Alessia Lanini

DA ADAMO AGLI APOSTOLI

Una panoramica di tutta la Bibbia basata sul testoin sé

Volume (da definire)

Scuola elementare di cristianesimo

Dialoghi sulla prima lettera di Paolo ai Corinzi, condotti da Fernando De Angelis

BOZZA 1 DEL DIALOGO 28: 1CORINZI 12:29-13:13   

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1.Qualche premessa su Gesù        
A.L’apparente contraddizione tra ciò che fanno il Padre e il Figlio
B.La parabola del buon Samaritano      
2. I capitoli 12 e 13 sono strettamente connessi (12:29-31)               
3. Senza l’amore i doni non valgono nulla (13:1-3)        
4. L’amore suscitato da Dio è ben riconoscibile (13:4-7)      
5. La pienezza si avrà nel Regno di Dio (13:8-12)                 
6. Anche nel Regno di Dio dureranno fede, speranza e amore (13:13)  

Dialogo 28

1CORINZI 12:29-13:13

1.QUALCHE PREMESSA SU GESÙ

A.L’apparente contraddizione tra ciò che fanno il Padre e il Figlio.

Abbiamo già anticipato un’apparente contraddizione fra ciò che fanno il Padre e il Figlio nella Chiesa (Dialogo 27, par. 6), sulla quale vogliamo ora soffermarci per esporre una possibile soluzione. In 1Corinzi 12:28 è scritto: «Dio [Padre] ha posto nella chiesa in primo luogo degli apostoli, in secondo luogo dei profeti, in terzo luogo dei dottori, poi miracoli, poi doni di guarigioni, assistenze, doni di governo, diversità di lingue». In Efesini 4:11, invece, troviamo che «È lui [Gesù, il Figlio] che ha dato alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e dottori». Sembra dunque che le due affermazioni siano in contraddizione. Spesso la cristianità risolve il problema dicendo: «Gesù è Dio, Dio è Gesù. Sono tutt’uno e quindi non fa differenza». Tuttavia, abbiamo più volte approfondito il rapporto fra Gesù e Dio Padre, sottolineando la distinzione fra i due; quindi, non potendo accettare questa soluzione, ne cerchiamo nella Bibbia un’altra, che metta insieme diversità e unità.

Il filo conduttore del Vangelo di Giovanni è costituito dal rapporto di Gesù con Dio Padre, che Gesù trasferisce a quello con i suoi discepoli. Le due relazioni sono parallele, quindi l’una rappresenta l’altra.

Ad esempio, in Giovanni 5:19 è scritto che «Il Figlio non può da se stesso fare cosa alcuna, se non ciò che vede fare dal Padre». Poi in Giovanni 15:5 troviamo che Gesù, parallelamente, dice ai discepoli: «Senza di me non potete fare nulla».

In Giovanni 6:38 Gesù dice: «Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato». Gesù faceva la volontà del Padre e, allo stesso modo, i suoi discepoli sono chiamati a fare la sua volontà: «Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti» (Giov 14:15). Molto più esplicito e generalizzato è Paolo in Colossesi 3:17: «Qualunque cosa facciate, in parole o in opere, fate ogni cosa nel nome del Signore Gesù, ringraziando Dio Padre per mezzo di lui». Dunque, come Gesù faceva continuamente la volontà di Dio Padre, così noi siamo chiamati a fare continuamente la volontà di Gesù. Paolo arriva addirittura a dire: «Non sono più io che vivo, ma il Messia vive in me!» (Gal 2:20).

Concludendo, tra Dio Padre e Gesù la collaborazione è molto stretta, con Gesù che fa sempre la volontà del Padre. Di conseguenza, dire che un’opera è fatta dal Padre oppure da Gesù è solo un modo diverso per descrivere una realtà di piena integrazione e collaborazione.

B.La parabola del buon Samaritano.

Per comprendere correttamente 1Corinzi 13, definito “il capitolo dell’amore”, bisogna aver prima assorbito l’insegnamento di Gesù che, nell’invito ad amare il prossimo, non ha introdotto una novità, come invece alcuni pensano. Infatti, già nell’Antico Testamento era presente il comandamento: «Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Lev 19:18). Al tempo di Gesù i dottori della legge, gli scribi e i farisei avevano ben presente questo comandamento e lo interpretavano in un certo modo. Gesù contestò la loro interpretazione, ma l’evangelico medio oggi lo interpreta più al modo dei farisei che in quello di Gesù. Perché si tende ad un amore rivolto ai membri della propria chiesa e in particolare a quelli che la pensano allo stesso modo, trascurando quella fratellanza in Adamo che ci unisce a tutti gli esseri umani. Eppure, si ripete spesso Giovanni 3:16, dov’è scritto che Dio ha tanto amato «il mondo», cioè tutti gli uomini. Gesù riprese il popolo di Dio del suo tempo, dicendo: «Se infatti amate quelli che vi amano, che premio ne avete? Non fanno lo stesso anche i pubblicani?» (Mat 5:46; cfr. Luca 6:32).

L’insegnamento di Gesù sull’amore per il prossimo è ampiamente espresso in Luca 10:25-37, nella parabola del buon Samaritano: «Ed ecco, un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova, dicendo: “Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?”. Gesù gli disse: “Nella legge che cosa sta scritto? Come leggi?”. Egli rispose: “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso”. Gesù gli disse: “Hai risposto esattamente; fa’ questo, e vivrai”. Ma egli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: “E chi è il mio prossimo?”. Gesù rispose: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e s’imbatté nei briganti che lo spogliarono, lo ferirono e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada, ma quando lo vide, passò oltre dal lato opposto. Così pure un Levita, giunto in quel luogo, lo vide, ma passò oltre dal lato opposto. Ma un Samaritano, che era in viaggio, giunse presso di lui e, vedendolo, ne ebbe pietà; avvicinatosi, fasciò le sue piaghe versandovi sopra olio e vino, poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo condusse a una locanda e si prese cura di lui. 35 Il giorno dopo, presi due denari, li diede all’oste e gli disse: ‘Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno’. Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s’imbatté nei ladroni?”. Quegli rispose: “Colui che gli usò misericordia”. Gesù gli disse: “Va’, e fa’ anche tu la stessa cosa”».

È con ragione che si dice che Socrate abbia insegnato la maieutica, ovvero l’arte di far emergere la risposta dall’interno di chi ha posto la domanda. Nella Bibbia, però, questo metodo era già presente prima di Socrate, cioè nei profeti, e lo ritroviamo in Gesù, che riprende da loro.

Nel testo di Luca troviamo un dottore della legge che andò da Gesù in modo non ostile; infatti, lo chiamò «maestro», facendo un gesto di umiltà e sottomettendosi a lui. Si vede poi anche dai passi paralleli, ovvero Matteo 22:34-40 e Marco 12:28-34, che era uno competente e che, sentendo le precedenti risposte di Gesù, ne era rimasto colpito e andò da Gesù per metterlo alla prova.

Gli fece una domanda difficile, cioè di riassumere tutta la legge in poche parole. Gesù non gli rispose in modo diretto, ma lo invitò a ragionare, riconoscendogli che conosceva la Parola di Dio e dicendogli che era sicuro che sapeva ricavarne la risposta. Gesù usò il classico modo ebraico di rispondere a una domanda con un’altra domanda. Il dottore della legge rispose bene e Gesù glielo riconobbe, invitandolo poi a mettere in pratica tale verità: «Fa’ questo, e vivrai» (v. 28). Perché non gli mancava la comprensione della Parola di Dio, ma probabilmente era la messa in pratica a risultargli difficoltosa.

Il dottore della legge non chiese come fare per amare Dio, perché era noto che si esprimeva con l’osservare la sua legge. Domandò invece chi fosse il suo prossimo, perché quella era invece una questione più difficile da definire. Anche in questo caso Gesù non glielo disse esplicitamente, ma rispose raccontandogli una storia. Poi domandò al dottore della legge chi si fosse comportato da prossimo nei confronti dell’uomo in difficoltà. Anche in questo caso il dottore della legge rispose correttamente e Gesù lo invitò nuovamente a mettere in pratica quell’insegnamento.

Gesù poi lo sorprese non dando alcuna connotazione all’uomo assalito dai briganti, eccetto quella di essere un uomo. Quelli che passarono alla larga, invece, erano persone specifiche, ad esempio il sacerdote. Spesso si pensa che quest’ultimo non volesse contaminarsi perché doveva andare al Tempio, però leggiamo che «scendeva per quella stessa strada» (v. 31), ovvero «da Gerusalemme a Gerico» (v. 30). Quindi, sebbene non stesse andando al Tempio, non voleva comunque contaminarsi, sporcando la sua dignità. “Fariseo” significa “separato”, quindi separato dai peccatori. Vedendo quell’uomo in difficoltà un fariseo poteva pensare che gli stesse succedendo ciò come conseguenza del suo peccato, giustificando così il suo tenersi alla larga.

Come persona dal comportamento esemplare Gesù portò un Samaritano. Bisogna tenere conto del fatto che Samaritani e Giudei si odiavano, ritenendosi vicendevolmente indemoniati. Infatti, i Giudei dissero a Gesù: «Non diciamo noi con ragione che sei un Samaritano e che hai un demonio?» (Giov 8:48). In Luca 9:51-56 è riportato quando Gesù e i suoi discepoli, passando per la Samaria, si videro rifiutato l’alloggio. Con Giacomo e Giovanni che volevano invocare del fuoco dal cielo che li consumasse.

Considerando questo contesto, è ancora più significativo il comportamento di Gesù quando si trovò di fronte ad una Samaritana dai costumi corrotti (Giov 4:1-42). Avrebbe avuto molte ragioni per starsene alla larga, invece Gesù non solo comunicò amore alla Samaritana, ma le suscitò anche un santo amore per se stesso. Egli bevve persino dalla brocca di lei, senza aver paura di contaminarsi. Non che desse loro ragione, perché alla Samaritana precisò che «la salvezza viene dai Giudei» (Giov 4:22). Infatti, Gesù manifestò il suo amore insieme con la verità, arrivando ad essere accettato come Messia non solo dalla Samaritana, ma anche dai suoi concittadini (Giov 4:39-42).

2. I CAPITOLI 12 E 13 SONO STRETTAMENTE CONNESSI (12:29-31)

«Sono forse tutti apostoli? Sono forse tutti profeti? Sono forse tutti dottori? Fanno tutti dei miracoli? 30 Tutti hanno forse i doni di guarigioni? Parlano tutti in altre lingue? Interpretano tutti?» (12:29-30).

La risposta implicita a queste domande è: «Tutti no, ma qualcuno sì». Tuttavia, le chiese riescono spesso a disobbedire ciascuna a modo proprio. Alla domanda riguardante il parlare in altre lingue alcune rispondono dicendo: «Sì, bisognerebbe che tutti parlassero altre lingue». Mentre in altre si arriva all’opposto, affermando: «No, nessuno deve farlo. Anzi, se uno parla in lingue strane, lo buttiamo fuori». Si ricade così nell’ignoranza dei doni, poiché non si tiene conto di quello che Paolo insegna in modo chiaro.

«Voi, però, desiderate ardentemente i doni maggiori!» (12:31a).

Nella versione Nuova Riveduta questa prima parte del v. 31 è unita a ciò che precede, come se con essa Paolo finisse un discorso. Poi il traduttore ha inserito un titolo, indicando così un cambio di argomento, che si avrebbe con la sottostante seconda parte del medesimo v. 31.

«Ora vi mostrerò una via, che è la via per eccellenza» (12:31b).

Questa seconda parte del versetto 31, posta come se fosse l’inizio del capitolo 13, porta a non riconoscere che l’argomento del capitolo 13 è strettamente collegato a quello del capitolo 12. Avallando così un atteggiamento che spesso si ritrova nelle predicazioni, che affrontano il tema dell’amore senza vederne la connessione con i doni.

La via per eccellenza che Paolo stava per mostrare, ovvero l’amore, era quella per desiderare i doni maggiori. Pertanto, il primo effetto di chi ha sviluppato l’amore è quello di ricercare i doni che sono più utili ai fratelli, anziché quelli che danno più vistosità. Dando priorità a quelli che costano di più in termini di impegno e di sacrificio, non a quelli che danno più gloria.

Il discorso sull’amore del capitolo 13, non a caso, è posto tra i capitoli 12 e 14, che si concentrano ambedue sui doni. Significativo è il parallelismo fra la fine del capitolo 12 e l’inizio del 14. Riportiamo i due brani: «Desiderate ardentemente i doni maggiori!» (12:31a); «Ricercate l’amore e desiderate ardentemente i doni spirituali, principalmente il dono di profezia» (14:1). È chiaro così che il discorso sull’amore sia interno alla ricerca dei doni, facendoci vedere l’atteggiamento col quale ricercarli.

3. SENZA L’AMORE I DONI NON VALGONO NULLA (13:1-3)

«Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo. Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla. Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo a essere arso, e non avessi amore, non mi gioverebbe a niente» (13:1-3).

Facciamo un esempio usando la matematica. Per Paolo, tutto ciò che facciamo deve essere valutato in base all’amore che contiene. Perciò va tutto moltiplicato per quel fattore. Ne deriva che, se l’amore è zero, qualsiasi numero moltiplicato per esso diventa zero.

Paolo ha fatto tutto un elenco di cose molto buone e utili da avere e da fare. Ai versetti 1-2 troviamo ciò che riguarda il piano teologico, mentre il versetto 3 è più riferito al piano pratico. Tuttavia, se non c’è amore, l’avere o il fare non serve a nulla. Non è perciò un dettaglio secondario l’aver sviluppato o meno l’etica cristiana di un amore soprannaturale, perché è quell’amore che dà valore a tutto.

4. L’AMORE SUSCITATO DA DIO È BEN RICONOSCIBILE (13:4-7)

«L’amore è paziente, è benevolo; l’amore non invidia; l’amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s’inasprisce, non addebita il male, non gode dell’ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa» (13:4-7).

È facile capire se un credente ha o meno l’amore qui descritto, come è anche facile capire che si tratti di cose positive, che andrebbero coltivate. Si può stare sicuri che, se uno vive queste cose, anche i non credenti capiscono subito che manifesta un’etica soprannaturale. La luce la vedono tutti, anche se molte volte non è facile produrla. Pertanto, non è necessario precisare com’è e come si manifesta l’amore.

Una persona con questo tipo di amore si riconosce perché non parla male di nessuno, cerca di mettere pace, ci sorride ed è disponibile. Quando si ha bisogno e non sappiamo a chi altro rivolgerci, si può sperare nel suo aiuto.

Siamo chiamati non solo a coltivare questo amore, ma anche a manifestarlo a tutti, come abbiamo visto nel paragrafo 1/B, altrimenti negheremmo la nostra fratellanza in Adamo, cioè che ogni uomo è immagine di Dio, e negheremmo l’amore di Gesù, che è per i peccatori. In Matteo 9:10-12 è scritto: «Mentre Gesù era a tavola in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. I farisei, veduto ciò, dicevano ai suoi discepoli: “Perché il vostro maestro mangia con i pubblicani e con i peccatori?”. Ma Gesù, avendoli uditi, disse: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati”». L’amore di Gesù non è un dettaglio secondario.

L’amore più grande Gesù l’ha mostrato verso Giuda, proteggendone la reputazione fino alla fine e non cacciandolo via. Infatti, fu Giuda che scelse di andarsene e anche a quel punto gli apostoli non avevano compreso che era un traditore (Luca 22:23; Giov 13:21). Quando poi tornò da Gesù per farlo arrestare, indicandolo con un bacio, Gesù non gli disse: «Vattene via, fetente». Anzi, gli disse: «Amico, che cosa sei venuto a fare?» (Mat 26:50). Gesù continuò fino alla fine a lasciare una porta aperta per Giuda. Dirsi suoi discepoli è facile, ma chiediamoci se siamo pronti a seguire Gesù anche amando qualcuno che è per noi come Giuda. Per noi amare “Giuda” è umanamente troppo, ma può essere qualcosa che Dio ci dà la forza di fare.

5. LA PIENEZZA SI AVRÀ NEL REGNO DI DIO (13:8-12)

«L’amore non verrà mai meno. Le profezie verranno abolite; le lingue cesseranno e la conoscenza verrà abolita; poiché noi conosciamo in parte, e in parte profetizziamo; ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte sarà abolito. Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino. Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto» (13:8-12).

Qualcuno interpreta questo passo dicendo che la perfezione che stavano aspettando era il completamento del Nuovo Testamento che, una volta concluso, mette a disposizione una Parola di Dio che insegna tutto, senza più necessità di miracoli, profeti e quant’altro. Così, però, si arriva a relazionarsi con Dio come con Dante Alighieri, cioè attraverso un libro. Diventa allora come un Dio morto e assente, che non ci dà dei messaggi personali e che, se gli parliamo, non sente e non risponde. Ad essere sordi, però, sono gli idoli! Si arriva così a una pericolosa bibliolatria, ovvero all’adorazione della Bibbia. Mentre Dio ci ha dato la sua Parola per relazionarci meglio con lui e non per sostituirla a un rapporto personale e diretto.

Sebbene l’interpretazione scorretta sia evidentemente infondata, è accolta da molti, perciò è bene continuare a soffermarcisi.

In 1Corinzi 12:28 è scritto che «Dio ha posto nella chiesa in primo luogo degli apostoli, in secondo luogo dei profeti». Finché ci sarà la chiesa ci sarà perciò bisogno di profeti. Questi non avranno una funzione universale come Isaia, ma sono comunque necessari per la chiesa locale. Molti però dicono che quello di Atti, e più in generale il tempo della composizione del Nuovo Testamento, è un periodo di transizione, mentre ora siamo in un altro periodo e non dovrebbero esserci più i profeti. Dire però che ci si basa sul Nuovo Testamento, e poi considerarsi in un tempo diverso, è una contraddizione e un annullare la Parola di Dio. Se consideriamo quello di Atti un cristianesimo di transizione, allora siamo più post-cristiani che cristiani.

Tornando al passo di 1Corinzi 13, al versetto 8 è scritto che «la conoscenza verrà abolita». Certo è che ad ora non è stata abolita, ma lo sarà quando da risorti «vedremo faccia a faccia» il risorto (v. 12), quindi nel regno di Dio. È a questo momento che Paolo faceva riferimento quando ha detto: «Allora conoscerò pienamente» (v. 12). Non intendeva «quando sarà completo il Nuovo Testamento». D’altronde, a Corinto non c’era alcuna attesa del Nuovo Testamento, essendo un’idea venuta dopo il tempo apostolico, quando sono stati messi insieme quegli scritti che risultavano di per sé autorevoli. Per gli Apostoli la Parola di Dio era l’Antico Testamento e su di esso basavano la predicazione e lo studio biblico.

6. ANCHE NEL REGNO DI DIO DURERANNO FEDE, SPERANZA E AMORE (13:13)

«Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza, amore; ma la più grande di esse è l’amore» (13:13).

È bello pensare che nella pienezza del regno di Dio vivremo ancora la fede, la speranza e l’amore. Quest’ultimo sarà un po’ particolare: ci guarderemo e ci relazioneremo in modo speciale. Assomiglierà all’amore di Gesù verso gli apostoli, ma anche verso la Samaritana, con la quale ha scambiato un grande amore senza neanche toccarsi. Anche verso Maria Maddalena, Lazzaro, Marta e Maria. Anche poi tra la madre di Gesù e Giovanni c’è stato un grande amore. Chiediamoci se ci stiamo allenando a questo tipo di amore, che riempie i cuori e dona gioia. Si ricerca questo amore nelle chiese? Questo amore di Dio, che sorpassa ogni conoscenza, è qualcosa che dovrebbe crescere in ognuno di noi. Le persone riconosceranno se abbiamo o no questo amore soprannaturale. Gesù disse: «Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri» (Giov 13:35).

Se si guarda bene, in molte chiese siamo ai primi passi in questo cammino. Ad ogni modo, Dio ha grandi progetti e non opera solo in Italia. In qualche parte del mondo, dove la chiesa è perseguitata, i credenti vivono un grande amore fra loro, come ha raccontato Richard Wurmbrand. È l’autore di “Torturato per Cristo”, nonché il primo ad aver raccontato alla cristianità occidentale la persecuzione nei paesi comunisti. Venuto in Occidente, dove aveva libertà, parlava del suo mancargli quell’amore caloroso che c’era fra i credenti in Romania al tempo della persecuzione. Quindi, Dio opera e manifesta la sua gloria e potenza in certe parti del mondo, e fa vivere il suo amore. Crediamo, però, che ognuno possa avviarsi su questo cammino e sviluppare in sé l’amore di Dio, ovunque si trovi. Se esso sarà presente in noi, non potrà non essere visto e, speriamo, contagiare quelli intorno a noi. Ovviamente, una volta nati di nuovo, la vita cristiana prevede un percorso di crescita. L’importante non è tanto dove siamo in un certo momento, ma dove stiamo andando.

La speranza la intendiamo come l’essere fiduciosi su quello che succederà in futuro. Anche da risorti avremo necessità di avere fiducia nel fatto che Dio regna.

La fede, infine, sta bene insieme alla speranza, perché la prima si vive sul momento e la seconda si vive pensando al futuro.