta sotto molti aspetti una preparazione e un ponte verso il Nuovo Testamento, come tra poco vedremo. Segnaliamo solo che con questo profeta, per la prima volta, troviamo espresso chiaramente il concetto della risurrezione dei morti, che è centrale nel Nuovo Testamento e il cui significato si fonda su quello datogli in Daniele 12:2,13.
6-Con la fine dell’Antico Testamento e fino alla nascita di Gesù. Il fatto più rilevante è la traduzione in greco dell’Antico Testamento, sulla quale ci soffermiamo nel par. d).
B.Il Tetragramma nell’Antico Testamento prima di Daniele.
Se pensiamo al nome di Dio nell’Antico Testamento viene subito in mente il Tetragramma (YHWH), che troviamo in Esodo 13:13-16 e che viene tradotto anche con Geova o con Javè (quest’ultimo è quello che useremo noi). Per i Testimoni di Geova (TdG) il nome di Dio è, appunto, Geova ed è quello il solo che andrebbe usato per riferirci a Dio. La soluzione data dai TdG è però peggiore del problema che giustamente pongono, ma questo non dovrebbe esentarci dal trovare un’adeguata soluzione. Cerchiamo dunque di vedere come Dio risolve il problema nella sua Parola, ripercorrendone le varie fasi.
IL TETRAGRAMMA IN ESODO 3:13-16, dove leggiamo: «Mosè disse a Dio: «Ecco, quando sarò andato dai figli d’Israele e avrò detto loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato da voi”, se essi dicono: “Qual è il suo nome?” che cosa risponderò loro?» Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono». Poi disse: «Dirai così ai figli d’Israele: “l’IO SONO mi ha mandato da voi”». Dio disse ancora a Mosè: «Dirai così ai figli d’Israele: “Il SIGNORE , il Dio dei vostri padri, il Dio d’Abraamo, il Dio d’Isacco e il Dio di Giacobbe mi ha mandato da voi”. Tale è il mio nome in eterno; così sarò invocato di generazione in generazione. Va’, raduna gli anziani d’Israele e di’ loro: “Il SIGNORE, il Dio dei vostri padri, il Dio d’Abraamo, d’Isacco e di Giacobbe mi è apparso, dicendo: Certo, io vi ho visitati».
In questo versetto siamo di fronte ad una manifesta contraddizione del traduttore, che come vedremo ha però le sue ragioni. Quando Dio dice a Mosè di dire che l’ha mandato l’IO SONO, Dio intende il Tetragramma, ma poi andiamo a leggere più sotto e il traduttore scrive che Mosè dice di essere stato mandato dal SIGNORE, nome che ha tra l’altro un’ampia gamma di significati. In alcune traduzioni, lodevolmente, quando troviamo scritto “SIGNORE”, cioè con tutte lettere maiuscole, significa che nell’originale c’è il Tetragramma, che invece non è sottostante quando è usata la forma normale di “Signore”. Nelle traduzioni che non operano questa distinzione, alcuni versetti risultano poco comprensibili.
ALTRI IMPORTANTI VERSETTI RIGUARDANTI IL TETRAGRAMMA. Andiamo a vedere altri significativi passi dell’Antico Testamento in cui è presente Javè:
–Isaia 42:8: «Io sono il SIGNORE; questo è il mio nome; io non darò la mia gloria a un altro, né la lode che mi spetta agli idoli». Qui Dio dice espressamente che Javè è il suo nome, è il nome che lo distingue dagli idoli, è il nome che Dio usa nel relazionarsi col suo popolo, come se fosse il nome che usa in famiglia, cioè “babbo”.
–1 Re 18:36-39: «All’ora in cui si offriva l’offerta, il profeta Elia si avvicinò e disse: «SIGNORE, Dio d’Abraamo, d’Isacco e d’Israele, fa’ che oggi si conosca che tu sei Dio in Israele, che io sono tuo servo, e che ho fatto tutte queste cose per ordine tuo. Rispondimi, SIGNORE, rispondimi, affinché questo popolo riconosca che tu, o SIGNORE, sei Dio, e che tu sei colui che converte il loro cuore!» Allora cadde il fuoco del SIGNORE, e consumò l’olocausto, la legna, le pietre e la polvere, e prosciugò l’acqua che era nel fosso. Tutto il popolo, veduto ciò, si gettò con la faccia a terra, e disse: «Il SIGNORE è Dio! Il SIGNORE è Dio!». In questi versetti si parla di quando c’era da decidere chi fosse il vero Dio. Da una parte c’erano i profeti di Baal (che tra l’altro significa “signore”, “padrone”) e dall’altra Javè. Il popolo, dopo aver visto Javè agire, disse: «Javè è Dio!» Mentre l’espressione «Il Signore è Dio» rende male il significato, non solo della conclusione, ma dell’intero racconto.
–Salmo 110:1: «Il SIGNORE ha detto al mio Signore: «Siedi alla mia destra finché io abbia fatto dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi». Anche qui, dire «Il SIGNORE ha detto al mio Signore» genera confusione, mentre l’uso di Javè fa chiarezza, anche perché il contesto dà a “Signore” il significato di “re” e perciò di Messia. Un Ebreo capiva dunque così: «Javè ha detto al mio signore Messia…».
–Salmo 83:18: «E conoscano che tu, il cui nome è il SIGNORE, tu solo sei l’Altissimo su tutta la terra». Qui troviamo due nomi di Dio: Javè e l’Altissimo. Javè è il nome con il quale Dio si relaziona con Israele, mentre l’Altissimo è il nome universale di Dio, un po’ come se fosse il nome con cui il “babbo” è conosciuto fuori casa. È utilizzato da Melchisedec, che non faceva parte del popolo di Dio (Gen 14:19), nel libro di Daniele (vedere sotto), come pure dall’angelo quando annuncia a Maria che Gesù sarà chiamato «figlio dell’Altissimo», collocandolo non solo all’interno del popolo d’Israele, ma già su un piano universale (Luca 1:30).
C.Il nome di Dio nel libro di Daniele.
In Daniele il nome di Dio è usato in modo che anticipa e rende più comprensibile il Nuovo Testamento. In 2:20 sembra che venga confermato l’uso di Javè, perché Daniele esclama: «Sia benedetto eternamente il nome di Dio perché a lui appartengono la saggezza e la forza». In Daniele non viene invece mai riportato Javè e il vero Dio è indicato in vari altri modi. Nabucodonosor usa spesso Altissimo (4:2-37; 3:26; 7:17-27). Troviamo poi Dio del cielo, Dio grande, il nostro Dio detto da Daniele e i suoi compagni, il vostro Dio detto dall’imperatore a Daniele e i suoi compagni, il loro Dio detto dall’imperatore rivolgendosi ai Babilonesi (2:44-47; 3:17; 3:28-29; 6:26). Dunque Dio prende così anche il nome dei suoi testimoni e sarà capitato anche a qualcuno di noi di sentirci dire il tuo Dio. Parallelamente, nel Nuovo Testamento vediamo che di norma non viene usato Javè e Dio finisce per prendere soprattutto il nome del suo testimone principale, cioè Gesù.
Quando Daniele parlò con l’imperatore, vediamo poi che non usò l’ebraico, ma l’aramaico (da 2:4 a 7:28), cioè la lingua della corte.
Una novità di Daniele, rispetto a Mosè, è nel rapporto con i dominatori politici. Mosè invitò il faraone a lasciare Israele libero di uscire e andarsene nella Terra promessa (Eso 3:16-17). Mentre Daniele si è sottomesso alle autorità babilonesi, con l’obiettivo di ottenere libertà di culto per un popolo di Dio che restava nell’impero (Dan 3:28-30; 4:34-37). Così facendo è riuscito a parlare efficacemente del grande Dio, facilitando il formarsi delle sinagoghe in tutto l’impero. Questo atteggiamento di Daniele lo ritroviamo poi nel Nuovo Testamento, con Gesù che ha avviato un’espansione della Parola di Dio sotto l’apparente controllo di autorità pagane, come si può vedere nei Vangeli e negli Atti degli apostoli.
Daniele, anche grazie al suo restare sottomesso, venne stabilito come governatore della capitale (Babilonia) e capo supremo di tutti i saggi (2:48). Questo certifica che l’imperatore si fidava di Daniele, sia per le sue capacità e sia per la sua fedeltà. Tutto ciò ci porta a pensare ad un adattamento e ad un’integrazione di Daniele in quella cultura, come poi vediamo in Paolo, quando ha parlato agli Ateniesi nella loro lingua (greca) e della loro cultura (Atti 17:22-31), sottoponendosi all’imperatore come cittadino romano, fino ad appellarsi a Cesare (Atti 25:11). Ciò che troviamo in Paolo, perciò, non è una novità, bensì una prosecuzione di ciò che già aveva fatto anche Daniele.
Una più ampia analisi su Daniele si può trovare nel primo libro di questa collana (RAT, cap. 23).
D.La traduzione in greco dell’Antico Testamento come preparazione al Nuovo.
La prosecuzione di un Antico Testamento in ebraico con un Nuovo Testamento in greco dà luogo a incertezze e incoerenze. Poco più di un secolo prima della venuta di Gesù, però, c’è stata la traduzione dell’Antico Testamento in greco conosciuta come dei Settanta.
Il popolo di Dio come ha considerato questa traduzione? Nella sinagoga di Corinto, come nella generalità delle sinagoghe al di fuori della Giudea, sappiamo che leggevano la traduzione dei Settanta. Gli autori del Nuovo Testamento, quando citano l’Antico, si rifanno alla traduzione dei Settanta. Tutto ciò porta a pensare che fosse approvata da Dio. In quei luoghi in cui la lingua universale era il greco, l’originale in ebraico sarebbe stato poco utile, a meno che tutti non si iscrivessero a un corso di lingua ebraica, ma ciò mostrerebbe una chiusura al mondo da parte di Dio, con un suo richiedere uno sforzo linguistico da parte dei credenti per relazionarsi con Lui, cosa che andrebbe però contro il carattere di Dio.
Il fatto che il Nuovo Testamento è la prosecuzione di quello Antico in greco, ci fa capire che le parole del Nuovo Testamento hanno in genere il significato dato loro nella versione dei Settanta. Come per esempio “vangelo” (“buona notizia”, cfr. Isa 40:9; 61:1) e “chiesa” (“assemblea”, cfr. Sal 89:5; 149:1).
Dio ama parlare ai popoli nella loro lingua e, per comprenderlo, una migliore traduzione non è in genere decisiva. Gli studiosi di lingua ebraica e greca spesso non sono d’accordo tra loro sul significato da dare alla Parola di Dio e ciò mostra che non è determinante la sapienza umana, che non va certo disprezzata, ma usata alla pari di altri doni che Dio dà alla chiesa.
Un altro aspetto importante si può ricavare dal fatto che Paolo non citava traduzioni personali dell’Antico Testamento dall’ebraico, altrimenti avrebbe chiamato le persone ad avere fiducia in lui. Ha invece scelto di usare la versione dei Settanta, che era riconosciuta da tutti, invitando così ad avere fiducia nella traduzione adottata dal popolo di Dio e perciò implicitamente voluta da Dio stesso. Nella traduzione dei Settanta un problema da affrontare e risolvere fu il dover adattare a tutti una Parola di Dio rivolta al suo popolo, perciò a volte ci sono sfumature diverse fra l’originale ebraico e la traduzione in greco.
Riguardo alla traduzione del Tetragramma, per esempio, nella Settanta si evitò di usare il nome con il quale Dio si rapportava ad Israele (cioè Javè), scegliendo quello generico di “Signore”.
E.L’uso del nome di Gesù nel Nuovo Testamento.
a)Il nome di Gesù svolge il ruolo del Tetragramma.
Quando Gesù è stato pienamente riconosciuto come Messia, lo si è indicato con “Signore” nel senso di “re”. Si è venuta così a creare un’incertezza, non sapendo a volte se “Signore” si riferisce a Gesù o al Padre. Questi casi sono presenti soprattutto negli Atti degli apostoli, mentre nel linguaggio che si usava all’interno della chiesa (vedere per es. 1Tim, 1Pie e 1Giov) è chiaro che per “Dio” intendeva il Padre e “Signore” era riferito a Gesù. Insomma, un linguaggio meno preciso lo si trova quando gli apostoli dovevano parlare a chi non conosceva Gesù, con i quali era necessario indicare Dio in un modo più vago e utilizzando il termine diffuso di Signore, usato anche quando viene citata la Settanta, dove al posto di Javè c’è Signore.
Questo giustifica solo in parte il linguaggio confuso e vago che troviamo spesso nelle chiese, dove si tende a utilizzare “Signore” in modo generico, non sapendo bene se ci si sta riferendo al Padre o a Gesù.
Nel Nuovo Testamento il nome che viene contrapposto agli idoli, il nome che distingue Dio, non è più Javè, bensì Gesù, che è in piena sintonia con Javè. Il vero Dio è dunque il Dio di Gesù (2Cor 1:3), di cui Gesù ne è il testimone perfetto. Gesù non è il Padre, ma in quanto Figlio ne è il suo rappresentante. Non è un caso che, negli incontri ecumenici tra le varie religioni, non si fa il nome di Gesù, perché è lui a identificare l’unico vero Dio, distinguendolo dalle varie religioni elaborate dagli uomini.
Paolo definisce i credenti come «i santificati nel Messia Gesù, chiamati santi, con tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Messia» (1Cor 1:2). Nel Nuovo Testamento il nome da invocare è quello di Gesù e si invitano le persone ad affidarsi a Gesù, mentre nell’Antico Testamento ciò veniva riferito a Javè, a Dio Padre. C’è quindi un delegare del Padre al Figlio, a cui è stato dato tutto il giudizio (Giov 5:22). Gesù parla di quelli che erano del Padre e che il Padre stesso gli ha affidato (Giov 17:6), con un passaggio di credenti che si relazionavano al Padre a credenti che vengono messi dal Padre stesso in una relazione diretta col Figlio, senza che il Padre ne sia geloso.
Insomma, i credenti sono quelli che invocano il nome di Gesù, che chiedono aiuto a lui, che vivono insieme a lui “come se fosse vivo”, ma come abbiamo già visto in precedenza, Gesù è vivo!
Sull’impostazione che abbiamo sopra riassunto si potrebbero fare molti esempi, traendoli da tutto il Nuovo Testamento: ci limitiamo ad alcuni, riguardanti Pietro e Paolo,
b)Esempi dell’uso del nome di Gesù in Pietro.
-Atti 2:21. Pietro a Pentecoste, nel grande e primo annuncio del Vangelo dopo l’ascensione di Gesù, annuncia: «Il sole sarà mutato in tenebre, la luna in sangue, prima che venga il grande e glorioso giorno del Signore. E avverrà che chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato». Si tratta di una citazione tratta da Gioele 2:31-32 e, dall’insieme del discorso di Pietro, si ricava chiaramente che per “Signore” lui intende Gesù, perché poi dirà: «Dio ha costituito Signore e Messia quel Gesù che voi avete crocifisso», invitandoli a farsi battezzare «nel nome di Gesù Messia, per il perdono dei vostri peccati» (vv. 36-38). Significativo che, in Gioele, il nome da invocare era quello di Javè, un concetto ripreso anche nel Salmo 32:6, dov’è scritto, sempre riferendosi a Javè: «Ogni uomo pio t’invochi mentre puoi essere trovato». Il nome di Gesù, così, viene messo al posto del Tetragramma!
-Atti 3:1-26. Operando nel nome di Gesù, gli apostoli scandalizzavano. Vediamo in questi versetti che Pietro e Giovanni furono arrestati dopo aver guarito uno zoppo nel nome di Gesù e aver insegnato di Gesù (Atti 3:1-26). Ubbidendo a Dio, anziché a sacerdoti, capitano del tempio e sadducei, che avevano imposto loro di non parlare né insegnare affatto nel nome di Gesù (Atti 4:18).
–Atti 4:11-12. Pietro arriva a dire di Gesù che «In nessun altro è la salvezza; perché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati». Nessun altro nome oltre a quello di Gesù porterà a salvezza, ma in Gioele era il nome di Javè a portare salvezza. Sembra che ci sia una contraddizione, ma è scritto che «sotto al cielo» non c’è nessun altro nome, perché sopra al cielo c’è! Dunque, il Dio che è nel cielo (Mat 6:9) ha delegato un altro nome sotto il cielo, quello di Gesù, per rappresentarlo in modo esclusivo, innalzandolo sovranamente affinché nel suo nome si pieghi ogni ginocchio (Fil 2:9-11).
c)Esempi dell’uso del nome di Gesù in Paolo.
-Atti 9:13-28. Viene raccontato il primo incontro di Paolo con Gesù sulla via per Damasco, nel quale ha subito percepito la centralità di Gesù. Ad Anania, infatti, Gesù così disse di Paolo: «È uno strumento che ho scelto per portare il mio nome davanti ai popoli, ai re, e ai figli d’Israele; perché io gli mostrerò quanto debba soffrire per il mio nome» (vv. 15-16). Poi troviamo Barnaba che racconta come Paolo aveva visto il Signore e predicato con coraggio e con franchezza nel nome di Gesù (v. 27), cioè del Signore (v. 28, riferito evidentemente a Gesù).
-Romani 10:12-15. Non c’è perciò da stupirsi che, come sopra abbiamo visto con Pietro, Paolo riprenda l’affermazione in Gioele 2:32 applicandola a Gesù. In Romani 10:12-15 infatti scrive: «Poiché non c’è distinzione tra Giudeo e Greco, essendo egli lo stesso Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato. Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? E come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? E come potranno sentirne parlare, se non c’è chi lo annunzi? E come annunzieranno se non sono mandati?». Si chiarisce di chi si sta parlando subito sotto: «Così la fede viene da ciò che si ascolta, e ciò che si ascolta viene dalla parola del Messia» (v. 17). Dunque è Gesù da invocare, è Gesù colui di cui si deve parlare affinché lo invochino.
-Atti 17:16-31. Lo spirito di Paolo, ad Atene, s’inacerbiva nel vedere la città piena di idoli. Prima ha preso un po’ in giro gli Ateniesi per gli oggetti del loro culto e per l’altare dedicato “al dio sconosciuto” (Atti 17:23); poi alla fine, come alternativa agli idoli, ha proposto Gesù, l’uomo che Dio ha stabilito per giudicare il mondo, dandone sicura prova con l’averlo risuscitato dai morti (Atti 17:31). Troviamo dunque che chi viene contrapposto agli idoli è Gesù! Concludiamo riportando senza commento altre tre citazioni.
–Atti 16:18: «Così fece per molti giorni; ma Paolo, infastidito, si voltò e disse allo spirito: «Io ti ordino, nel nome di Gesù Cristo, che tu esca da costei». Ed egli uscì in quell’istante».
–Atti 19:17. Viene riferito di un episodio riguardante alcuni esorcisti, durante l’opera di Paolo ad Efeso: «Questo fatto fu risaputo da tutti, Giudei e Greci, che abitavano a Efeso; e tutti furono presi da timore, e il nome del Signore Gesù era esaltato».
–Atti 21:13: «Paolo allora rispose: «Che fate voi, piangendo e spezzandomi il cuore? Sappiate che io sono pronto non solo a essere legato, ma anche a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù».
Sul linguaggio trinitario del Nuovo Testamento si può consultare la scheda di Fernando De Angelis “Paolo e Gesù 2”, messa sul suo sito in data 12/10/19 (link).
F.Il battesimo nel solo nome di Gesù.
Gesù, alla fine del Vangelo di Matteo, ha detto agli apostoli: «Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (Mat 28:19). Nella cristianità, su questa base, il battesimo viene di solito fatto «nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». Gli apostoli, che riteniamo fedeli e autorizzati interpreti del Vangelo, battezzavano però nel solo nome di Gesù e questo ci porta a riflettere sul particolare significato che ciò potrebbe avere. Il battezzare nel solo nome di Gesù significava affidare subito i credenti a Gesù, ponendoli in un rapporto intimo e diretto con lui.
Ecco alcuni passi del Nuovo Testamento che indicano, direttamente o indirettamente, che gli apostoli battezzano nel solo nome di Gesù:
–Atti 2:38. Pietro disse: «Ravvedetevi e ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e voi riceverete il dono dello Spirito Santo».
–Atti 8:16: «Erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù».
–Atti 10:48: «Comandò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo».
–Atti 19:5: «Furono battezzati nel nome del Signore Gesù».
–Atti 22:16: «Fratello Saulo […] Il Dio dei nostri padri ti ha destinato […] a vedere il Giusto […] Alzati, sii battezzato e lavato dei tuoi peccati, invocando il nome suo [cioè di Gesù]».
–Romani 6:3: «Tutti noi, che siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte».
–Galati 3:27: «Infatti voi tutti che siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo».
Approfondimento n. 4
LA BIBBIA IN ITALIANO COME BASE PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI
Vogliamo qui precisare i presupposti che riteniamo necessari per dialogare tra credenti. Li abbiamo ricavati dalla Parola di Dio, ma non vogliamo escludere quanti non li condividono, anzi desideriamo accoglierli e amarli, evitando le dispute dottrinali.
1.Da Adamo in poi, e più chiaramente da Abramo, c’è una continuità senza interruzione del popolo di Dio.
Il popolo di Dio c’è sempre stato e non si è mai interrotta l’opera di Dio al suo interno. Molti protestanti, invece, di fatto pensano che ciò sia accaduto nel Medioevo, durante il quale la corruzione della chiesa cattolica li porta a pensare che Dio avesse smesso di agire, ripartendo poi nel 1517 con Martin Lutero.
Pur essendo la continuità più chiara a partire da Abramo, vorremo far notare che anche prima c’era il popolo di Dio, perché Abele e Set sono considerati credenti, Enoc camminò con Dio per trecento anni, Noè parlava con Dio e Abramo è un discendente di Noè (Gen 4:4; 4:25-26; 5:22; 6:9-13; 10:1; 11:10-26; Ebr 11:4-40). Dopo Abramo troviamo Isacco e Giacobbe, dal quale discende il popolo d’Israele. Un popolo che, benché abbia passato periodi nei quali era fortemente corrotto, non ha mai smesso di essere suo popolo. Anche quando hanno spinto Dio perfino a far distruggere il primo Tempio.
Nella Bibbia non c’è un’interruzione nel popolo di Dio e Gesù stesso dice che quel popolo, nonostante che avesse trasformato il secondo Tempio in una spelonca di ladri (Mat 21:13), restava il popolo di Dio, capace di portare benedizione (Giov 4:22).
2.Il compito essenziale del popolo di Dio è di custodire e diffondere la sua Parola scritta.
Gesù e gli apostoli hanno considerato come Parola di Dio scritta quella che era stata loro tramandata da un popolo Giudeo che la distorceva nella predicazione, ma che ne custodiva delle copie fedeli nelle sinagoghe. Era quella lì, quella scritta, ad essere indiscutibile per Gesù e gli apostoli. Quella era la Parola di Dio e quei Giudei che la custodivano erano il popolo di Dio, corrotti o ubbidienti che fossero.
Anche la chiesa cattolica del Medioevo, perciò, era comunque il popolo di Dio, perché ha portato avanti il compito essenziale di trasmettere la Parola di Dio scritta. È da loro che Lutero l’ha ricevuta e la sua lettura ha portato alla riforma protestante (con i principi di sola Scrittura, sola grazia, sola fede, tutti sacerdoti, solo Cristo, solo a Dio la gloria).
3.Gli originali ispirati da Dio si sono conservati sufficientemente e sono affidabili.
Crediamo che Dio abbia ispirato Matteo, Paolo, Giovanni e tutti gli altri a scrivere la sua Parola. Se quando l’hanno scritta era ispirata, poi Dio non si fosse curato di una copiatura fedele, ciò che è arrivato a noi non sarebbe la Parola di Dio, ma qualcosa di manipolato. Gesù e gli apostoli si sono fidati di una Parola di Dio trasmessa loro da un popolo di Dio spesso infedele e così vogliamo fare anche noi.
I testi sui quali leggiamo oggi la Parola di Dio, confrontati con i più antichi manoscritti pervenutici, presentano variazioni piccole e di poco significato. Il testo della Bibbia che abbiamo tra le nostre mani, perciò, lo consideriamo Parola di Dio affidabile.
4.Ci basiamo sulle traduzioni in italiano provveduteci da Dio.
Vogliamo capire e sapere cosa dice la Bibbia che abbiamo in mano. Dato che Dio ci ha provveduto la traduzione in italiano, come italiani dobbiamo sentirci responsabili verso il messaggio rivoltoci nella nostra lingua.
5.Le traduzioni in italiano dovrebbero essere il riferimento condiviso dei credenti.
In Italia, perciò, in una chiesa, la Bibbia in italiano è il testo che dovrebbe essere riconosciuto come autorità. Ciò non toglie che, per certe parole come “SIGNORE”, “chiesa” e “vangelo”, possiamo beneficiare dei significati originali, che a volte gli stessi traduttori dichiarano nelle loro note.
Si possono poi confrontare le varie versioni in italiano che Dio ci ha permesso di avere, facendo la personale scelta di partire da una versione sulla quale concentrare il nostro studio e la nostra memorizzazione, aperti in caso di necessità a consultare anche le altre, evitando però le traduzioni di coloro che non riconoscono l’autorità dell’originale greco, né la continuità del popolo di Dio (per esempio, i Testimoni di Geova, ma non solo).
6.I Dodici e quelli da loro approvati sono gli interpreti fedeli di Gesù, perciò normativi.
Sembra scontato, ma spesso succede che si ritengano sbagliate le scelte dei Dodici apostoli e di quelli a loro associati (come Barnaba, Paolo, Luca), oppure valide soltanto per quel periodo. Il Nuovo Testamento cessa allora di essere la NORMA CONDIVISA e viene sostituito dalle scelte arbitrarie che ciascuno fa.
7.La traduzione dei Settanta non è solo un’opera umana, ma riflette un progetto di Dio.
Per il popolo di Dio prima di Gesù, e poi per gli apostoli, la traduzione dei Settanta era Parola di Dio. Essendo il Nuovo Testamento la prosecuzione dell’Antico Testamento in greco, cioè della traduzione dei Settanta, per capire bene il Nuovo Testamento ci sentiamo in obbligo di confrontarlo con l’Antico Testamento in greco, perché il Nuovo Testamento riprende da lì il significato di molte importanti parole. Dio aveva già preparato le circostanze per far accogliere il Nuovo Testamento in greco, facendo usare dal suo popolo l’Antico Testamento tradotto, e inevitabilmente adattato, in greco.