Alessia Lanini
DA ADAMO AGLI APOSTOLI
Una panoramica di tutta la Bibbia basata sul testo in sé
Volume (da definire)
Scuola elementare di cristianesimo
Dialoghi sulla prima lettera di Paolo ai Corinzi, condotti da Fernando De Angelis
BOZZA 1 DEL DIALOGO 6: 1CORINZI 1:14-24
Scarica qui il file del Dialogo6.
Il file dei Dialoghi 1-5 è scaricabile dal post sul Dialogo 5.
1.L’inevitabile passaggio a incontri online
2.Paolo, evangelista e non battezzatore (1:14-17 a)
3.L’unità della sezione 1:17b fino 2:16
4.Disordine vitale di Dio e ordine mortale umano
5.Una predicazione (quasi) pazza e scandalosa (1:17b-24)
1.L’INEVITABILE PASSAGGIO A INCONTRI ONLINE
Causa l’epidemia da coronavirus, è stato necessario passare agli incontri in modalità online, decidendo di dare a tutti la possibilità di ascoltare. Facendone nel contempo la registrazione e mettendola su Youtube (link sul sito www.fernandodeangelis.it).
La prima parte di questo incontro è stata dedicata ad aiutare i nuovi partecipanti ad inserirsi, perciò lo studio vero e proprio è più ridotto. Non si sa quando sarà possibile tornare alla normalità, ma può anche darsi che proseguiremo comunque a farlo online, in modo da non interrompere lo scambio con quelli che possono partecipare solo in questo modo.
2.PAOLO, EVANGELISTA E NON BATTEZZATORE (1:14-17 a)
«Ringrazio Dio che non ho battezzato nessuno di voi, salvo Crispo e Gaio; perciò nessuno può dire che foste battezzati nel mio nome. Ho battezzato anche la famiglia di Stefana; del resto non so se ho battezzato qualcun altro. Infatti il Messia non mi ha mandato a battezzare ma a evangelizzare» (1Cor 1:14-17 a).
Paolo fa qui uso di un linguaggio cosiddetto “iperbolico”, cioè esagerato, portato all’estremo, che non deve e non può essere preso alla lettera. È tipico di una mentalità ebraica che ragiona in bianco e nero, non è perciò a caso che lo vediamo usato spesso da Gesù (cfr. Note a Matteo, cap. 14/1). Per esempio, quando afferma: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre […] non può essere mio discepolo» (Luca 14:26).
Il criterio per definire come “iperbolico” un testo biblico evitando di prenderlo alla lettera, è quando constatiamo che contrasta con altri insegnamenti biblici. L’affermazione di Gesù, per esempio, contrasta con il quinto comandamento: «Onora tuo padre e tua madre». Perciò, sostanzialmente, significa che all’amore per Gesù dobbiamo dare il primo e incontestabile posto. Uno scopo del linguaggio iperbolico è quello di rendere chiaro e ricordabile un determinato concetto.
In questi versetti Paolo inizia ringraziando Dio di non aver battezzato nessuno a Corinto, ma subito dopo sembra che si contraddica, aggiungendo «salvo Crispo e Gaio». Poi prosegue con un «perciò» che dovrebbe essere coerente con le premesse, ma non lo è, continuando a contraddirsi perché afferma di aver «battezzato anche la famiglia di Stefana» e forse altri. Proseguendo con un «Infatti» che dovrebbe sintetizzare il tutto e che invece ribadisce che non è stato mandato a battezzare, pur avendo prima elencato i battesimi effettuati.
Questo brano, insomma, preso alla lettera è una serie di contraddizioni, ma in genere non ce ne accorgiamo, perché ci rendiamo conto che è un linguaggio schematico, con le varie parti che si integrano e hanno un senso generale evidente. Gesù aveva dato a Paolo il mandato di evangelizzare, evitando come regola di battezzare, salvo specifiche situazioni particolari.
Oggi non sono molti gli evangelisti che non battezzano. Uno di questi è stato Billy Graham, che alle sue evangelizzazioni di massa non faceva seguire i battesimi. Tuttavia, sono tanti quelli che non si lasciano sfuggire l’opportunità di battezzare qualcuno ai primi accenni di conversione, perché il numero di battezzati mostra la validità della loro missione. In questi casi, però, può venire meno l’interesse vero e profondo per la persona in sé e si perde di vista l’importanza determinante di realizzare un autentico collegamento con Dio e con la comunità.
Evangelizzare è un’opera verticale, che mette in relazione con Dio, mentre battezzare è un’opera orizzontale, che mette in collegamento con un gruppo di credenti. Così questi versetti sembrano rimandare ancora alla questione delle divisioni. Il non battezzare di Paolo appare coerente con il voler evitare che qualcuno si identificasse troppo con lui, come già sembra che avvenisse (1Cor 1:12). Paolo lasciava che, dopo la sua evangelizzazione, fossero quelli del posto a battezzare i nuovi credenti, perché si stabilisse un legame fra di loro, che avrebbero poi vissuto insieme la propria fede, mentre Paolo sarebbe invece partito.
A Corinto Paolo fece un’eccezione, perché aveva ricevuto uno specifico messaggio da Gesù: «Una notte il Signore disse in visione a Paolo: “Non temere, ma continua a parlare e non tacere; perché io sono con te, e nessuno ti metterà le mani addosso per farti del male; perché io ho un popolo numeroso in questa città”. Ed egli rimase là un anno e sei mesi, insegnando tra di loro la Parola di Dio» (Atti 18:9-11).
Ad Efeso Paolo aveva lasciato Timoteo (1Tim 1:3). Dalla 1Timoteo si vede che anche lì la situazione non era molto diversa da quella di Corinto, sia per la necessità di crescere nella fede, che per i problemi da risolvere. A Creta il proseguimento dell’opera era stato affidato a Tito (Tito 1:5) per lo stesso motivo.
3.L’UNITÀ DELLA SEZIONE 1:17b FINO 2:16
In questa sezione troviamo un altro tipico modo di esprimersi, del quale è necessario rendersi conto: quello ciclico, più usato in Oriente che in Occidente. A noi occidentali viene spontaneo affrontare un argomento in modo lineare, cioè facendo prima un’introduzione, alla quale far seguire lo sviluppo del tema e poi la conclusione.
Nella Bibbia troviamo però spesso un’esposizione ciclica. Con essa si fa prima una sintesi complessiva di ciò che si vuol dire, tornando poi sull’argomento con ampliamenti e connessioni varie. Questo metodo è molto usato nei libri profetici ed è la chiave per una corretta comprensione dei discorsi profetici di Gesù (Mat 23-25).
Dalla seconda parte del versetto 17, Paolo inizia a parlare della sostanziale pazzia umana e dell’apparente pazzia di Dio, argomenti sui quali si dilunga fino a 2:16, ma trattandoli in modo diverso a partire da 2:6. Il fatto che Paolo stia ancora affrontando lo stesso tema è particolarmente evidente confrontando 1:17b con 2:5:
-in 1:17b è scritto: «Evangelizzare; non con sapienza di parola, perché la croce del Messia non sia resa vana»
-e in 2:5 c’è un’espressione analoga: «affinché la vostra fede fosse fondata non sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio».
Una potenza di Dio manifestatasi nella croce e nella resurrezione del Messia. Osservando l’intera sezione, si può cogliere il seguente schema:
-1:17b. TITOLO GENERALE. Il Vangelo come annuncio della crocifissione del Messia, non fondato sulla sapienza umana.
-1:18. PRIMO SOTTOTITOLO specifico riguardante la sezione 1:19-24: pazzia per i perduti.
1:19-21. Prime argomentazioni.
1:22-24. Prima conclusione riassuntiva.
-1:25. SECONDO SOTTOTITOLO specifico riguardante la sezione 1:26 a 24:5 la pazzia di Dio è più saggia.
1:26 a 2:3. Altre argomentazioni.
2:4-5. Seconda conclusione riassuntiva.
-2:6-16. Dopo un soffermarsi sulla «pazzia di Dio», ci si concentra ora sulla «sapienza di Dio».
4.DISORDINE VITALE DI DIO E ORDINE MORTALE UMANO
Paolo evangelizzava spostandosi continuamente. Si formavano così gruppi di “bambini nella fede” che rimanevano soli e che perciò erano inevitabilmente poco ordinati e non maturi. Tutto ciò è molto illogico e infatti non è imitato, nemmeno da quelli che dicono di prendere Paolo come modello. Paolo però non li lasciava soli, perché li affidava a Dio e all’opera dello Spirito Santo, andato ad abitare in ognuno.
D’altronde anche Gesù ha operato promuovendo soprattutto il disordine. Era inserito in un mondo ebraico ben organizzato, con le sue regole e le sue tradizioni, ma in cui c’era poca vita. Farisei e Sadducei avevano creato un sistema nel quale tutto funzionava bene, Gesù irrompe in quel sistema e porta un disordine secondo la volontà di Dio, finisce così la sua missione avendo avuto l’adesione solo dei 120 discepoli presenti al momento dell’ascensione (Atti 1:15). Quello che Gesù aveva trovato era un ordine di morte, ma il disordine di Dio da lui portato è stato una grande fonte di vita.
Quando Paolo evangelizzava, “bambini nella fede” ne nascevano diversi e, come è ben noto, una casa piena di bambini è raramente ordinata. Così era accaduto a Corinto, dove ci furono improvvisamente centinaia di nuovi credenti che dovevano crescere e a cui Paolo, dopo aver dato loro il latte, dà il primo cibo solido, rappresentato proprio dalla prima Lettera ai Corinzi.
Oggi molti si accontentano di rimanere bambini nella fede, ma in tutto il Nuovo Testamento c’è l’incoraggiamento a crescere, addirittura fino alla statura perfetta di Gesù (Efe 4:13). Quello di crescere in Gesù, dunque, deve essere un obiettivo primario di ogni chiesa e dei singoli membri.
5.UNA PREDICAZIONE (QUASI) PAZZA E SCANDALOSA (1:17b-24)
«…evangelizzare; non con sapienza di parola, perché la croce del Messia non sia resa vana» (1:17b).
Sembra evidente che Paolo usi l’argomento dell’essere mandato ad evangelizzare e non a battezzare per fare da ponte e arrivare così a parlare del contenuto dell’evangelizzazione, cioè il Messia crocifisso (v. 23). Affronta anche il contrasto tra la sapienza umana e quella di Dio, che rimanda al tema delle divisioni e del denominazionalismo, che si basano su scelte dettate dalla ragione umana. Come abbiamo visto, questa espressione del versetto 17 si configura come il titolo di una sezione che arriva fino a 2:5.
«Poiché la predicazione della croce è pazzia per quelli che periscono, ma per noi, che veniamo salvati, è la potenza di Dio; infatti sta scritto: «Io farò perire la sapienza dei saggi e annienterò l’intelligenza degli intelligenti. Dov’è il sapiente? Dov’è lo scriba? Dov’è il contestatore di questo secolo? Non ha forse Dio reso pazza la sapienza del mondo? Poiché il mondo non ha conosciuto Dio mediante la propria sapienza, è piaciuto a Dio, nella sua sapienza, di salvare i credenti con la pazzia della predicazione» (1:18-21).
Abbiamo considerato che la prima frase è una specie di sottotitolo di una sezione che arriva fino al v. 24 e che viene poi argomentata sottolineando l’apparente pazzia di Dio che salva, a differenza della sapienza umana, che porta invece a perdizione.
Per comprendere meglio il senso generale della sezione che arriva fino a 2:16, bisogna considerare brevemente cos’è per Paolo un credente.
Un credente in Gesù è una persona che ha avuto una rinascita miracolosa o è uno che si è convinto di una certa dottrina? Se è qualcuno che si è convinto di una certa dottrina allora i discorsi persuasivi di sapienza umana vanno molto bene e sono molto utili a convincere. Se invece è qualcuno che ha sperimentato una rinascita miracolosa, allora c’è bisogno di un’opera soprannaturale che agisce nel profondo e che ci fa diventare dimora dello Spirito Santo. Tutto questo non è producibile dallo sforzo dell’intelligenza e della volontà. È un miracolo di Dio che noi non possiamo produrrre. Noi possiamo semplicemente annunciare Gesù, la sua morte e la sua resurrezione, ma poi il miracolo può farlo solo Gesù.
La predicazione di Pietro a Cornelio offre un esempio chiarificatore. Pietro si proponeva di fare un lungo discorso, ma appena arrivò a dire che «chiunque crede in Gesù riceve il perdono dei peccati», si meravigliò nel vedere che «lo Spirito Santo scese su tutti quelli che ascoltavano». Costringendolo a fare ciò che non era stato mai fatto: battezzare «nel nome di Gesù Messia» persone non appartenenti al popolo ebraico, cioè non circoncise (Atti 10:43-48).
La conversione è un’opera miracolosa, non è sufficiente che uno dica di credere che Gesù è morto per i suoi peccati per essere salvato, Dio non è un distributore automatico, per cui se faccio una certa combinazione si ottiene la cosa desiderata. Non esiste un modo per costringere Dio a darci una nuova vita in Gesù. Dio è certamente disponibile a farlo, ma nessuno diventa un vero credente senza una personale e specifica opera miracolosa di Dio in lui, che lo convince di essere stato adottato da Dio come figlio, ricevendo la forza per iniziare un cammino nuovo. Paolo afferma che «lo Spirito stesso attesta insieme con il nostro spirito che siamo figli di Dio» (Rom 8:16). E ancora: «Nessuno può dire: “Gesù è il Signore!” se non per lo Spirito Santo» (1Cor 12:3).
Annunciare un Messia crocifisso e risorto è dunque umanamente una pazzia, ma Paolo dice, e sa bene, che questa pazzia funziona perché produce vita, mentre la sapienza umana, che sembra saggia, non produce vita.
«I Giudei infatti chiedono segni miracolosi e i Greci cercano sapienza, ma noi predichiamo il Messia crocifisso, che per i Giudei è scandalo e per gli stranieri pazzia; ma per quelli che sono chiamati, tanto Giudei quanto Greci, predichiamo il Messia, potenza di Dio e sapienza di Dio» (1:22-24).
Paolo usa qui un linguaggio esagerato (iperbolico), che è utile affinché il lettore si ricordi meglio il concetto, ma se preso alla lettera risulta inesatto. Paolo infatti dice che i Greci cercano sapienza e i Giudei i miracoli, ma lui predica il Messia crocifisso, fa pensare che si rifiuta di dare ai Greci la sapienza da loro cercata e ai Giudei i miracoli desiderati. In senso letterale questo non è vero, perché in Atti 17:16-31 vediamo che Paolo ha parlato ai filosofi ateniesi usando sapienza. Come pure è stato disponibile a operare miracoli (Atti 19:12; 28:8-9).
Bisogna però precisare che quando Paolo ha parlato ai filosofi ateniesi, ha usato la loro sapienza per distruggerla, non l’ha usata per parlare di Gesù, ma per metterne in luce i limiti, passando subito alla pazzia di un Gesù risorto (Atti 17:31).
Gesù ha rimproverato i Giudei perché avevano necessità di vedere miracoli: «Se non vedete segni e miracoli, voi non crederete»; poi li ha accontentati (Giov 8:48-50). Ha invitato ad adoperarsi «non per il cibo che perisce, ma per il cibo che dura in vita eterna», dopo aver fatto il miracolo della moltiplicazione dei pani (Giov 6:27).
Sintetizzando il concetto espresso da Paolo e traducendo il suo linguaggio iperbolico, potremmo parafrasarlo così: «I Giudei chiedono miracoli, e i miracoli sono stati fatti, mentre i Greci cercano sapienza, e noi ne mostriamo i limiti, ma il centro e il fine della nostra predicazione è il Messia crocifisso, che per i Giudei è scandalo e per gli stranieri pazzia».
Redazione di Alessia Lanini