Alessia Lanini

DA ADAMO AGLI APOSTOLI

Una panoramica di tutta la Bibbia basata sul testo in sé

Volume (da definire)

 

Scuola elementare di cristianesimo

Dialoghi sulla prima lettera di Paolo ai Corinzi, condotti da Fernando De Angelis

BOZZA 1 DEL DIALOGO 7: 1CORINZI 1:25-2:16 

 

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1.Panoramica introduttiva

2.Una teologia praticata da Dio (1:25-31)

3.Paolo era stato coerente con i principi esposti (2:1-5)

4.La potente sapienza di Dio nel credente (2:6-16)

 

1.PANORAMICA INTRODUTTIVA

In 1Corinzi 1:24 Paolo ha concluso il primo ciclo sulla potente sapienza di Dio, poi in 1:25 dà il titolo al successivo ciclo, che va fino a 1:31 e nel quale precisa come si sono svolti i fatti a Corinto. Mostrando come Dio abbia operato secondo i principi sull’evangelizzazione da lui esposti. Mentre da 2:1 a 2:5 espone come lui stesso abbia messo in pratica ciò che insegnava, ricordando ai Corinzi l’atteggiamento che aveva avuto tra loro, dando la dimostrazione della sua teoria sull’evangelizzazione. Nella successiva sezione, da 2:6 a 2:16, Paolo si rivolge a quanti sono maturi, arrivando a spiegare in che cosa consista e come si manifesti questa pazzia di Dio, che è più saggia degli uomini e si rivela una sapienza potente, capace di cambiare le menti delle persone rispetto al mondo, per arrivare addirittura a far avere loro la mente del Messia (2:16).

 

2.UNA TEOLOGIA PRATICATA DA DIO (1:25-31)

«Poiché la pazzia di Dio è più saggia degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini.» (1:25)

Paolo esprime un concetto ripreso poi anche in 1:27, lo fa con uno stile che si ritrova in altre parti della Bibbia e che consiste nel formulare un pensiero con due varianti simili. In Proverbi 10:1, per esempio, è scritto: «Un figlio saggio rallegra suo padre, ma un figlio stolto è un dolore per sua madre», che rappresentano due sfumature dello stesso concetto. Paolo fa la stessa cosa nel versetto in esame, parlando dell’apparente pazzia e debolezza di Dio.

Dio sceglie le cose pazze e deboli, cioè quelle che gli uomini scarterebbero, e lo fa affinché nessuno si vanti di fronte a lui, come viene concluso successivamente il tema (cfr. vv. 29,31).

 

«Infatti, fratelli, guardate la vostra vocazione; non ci sono tra di voi molti sapienti secondo la carne, né molti potenti, né molti nobili; ma Dio ha scelto le cose pazze del mondo per svergognare i sapienti; Dio ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti; Dio ha scelto le cose ignobili del mondo e le cose disprezzate, anzi le cose che non sono, per ridurre al niente le cose che sono» (1:26-28)

Paolo inizia con “infatti”, volendo dare la dimostrazione di quanto detto, e lo fa mostrando ai Corinzi come Dio ha operato tra loro. Usa ancora un linguaggio “iperbolico”, che perciò non deve e non può essere preso alla lettera. Chiarisce che tra loro c’era qualche sapiente (quelli che avevano molta cultura), qualche potente (i ricchi, o chi aveva cariche politiche) e qualche nobile (i più onorati), cioè quelli ai vertici della società; poi però sembra come se non ce ne fosse nessuno. Dio dunque non aveva svergognato tutti i sapienti, né tutti i forti, né tutti i nobili, perché di appartenenti a queste classi sociali fra i credenti qualcuno c’era. Il Vangelo non è classista, cioè non si rivolge ad una determinata classe sociale escludendo le altre, ma persone di diversa appartenenza si integrano, con il più forte che aiuta chi è più debole.

 

«Perché nessuno si vanti di fronte a Dio. Ed è grazie a lui che voi siete nel Messia Gesù, che da Dio è stato fatto per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione; affinché, com’è scritto: «Chi si vanta, si vanti nel Signore» (1:29-31).

Paolo chiarisce che Dio agisce così affinché l’orgoglio delle persone venga abbattuto e nessuno esalti se stesso di fronte a Dio.

Nelle Lettere viene usato un preciso linguaggio trinitario nel quale, quando si parla di Dio, si intende il Padre (v. 29). È quindi grazie a Dio Padre che siamo nel Messia Gesù (v. 30). Un’espressone simile la troviamo in Giovanni 3:16: «Perché Dio (Padre) ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio (Gesù), affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna». Siamo cioè chiamati ad apprezzare Gesù come un dono fattoci dal Padre.

Nel v. 31 troviamo un’eccezione nel linguaggio, perché viene citato l’Antico Testamento in greco, dove Javè veniva tradotto Signore. Considerando il contesto della citazione, perciò, è come se nel v. 31 ci fosse scritto: «Chi si vanta si vanti in Dio».

Nel versetto 30 sono elencate quattro caratteristiche che Gesù ci trasmette, cioè sapienza, giustizia, santificazione e redenzione, che dovrebbero essere accolte nel loro insieme, ma nella pratica spesso scegliamo ciò che più ci piace e ci fa comodo, tenendoci stretta la redenzione, ma volendo saper poco della santificazione.

In 6:9-11 Paolo poi scrive: «Non v’illudete: né fornicatori, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriachi, né oltraggiatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Messia e mediante lo Spirito del nostro Dio». Anche in questo caso si cerca di scegliere, prendendo solo l’essere lavati e giustificati, continuando per il resto a fare la nostra vita.

Analogamente, Pietro si rivolge ai credenti definendoli come «eletti secondo la prescienza di Dio Padre, mediante la santificazione dello Spirito, a ubbidire e a essere cosparsi del sangue di Gesù Messia» (1Pie 1:2). Essendo eletti secondo la prescienza di Dio Padre, tutto parte da lui; poi viene aggiunto che lo siamo mediante la santificazione dello Spirito, per ubbidire e per essere cosparsi del sangue di Gesù. È facile concentrarci nell’elezione e nell’essere cosparsi del sangue di Gesù, tralasciando la santificazione e l’ubbidienza. Accontentandoci e adagiandoci su ciò che a noi basta e che quindi non ci porta alla maturità.

Notiamo una chiara distinzione dei ruoli: l’elezione è fatta dal Padre, che ha la sovranità assoluta, secondo la prescienza e non secondo qualcosa che è in noi. Dio Padre opera questa elezione mediante la santificazione dello Spirito, che opera nel nostro intimo, perché è da lì che parte la santificazione e non dall’esterno. Siamo quindi eletti, purificati, trasformati e chiamati da Dio per assomigliargli, non semplicemente per avere un lasciapassare per dopo la morte. Con un cammino di vita in ubbidienza a Gesù, che è il nostro comandante, il nostro re, il nostro signore, il nostro capitano.

 

3.PAOLO ERA STATO COERENTE CON I PRINCIPI ESPOSTI (2:1-5)

«E io, fratelli, quando venni da voi, non venni ad annunciarvi la testimonianza di Dio con eccellenza di parola o di sapienza; poiché mi proposi di non sapere altro fra voi, fuorché Gesù Messia e lui crocifisso. Io sono stato presso di voi con debolezza, con timore e con gran tremore; la mia parola e la mia predicazione non consistettero in discorsi persuasivi di sapienza, ma in dimostrazione di Spirito e di potenza, affinché la vostra fede fosse fondata non sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio» (2:1-5).

 

Dopo aver esposto le sue teorie, Paolo dimostra che venivano da Dio perché così Dio aveva operato. Ricorda ai Corinzi come lui stesso aveva operato tra di loro, infatti insegnava ciò che viveva e viveva ciò che insegnava. Come Gesù, che diceva: «Seguimi», chiamando a vivere con lui per imparare attraverso l’esempio che mostrava. Paolo, 1Corinzi 11:1, dirà poi: «Siate miei imitatori, come anch’io lo sono del Messia». Il suo dunque non era solo un insegnamento di parole, ma ad esse corrispondeva una coerenza di vita.

Potremmo chiederci perché Paolo si metta a raccontare come si era comportato a Corinto: non lo sapevano già? Il fatto è che per non pochi era come se non avessero avuto un rapporto diretto con lui, perché dicevano che sembrava chissà cosa solo quando scriveva, ma quand’era tra loro appariva come un uomo debole (2Cor 10:10). Paolo vuole allora spiegare ai Corinzi il perché fosse stato tra loro con debolezza, con timore e con gran tremore, scegliendo tre parole che riguardano lo stesso stato d’animo, ma disponendole in un crescendo. Se uno deve insegnare matematica, la studia per se stesso e poi la insegna ad altri, facendolo con tranquillità. Paolo, però, non insegnava pensieri, ma era cosciente di essere un canale attraverso il quale passava la potenza di Dio, che è una specie di “alta tensione” da trasmettere agli ascoltatori; come se Paolo dovesse farsi attraversare dal fuoco senza bruciarsi. Anche noi dovremmo tremare al pensiero di essere usati da Dio come canali, ma di solito non ne siamo coscienti e spesso non ci attraversa una “alta tensione”.

In Romani 1:16 Paolo dice che non si vergogna del Vangelo, perché è potenza di Dio. In 1Corinzi è stato fin qui più volte introdotto il discorso sulla potenza di Dio, ma senza spiegarla (1:18,24; 2:4,5), cosa che invece farà subito dopo (2:6-16).

Intanto Paolo afferma che la nostra fede deve essere basata su questa potenza di Dio (v. 5). Chiediamoci allora: «Su cosa si basa la mia fede? Su una dottrina che ho accettato o su una potenza che ho sperimentato?». Se la nostra fede non è fondata sulla potenza di Dio, allora non è ben fondata.

 

4.LA POTENTE SAPIENZA DI DIO NEL CREDENTE (2:6-16)

A partire da 2:6, sintetizzando, Paolo parla della potenza di Dio che si manifesta in noi ricevendo lo Spirito di Dio (2:10), che ci fa conoscere le cose di Dio fino a farci avere, addirittura, la mente del Messia (2:16). La sapienza di Dio è infatti una sapienza potente, che agisce efficacemente nelle nostre vite e che «per noi, che veniamo salvati, è la potenza di Dio» (1:18).

 

«Tuttavia a quelli tra di voi che sono maturi esponiamo una sapienza, però non una sapienza di questo mondo né dei dominatori di questo mondo, i quali stanno per essere annientati» (2:6).

Il capitolo inizia con “tuttavia”, che ha un significato simile a “ma” e “però”, indicando un contrasto. Paolo ha parlato della pazzia di Dio e si potrebbe pensare che Dio sia davvero pazzo. Egli vuole ora mettere in chiaro che è all’uomo corrotto che Dio sembra pazzo, invece Dio ha una sua logica e una sua sapienza, delle quali rende partecipi i credenti.

Paolo si rivolge a quelli che erano maturi, non a tutti. Per esempio, non si può parlare di che cos’è il matrimonio a bambini di cinque anni, bisogna aspettare che abbiano superato almeno l’adolescenza. Nella vita naturale c’è un intervallo non breve tra la nascita e la maturità ed è così anche per la vita di fede. Paolo perciò esclude i bambini nella fede e i disubbidienti, rivolgendosi a quelli che hanno già fatto un adeguato percorso di crescita.

Si potrebbe obiettare che lo Spirito Santo è dato all’inizio e a tutti, ma lo Spirito Santo inizia in noi un percorso di istruzione e, se lo soffochiamo, non impariamo a riconoscerne la voce, non sappiamo se ci parla o meno, né comprendiamo quello che ci dice. Alcuni sottovalutano la guida dello Spirito Santo, affidandosi soprattutto alla parola di Dio scritta, perché temono di capire male, ma senza l’opera dello Spirito in noi non possiamo diventare maturi.

Altri si accontentano di essere salvati e si fermano lì, senza sentire il bisogno di crescere. Quando però un credente non cresce, la sapienza che usa assomiglia molto a quella dei non credenti perché, se non cresciamo, in larga parte rimane in noi l’uomo vecchio.

Paolo annuncia che i dominatori di questo mondo stanno per essere annientati… ma sono passati circa duemila anni e la logica ci porterebbe a pensare che si sia sbagliato. In tutto il Nuovo Testamento è però evidente come venga annunciato un ritorno di Gesù che sembra essere imminente (1Cor 7:29; Rom 13:11; Apo 22:20). In particolare, in 1Tessalonicesi 4:15 viene espresso il fatto che, al ritorno di Gesù, quelli ancora vivi saranno risuscitati senza morire; quindi si supponeva che Gesù sarebbe tornato quando qualcuno di loro era ancora vivo. È questa allora una profezia disattesa? No, per due motivi.

Il primo motivo è riscontrabile nella parte finale dei discorsi profetici di Gesù, cioè da Matteo 24:36 a 25:13, dove a più riprese Gesù dice di vigilare, perché non sappiamo qual è il giorno e l’ora. Quando Paolo dice che i dominatori di questo mondo stanno per essere annientati, quindi, manifesta un’attesa del ritorno imminente di Gesù, che Gesù stesso aveva suscitato. Dicendo: «Nell’ora che non pensate, il Figlio dell’uomo verrà» (Matteo 24:44), Gesù ci costringe a pensare che il suo ritorno sia imminente. Se infatti pensiamo che sta per venire, allora ci prepariamo; se invece pensiamo che non sta per venire, Gesù ci dice che proprio questo è un segno del suo imminente ritorno, perciò siamo spinti a prepararci ugualmente.

Si potrebbe pensare che Gesù abbia suscitato una falsa attesa, ma c’è un secondo motivo per non considerarla tale. Lo ricaviamo da 1Giovanni 2:18, dov’è scritto: «Ragazzi, è l’ultima ora. Come avete udito, l’anticristo deve venire, e di fatto già ora sono sorti molti anticristi. Da ciò conosciamo che è l’ultima ora». Qualcuno ha detto che ogni generazione ha visto dei piccoli ritorni di Gesù, come conseguenza dell’aver visto emergere dei piccoli anticristi giudicati da Gesù. Questo avverrà fino all’avvento finale dell’Anticristo, che verrà definitivamente sconfitto dal ritorno di Gesù (2Tes 2:8).

Per esempio, in Atti 12 troviamo un piccolo anticristo impersonato da uno degli Erode, che aveva fatto uccidere Giacomo e imprigionare Pietro. Venne subito giudicato da Dio, morì fra atroci sofferenze. Pochi in quel tempo capirono che quello su Erode era un giudizio di Dio e probabilmente pensarono che fosse stato un caso. Negli Atti troviamo però che Gesù è effettivamente presente e opera in modo straordinario, per portare avanti la sua opera e diffondere la sua parola.

Un altro piccolo ritorno di Gesù si è avuto sulla via per Damasco, con la conseguente conversione di Paolo (Atti 9). Un piccolo ritorno di un’efficacia straordinaria, perché Paolo in pochi anni operò una diffusione del Vangelo fino ad Atene e Roma.

In ogni generazione, dunque, si può in qualche misura cogliere un piccolo ritorno di Gesù, infatti Dio non ci dice che dormirà per duemila anni e poi agirà, ma che ciò che farà alla fine lo preparerà via via. I credenti del Nuovo Testamento hanno fatto bene ad attendere Gesù da un momento all’altro. Attenderlo fa del bene anche a noi e non è un inganno!

 

«Ma esponiamo la sapienza di Dio misteriosa e nascosta, che Dio aveva prima dei secoli predestinata a nostra gloria» (2:7)

Parlando di Gesù, in 1Pietro 1:20 è scritto che Dio lo aveva designato già prima della creazione del mondo; mentre in Galati 1:15, parlando di sé, Paolo scrive che Dio lo aveva prescelto fin dal seno di sua madre. A volte siamo portati a pensare che Dio cominci ad agire da quando noi ce ne accorgiamo, ma Dio non fa così, non è sorpreso dai vari avvenimenti e non improvvisa le soluzioni. Anche se a volte adotta dei percorsi alternativi.

Per esempio, di fronte ad Israele ribelle e continuamente disubbidiente, durante la traversata del deserto, Dio decise che nessuno di loro sarebbe entrato nella Terra promessa, salvo Caleb e Giosuè, ma ci sarebbero entrati solo i loro figli. Il popolo in quando tale perciò ci è entrato e Dio ha portato comunque avanti la sua opera, ritardandola però di quei quarant’anni che il popolo di Israele dovette passare nel deserto.

Così è anche per Gesù. Quando è stato rigettato da Israele, Gesù ha rinunciato all’avvento immediato del regno, che però ha seminato e che perciò crescerà, con la pienezza che ci sarà al suo ritorno. Pur cambiando i tempi e i modi, Dio non si è arreso e non ha ripudiato gli Ebrei per poi arrangiarsi con i Gentili, ma ha semplicemente scelto un percorso più lungo. Dio infatti dice di se stesso: «Io annunzio la fine sin dal principio, molto tempo prima dico le cose non ancora avvenute; io dico: Il mio piano sussisterà, e metterò a effetto tutta la mia volontà» (Isaia 46:10).

 

«E che nessuno dei dominatori di questo mondo ha conosciuta; perché se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria» (2:8).

Viene colto un particolare aspetto sulla crocifissione di Gesù, ma bisogna fare attenzione, perché nel senso più generale non sono solo i dominatori di questo mondo ad esserne colpevoli. Non lo sono neanche solo gli Ebrei, né solo i Romani, ma lo siamo TUTTI. Siamo in qualche modo TUTTI colpevoli della crocifissione di Gesù, essendo lui morto per i nostri peccati ed essendo noi simili a quelli che gridarono: «Sia crocifisso!» (Mat 27:23) o a coloro che tacquero smarriti.

 

«Ma com’è scritto: “Le cose che occhio non vide, e che orecchio non udì, e che mai salirono nel cuore dell’uomo sono quelle che Dio ha preparate per coloro che lo amano”». A noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito, perché lo Spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio» (2:9-10).

Le rivelazioni dello Spirito di cui si parla, se teniamo conto del v. 6 che indica quelli che sono maturi, si ricevono per mezzo di una scuola nella quale siamo chiamati a crescere, più che attraverso manifestazioni mistiche. Si tratta cioè di una rivelazione che lo Spirito fa a noi, progressivamente, mano a mano che cresciamo nella fede.

 

«Infatti, chi, tra gli uomini, conosce le cose dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così nessuno conosce le cose di Dio se non lo Spirito di Dio. Ora noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito che viene da Dio, per conoscere le cose che Dio ci ha donate» (2:11-12).

Paolo scrive che nessuno conosce le cose di Dio se non lo Spirito di Dio, quindi non si tratta di una conoscenza trasmissibile, perché è una rivelazione personale dello Spirito. Non è teologia o conoscenza umana, ma consiste nella capacità di mettersi in sintonia con Dio, conoscerlo e capirlo. Siccome l’opera di Dio a noi sembra pazzia (v. 14), senza l’opera dello Spirito in noi non abbiamo nessuna speranza di conoscere veramente Dio.

 

«E noi ne parliamo non con parole insegnate dalla sapienza umana, ma insegnate dallo Spirito, adattando parole spirituali a cose spirituali. Ma l’uomo naturale non riceve le cose dello Spirito di Dio, perché esse sono pazzia per lui; e non le può conoscere, perché devono essere giudicate spiritualmente» (2:13-14).

Viene chiarito che la rivelazione che Dio ci fa attraverso lo Spirito è fatta in una lingua particolare, non traducibile nel linguaggio comune. Se spieghiamo a un non credente il punto di vista di Dio, è facile che lo comprenda solo dopo aver tradotto il tutto con parole sue, nella sua lingua. Quindi non capisce davvero quello che è il messaggio di Dio, ma solo ciò che lui può e vuole capire; a meno che un’opera dello Spirito in lui non gli renda possibile comprendere la lingua di Dio. Tuttavia, il non comprendere può accadere anche a credenti battezzati, che sono però rimasti bambini e non capiscono se qualcuno parla loro di cose da adulti. Come facciamo a capire la differenza tra il ragionare con la logica di Dio o con la nostra? Semplicemente, sono due modi completamente diversi e incompatibili, il che rende evidente la differenza fra chi ragiona in un modo e chi nell’altro.

 

I versetti 15-16 portano a compimento il tema, ma introducono anche il problema del giudicare, che è importante e non semplice da chiarire, al quale perciò dedicheremo il successivo Approfondimento n. 6.