Alessia Lanini

DA ADAMO AGLI APOSTOLI

Una panoramica di tutta la Bibbia basata sul testoin sé

Volume (da definire)

Scuola elementare di cristianesimo

Dialoghi sulla prima lettera di Paolo ai Corinzi, condotti da Fernando De Angelis

BOZZA 1 DEL DIALOGO 27: 1CORINZI 12:1-28     

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1. Introduzione e struttura del capitolo 12
2. I doni i doni dello Spirito Santo alla chiesa (12:1)  
3. Attenti all’idolatria espressa in linguaggio cristiano (12:2-3)   
4. La Chiesa è un’opera trinitaria (12:4-6)  
5. La Chiesa è il corpo del Messia per opera dello Spirito Santo (12:7-13)
6. La Chiesa è il corpo del Messia per opera di Dio Padre (12:14-28)  

Dialogo 27

1CORINZI 12:1-28

1. INTRODUZIONE E STRUTTURA DEL CAPITOLO 12

Nel Dialogo 23 abbiamo visto che i capitoli 11-14 sono parte di un blocco unico. In esso Paolo ha avuto l’obiettivo di mettere ordine su quelle scorrettezze che c’erano a Corinto.

Nel capitolo 12 traccia una cornice sui doni spirituali, all’interno della quale affronta poi il tema in dettaglio. Paolo utilizzata uno schema di tipo trinitario, che purtroppo la cristianità tende ad appiattire. Succede così che, a testi pensati e scritti in modo trinitario, togliamo la preziosa tridimensionalità, pensando sempre genericamente a «Dio», sia se ci si riferisce al Padre, o al Figlio, o allo Spirito Santo. Questo non è completamente sbagliato, perché “trinità” significa tre-unità, quindi c’è anche una dimensione unitaria. Tuttavia, ci sono specificità dello Spirito Santo, del Signore Gesù e di Dio Padre, che Paolo aveva ben presenti e che ci ha trasmesso, anche se spesso vengono colte in modo insufficiente. Questo tema lo affronteremo in modo più specifico più avanti, perciò ora concludiamo individuando le 4 sezioni nelle quali può essere suddiviso il capitolo 12:

-prima sezione (vv. 1-3): introduzione del tema;

-seconda sezione (vv. 4-6): prima sintesi trinitaria;

-terza sezione (vv. 7-28): esposizione più ampia riguardo alla trinità; la chiesa viene prima vista come corpo del Messia per opera dello Spirito Santo (vv. 7-13) e poi come progetto di Dio Padre (vv. 14-28);

-quarta sezione (vv. 29-31): conclusione e introduzione al tema successivo.

2. I DONI DELLO SPIRITO SANTO ALLA CHIESA (12:1)

«Circa i doni spirituali, fratelli, non voglio che siate nell’ignoranza» (12:1).

«Circa i doni spirituali» (v. 1a). Questa espressione mette subito in chiaro quale sia l’argomento di questo capitolo. Tuttavia, è bene chiedersi se davvero sappiamo cosa Paolo intendesse per «doni spirituali». A volte si parla di “doni” per intendere quelli che si hanno dalla nascita, ma in questo caso Paolo si riferiva ai doni fatti al nostro spirito dallo Spirito Santo. Se ne ha la dimostrazione nel successivo versetto 3, dove Paolo ha scritto che è solo per lo Spirito Santo in noi che possiamo riconoscere Gesù come Signore. C’è poi da considerare che in due traduzioni che usiamo come riferimento, cioè la CEI e la TILC, è scritto: «Circa i doni dello Spirito Santo». Mentre “spirituali” è un termine vago, queste due traduzioni chiariscono che non si tratta dei doni che possediamo naturalmente, ma sono quelli che vengono dallo Spirito Santo.

«Non voglio che siate nell’ignoranza» (v. 1b). Paolo li stava istruendo perché erano ignoranti a riguardo, essendo convertiti da poco. Nei due anni che si era trattenuto a Corinto, aveva potuto porre solo le fondamenta e non c’era stato tempo per questo tema. In una certa fase di crescita nella fede bisogna però avere una corretta comprensione dei doni dello Spirito Santo, così da poter riconoscere quelli che ci sono stati dati come singoli e quelli dati ai nostri fratelli, in modo da ricercarli e usarli. Oggi non abbiamo più giustificazioni per essere ignoranti a riguardo, perché ne troviamo qui la spiegazione. La realtà è però che nella Chiesa non è rara l’ignoranza sui doni dello Spirito, con l’insegnamento di Paolo che è spesso trascurato, in modo da poter fare scelte seguendo i propri presupposti e preferenze.

3. ATTENTI ALL’IDOLATRIA ESPRESSA IN LINGUAGGIO CRISTIANO (12:2-3)

«Voi sapete che quando eravate pagani eravate trascinati dietro agli idoli muti, secondo come vi si conduceva. Perciò vi faccio sapere che nessuno, parlando per lo Spirito di Dio, dice: “Gesù è anatema!” e nessuno può dire: “Gesù è il Signore!” se non per lo Spirito Santo» (12:2-3).

Paolo mette in relazione questa parte con la precedente, dato che inizia con «Perciò». L’idolo è muto e sordo, di fronte al quale si ha paura, rimanendo ammutoliti. In contrasto con lo Spirito Santo, che ascolta e ci fa parlare. In Atti 2:4 troviamo che i discepoli «furono riempiti di Spirito Santo e cominciarono a parlare»; anche i profeti parlavano quando erano investiti dallo Spirito Santo. Dunque, mentre si può comunicare con lo Spirito, con l’idolo c’è incomunicabilità.

Dato poi che l’idolo non parla, la comunicazione ha bisogno di un mediatore. Infatti, Paolo ha scritto che, quando erano pagani, erano trascinati e condotti (v. 2), quindi in qualche modo erano guidati da qualcuno. Tra il pagano e l’idolo c’è quindi passività, manca quel contatto che sia ha invece con lo Spirito Santo, che agisce direttamente su di noi e ci dà di parlare.

A volte, però, pur dichiarandosi cristiani e abitati dallo Spirito Santo, se non si ha la mediazione di un pastore o di un altro fratello, ci si sente persi. In questi credenti e in certe chiese, l’impostazione si avvicina all’idolatria, essendoci la necessità di mediatori che non sono Gesù. Nella Scrittura troviamo che Israele si fece il vitello d’oro e lo chiamò Javè, non idolo (Eso 32:1-4). Facciamo dunque attenzione a non essere come quegli idolatri che si illudono di avere un dialogo diretto con Dio. Senza un rapporto personale e diretto con Dio, si è sostanzialmente pagani, anche quando ciò viene espresso con un linguaggio cristiano.

Paolo traccia poi una cornice sintetica, scrivendo che «nessuno, parlando per lo Spirito di Dio, dice: “Gesù è anatema!”», ovvero “Gesù è separato”. Perché se è lo Spirito Santo a farci parlare, la presenza di Gesù è necessaria ed anche sufficiente. Infatti, Paolo prosegue dicendo: «Nessuno può dire: “Gesù è il Signore!” se non per lo Spirito Santo».

Quindi, nessuno può riconoscere Gesù come Signore della propria vita e vedere in lui la gloria se non è lo Spirito a suggerirgliela. Il mondo infatti vede in Gesù “il povero crocifisso”, mentre per i credenti è il glorioso, il potente e il risorto. Paolo ha quindi dato un criterio per riconoscere ciò che viene dallo Spirito Santo e ciò che viene da altri spiriti: la presenza e la glorificazione di Gesù. L’operare dello Spirito può così essere definito come cristocentrico.

4. LA CHIESA È UN’OPERA TRINITARIA (12:4-6)

«Ora vi è diversità di carismi, ma vi è un medesimo Spirito. Vi è diversità di ministeri, ma non vi è che un medesimo Signore. Vi è varietà di operazioni, ma non vi è che un medesimo Dio, il quale opera tutte le cose in tutti» (12:4-6).

C’è qualcosa qui che potrebbe sembrare un contrasto, ma è un’armonia, perché c’è una diversità che si compone in unità.

«Ora vi è diversità di carismi» (v. 4a). La parola «carismi» è greca e tradotta sarebbe “doni”. Quindi, ci sono vari doni, però «vi è un medesimo Spirito» (v. 4b). Come visto al paragrafo 2, lo Spirito è collegato ai doni, poiché è lui che li trasmette al nostro spirito.

«Vi è diversità di ministeri, ma non vi è che un medesimo Signore» (v. 5). “Signore”, in questo caso non è riferito a Dio in senso generico, ma a Gesù. Infatti, altre volte abbiamo visto come nelle Lettere degli apostoli per “Signore” si intenda Gesù. Questo è chiaro anche dal versetto 3 precedentemente visto, nel quale Paolo ha detto che lo Spirito Santo porta a confessare che «Gesù è il Signore!». Dunque, mentre lo Spirito Santo produce doni, il Signore Gesù produce ministeri. La parola “ministro” è oggi un titolo prestigioso, ma la sua radice è “minus ter”, cioè qualcuno che è inferiore rispetto a un terzo e, quindi, è al suo servizio. Anche Gesù è ministro, in quanto al servizio del Padre. Per alcuni potrebbe sembrare un ragionamento strano, ma è proprio Gesù che disse: «Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» (Giov 6:38). Gesù è colui per mezzo del quale il Padre opera, ad esempio nella creazione, che è un progetto di Dio Padre realizzato per mezzo di lui. D’altronde, Gesù disse di se stesso: «Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire» (Mar 10:45, Mat 20:28). Quindi, ci sono servizi di vario tipo nella Chiesa, ma sono tutti diretti dal Signore Gesù.

Paolo ha proseguito dicendo che «vi è varietà di operazioni, ma non vi è che un medesimo Dio» (v. 6a). Nelle Lettere degli apostoli per “Dio” ci si riferisce al Padre. Paolo ha così proceduto con uno schema trinitario: Spirito, Figlio e Padre. A quest’ultimo associa le «operazioni», ovvero i “progetti”, quindi, la responsabilità ultima di tutto è di Dio Padre.

Lo schema trinitario è, dunque, che i progetti sono di Dio Padre, eseguiti per mezzo di Gesù, del quale lo Spirito Santo ne realizza gli obiettivi. Un esempio imperfetto, ma che può aiutare a capire, è la relazione che c’è fra un ingegnere che progetta la casa, il geometra incaricato di dirigere i lavori e il muratore che la realizza.

Gesù stesso ha detto dello Spirito Santo: «Egli mi glorificherà perché prenderà del mio e ve lo annuncerà» (Giov 16:14). Quindi, lo Spirito conduce a Gesù e questo è confermato dal fatto che la sua azione nel credente lo porta a dire che «Gesù è il Signore!». Che l’opera dello Spirito sia cristocentrica si vede anche in Atti 2, quando gli apostoli sono riempiti di Spirito Santo e iniziano ad annunciare Gesù. In Atti 3:1-8 troviamo poi che Pietro, pieno di Spirito, opera per Gesù guarendo uno zoppo, al quale dice: «Dell’argento e dell’oro io non ne ho; ma quello che ho, te lo do: nel nome di Gesù Messia, il Nazareno, alzati e cammina!» (v. 6). Lo Spirito Santo è come l’aiutante di Gesù, che dà ai credenti le capacità e la forza di essere il corpo del Messia, dando di vivere in noi la vita di Gesù.

Paolo ha concluso scrivendo che il Padre «opera tutte le cose in tutti» (v. 6b). La diversità di doni, ministeri e operazioni viene perciò ricondotta all’unità. Purtroppo, non pochi pretendono di inquadrare l’opera dello Spirito Santo in un modo che divide i credenti in categorie. In Atti 2, però, ricevendo lo Spirito, i discepoli di Gesù non si misero a discutere su chi ne avesse avuto di più, perché tutti avevano ricevuto quella stessa fiammella che si era suddivisa (v. 3), perciò procedettero a testimoniare compatti. La vera opera dello Spirito unisce, non divide.

5. LA CHIESA È IL CORPO DEL MESSIA PER OPERA DELLO SPIRITO SANTO (12:7-13)

«Ora a ciascuno è data la manifestazione dello Spirito per il bene comune. Infatti a uno è data, mediante lo Spirito, parola di sapienza; a un altro parola di conoscenza, secondo il medesimo Spirito; a un altro, fede, mediante il medesimo Spirito; a un altro, doni di guarigione, per mezzo del medesimo Spirito; a un altro, potenza di operare miracoli; a un altro, profezia; a un altro, il discernimento degli spiriti; a un altro, diversità di lingue e a un altro, l’interpretazione delle lingue; ma tutte queste cose le opera quell’unico e medesimo Spirito, distribuendo i doni a ciascuno in particolare come vuole» (12:7-11).

Paolo pone ora l’accento sull’opera dello Spirito, elencando nove doni che egli dà. Se si chiede a un credente di scrivere un elenco di questi doni, con accanto i nomi di quelli della sua chiesa ai quali sono riconosciuti, è probabile che diverse caselle restino vuote. Uno dei doni più comuni è quello della conoscenza. Tuttavia, andando a vedere meglio, può succedere che sia frutto di un impegno di studio, più che essere un dono dello Spirito. Con l’impegno di studio che spesso ha al centro la teologia del proprio ambiente.

Ad ogni modo, se in una chiesa i nove doni che ha elencato Paolo non sono riconosciuti a determinati fratelli, significa che quella chiesa è nell’ignoranza, poiché trascura i doni dello Spirito. Ci sono poi chiese che ritengono di esaltare i doni e accusano gli altri di non fare altrettanto, però poi può capitare che si concentrino solo su uno, per esempio sulla diversità delle lingue. Paolo ha associato questo dono all’interpretazione, che però non di rado è trascurata. Ne consegue che anche queste chiese, che dicono di aver riscoperto i doni, non ne hanno veramente una conoscenza secondo la Parola di Dio.

Grave è poi dividere i credenti in base ai doni, perché qui e altrove Paolo insiste sempre su una unità che integra le diversità.

Al versetto 11 Paolo ha scritto: «Ma tutte queste cose le opera quell’unico e medesimo Spirito, distribuendo i doni a ciascuno in particolare come vuole». Quindi è lo Spirito che dà i doni, secondo la sua volontà. Questo significa che il dono trova la sua motivazione nel donatore e non nel beneficiario. Infatti, non è scritto: «distribuendo i doni ai più zelanti e spirituali, che si impegnano di più e lo chiedono con più vigore». Più avanti troviamo qualcosa di simile: «Ma ora Dio ha collocato ciascun membro nel corpo, come ha voluto» (v. 18).

Dalla Lettera ai Romani è chiaro che anche la grazia non ha motivazioni in chi la riceve, ma in chi la dona. Infatti, Dio è libero ed ha detto: «Farò grazia a chi vorrò fare grazia e avrò pietà di chi vorrò avere pietà (Eso 33:19; Rom 9:15). La grazia è un dono gratuito di Dio che ha la sorgente nella sua volontà. I doni che Paolo riporta ai versetti 8-10 dobbiamo riconoscerli e accoglierli. Anche desiderarli è bene, ma non esiste un modo per accaparrarseli. Chi dice «Ora ti spiego come costringere Dio a darti questo dono» è fuori strada, poiché per quanto uno possa provarci, non possiamo far fare a Dio la nostra volontà.

«Poiché, come il corpo è uno e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, benché siano molte, formano un solo corpo, così è anche del Messia. Infatti noi tutti siamo stati battezzati in un unico Spirito per formare un unico corpo, Giudei e Greci, schiavi e liberi; e tutti siamo stati abbeverati di un solo Spirito» (12:12-13).

Con il «Poiché» Paolo si avvia alla conclusione del suo discorso, collegando l’opera dello Spirito Santo alla formazione del corpo del Messia.

«Infatti noi tutti siamo stati battezzati in un unico Spirito» (v. 13a). «Battezzati» è un’altra parola greca non tradotta, che significa “immersi”. Paolo ha detto che tutti i credenti lo sono stati, nessuno escluso. Ha proseguito dicendo: «E tutti siamo stati abbeverati di un solo Spirito» (v. 13b). L’essere stati immersi, quindi, sebbene necessario, non è sufficiente. Infatti, uno può immergersi una volta e restare inzuppato per sempre, ma essere abbeverati non si può fare una volta sola. Questa è un’attività quotidiana che deve continuare.

Concludendo, per essere adeguatamente ed efficacemente corpo di Gesù non bastano lo sforzo e le qualità naturali. C’è bisogno di essere stati immersi nello Spirito ed è poi necessario proseguire bevendo da quella fonte.

6. LA CHIESA È IL CORPO DEL MESSIA PER OPERA DI DIO PADRE (12:14-28)

«Infatti il corpo non si compone di un membro solo, ma di molte membra. Se il piede dicesse: “Siccome io non sono mano, non sono del corpo”, non per questo non sarebbe del corpo. Se l’orecchio dicesse: “Siccome io non sono occhio, non sono del corpo”, non per questo non sarebbe del corpo. Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l’udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l’odorato? Ma ora Dio ha collocato ciascun membro nel corpo, come ha voluto. Se tutte le membra fossero un unico membro, dove sarebbe il corpo? Ci sono dunque molte membra, ma c’è un unico corpo; l’occhio non può dire alla mano: “Non ho bisogno di te”; né il capo può dire ai piedi: “Non ho bisogno di voi”. Al contrario, le membra del corpo che sembrano essere più deboli sono invece necessarie; e quelle parti del corpo che stimiamo essere le meno onorevoli, le circondiamo di maggior onore; le nostre parti indecorose sono trattate con maggior decoro, mentre le parti nostre decorose non ne hanno bisogno; ma Dio ha formato il corpo in modo da dare maggior onore alla parte che ne mancava, perché non ci fosse divisione nel corpo, ma le membra avessero la medesima cura le une per le altre. Se un membro soffre, tutte le membra soffrono con lui; se un membro è onorato, tutte le membra ne gioiscono con lui» (12:14-26).

Mentre nel paragrafo precedente abbiamo visto che la chiesa è opera dello Spirito Santo, qui Paolo ha guardato a essa come progetto di Dio Padre. Lo si vede dal versetto 18: «Ma ora Dio ha collocato ciascun membro nel corpo [del Messia], come ha voluto». Concetti poi ripresi ai versetti 24 e 28, dove Paolo ha continuato a parlare della Chiesa come opera di Dio Padre: «Ma Dio ha formato il corpo»; «E Dio ha posto nella chiesa».

Un’analogia può essere fatta con il nostro corpo, che non ce lo siamo formati da soli, ma ci è stato “donato” dai nostri genitori e a noi spetta poi di gestirlo. Qui Paolo ha mostrato come anche il corpo di Gesù (la Chiesa) non sia lui a formarselo, ma è un dono e un progetto di Dio Padre. Come ricavabile dalla profezia citata da Gesù e che dice: «Javè ha detto al mio Signore: “Siedi alla mia destra finché io abbia messo i tuoi nemici sotto i tuoi piedi”» (Mat 22:44; Mar 12:36; Luca 20:42; cfr. Salmo 110:1). Vediamo che tra Padre, Figlio e Spirito Santo c’è un servirsi l’un l’altro. È bello pensare che, parlando del corpo del Messia, Paolo non abbia messo al centro il Messia, ma abbia messo in evidenza il fatto che il progetto è di Dio Padre, realizzato dallo Spirito. Questa impostazione ci mostra ancora una volta come si combinino diversità e unità, integrandosi.

Nella chiesa tutti sono necessari e devono essere onorati. Anche i deboli sono utili, perché con il loro bisogno di essere accolti e aiutati danno tanta gioia a quelli forti. I credenti giovani nella fede e in difficoltà mettono in moto la chiesa, come un neonato fa smuovere una famiglia.

«Se un membro soffre, tutte le membra soffrono con lui; se un membro è onorato, tutte le membra ne gioiscono con lui» (v. 26). Questo versetto ci fa capire se e quanto una chiesa ha effettivamente realizzato l’essere il corpo di Gesù. Non è scontato che, se un fratello soffre, un altro ne condivida la sofferenza. In alcuni casi si arriva addirittura a pensare: «Gli succede così perché si sarà comportato male, ben gli sta». Anche con un credente onorato non è facile sintonizzarcisi; anzi, la prima reazione è spesso l’invidia. Reazioni sbagliate di questo tipo mostrano che l’opera di Dio in quella chiesa è scarsa. Si può anche fingere di essere come sappiamo che si dovrebbe essere, ma prima o poi la verità emerge.

«Ora voi siete il corpo del Messia e membra di esso, ciascuno per parte sua» (12:27).

Questa si può considerare come la sintesi di tutto il capitolo.

Il concetto della chiesa come corpo del Messia si trova anche in altri due scritti di Paolo, cioè Romani 12:5 ed Efesini 5:30.

«E Dio ha posto nella chiesa in primo luogo degli apostoli, in secondo luogo dei profeti, in terzo luogo dei dottori, poi miracoli, poi doni di guarigioni, assistenze, doni di governo, diversità di lingue» (12:28).

L’elenco di doni è in ordine di priorità.

«In primo luogo degli apostoli». In una chiesa è fondamentale che il primo a operare sia un apostolo, ovvero un fondatore mandato da Dio con ben chiaro il progetto e con la capacità di porre le basi. Paolo ha scritto di sé stesso: «Come esperto architetto, ho posto il fondamento; un altro vi costruisce sopra» (1Cor 3:10). Agli apostoli seguono i profeti, i quali trasmettono la Parola e la guida di Dio per quella chiesa in quel momento. Sono però necessari anche i dottori, che collegano la chiesa alla Parola di Dio scritta.

Non è soltanto un discorso teorico, in quanto nella chiesa di Antiochia «c’erano profeti e dottori: Barnaba, Simeone detto Niger, Lucio di Cirene, Manaem, amico d’infanzia di Erode il tetrarca, e Saulo» (Atti 13:1). Che profeti e dottori sia al plurale è buono perché, se ci fosse un solo profeta o un solo dottore si potrebbe inorgoglire. Non per caso Gesù inviò gli apostoli a due a due (Mar 6:7). Nel versetto citato non si parla di apostoli, perché ad Antiochia era scontato che ci fossero stati, essendoci già una chiesa. Più avanti troviamo infatti scritto: «Ma gli apostoli Barnaba e Paolo» (Atti 14:14). Entrambi sono definiti apostoli, perché inizialmente era stato Barnaba a porre il primo fondamento della chiesa di Antiochia, ma poi si era reso conto che le basi andavano ampliate e allora andò a cercare Paolo. Infatti, Barnaba era più adatto ad esortare, mentre insieme a Paolo «istruirono» (Atti 11:22-27).

Dopo questi primi tre doni fondamentali ne troviamo altri cinque. I doni di governo suscitano molto fascino, perché comandare piace, ma Paolo ha messo questo dono al penultimo posto. All’ultimo posto, invece, troviamo quello della diversità delle lingue.

Non è raro che ci si appelli alla Parola di Dio per esercitare un certo dono, ma non bisogna trascurare il posto che Dio dà a quel dono. Evitando così di considerare primario ciò che Dio considera sì importante, ma secondario.

Concludiamo con un’apparente contraddizione. Abbiamo visto che «Dio ha posto nella chiesa» tutte le varie funzioni, ma in Efesini 4:11 è scritto: «È lui [Gesù] che ha dato alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e dottori». Vediamo dunque che questo compito è svolto sia dal Padre sia dal Figlio. D’altronde, il primo opera per mezzo del secondo. Gesù ha espresso questa collaborazione in Giovanni 5:19: «In verità, in verità vi dico che il Figlio non può da se stesso fare cosa alcuna, se non ciò che vede fare dal Padre; perché le cose che il Padre fa, anche il Figlio le fa ugualmente». Quindi, tra i due c’è un intreccio tale da integrarli in modo da essere uniti profondamente, sebbene restando persone distinte. Ma a questo tema dedichiamo il sottostante Approfondimento.