Alessia Lanini

DA ADAMO AGLI APOSTOLI

Una panoramica di tutta la Bibbia basata sul testo in sé

Volume (da definire)

 

Scuola elementare di cristianesimo

Dialoghi sulla prima lettera di Paolo ai Corinzi, condotti da Fernando De Angelis

 

BOZZA 1 DEL DIALOGO 12: 1CORINZI 4:21 a 5:3

 

Scarica qui il file dei Dialoghi da 6 a 12.

Il file dei Dialoghi 1-5 è scaricabile dal post sul Dialogo 5. 

 

1.L’equivoco su Paolo pronto ad usare la verga (4:21)

2.Il caso del comportamento scandaloso di un membro della chiesa (5:1-8)

3.La chiesa non deve tollerare i malvagi (5:9-13)                       

 

Dialogo 11

1CORINZI 4:21 a 5:3

 

1. L’EQUIVOCO SU PAOLO PRONTO A USARE LA VERGA (4:21)

«Che volete? Che venga da voi con la verga o con amore e con spirito di mansuetudine?» (4:21).

Da questo versetto potremmo ricavare impressioni sbagliate, perché sembra che Paolo sia pronto ad andare dai Corinzi con la verga per usarla pesantemente. In realtà non è così, come si può ricavare da 2Corinzi 1:23, dove scrive: «Ora io chiamo Dio come testimone sulla mia vita che è per risparmiarvi che non sono più venuto a Corinto. Noi non signoreggiamo sulla vostra fede, ma siamo collaboratori della vostra gioia». La 1Corinzi è una delle prime Lettere di Paolo, mentre la 2Corinzi è una delle ultime, pertanto fra le due intercorre un lungo periodo di tempo, dopo il quale Paolo dice di non aver ancora usato la verga. Come conferma in 2Corinzi 13:2: «Ho avvertito quand’ero presente tra di voi la seconda volta e avverto ora, che sono assente, tanto quelli che hanno peccato precedentemente, quanto tutti gli altri, che, se tornerò da voi, non userò indulgenza». Con l’espressione che stiamo esaminando, Paolo voleva mostrare che ci sarebbe stata la necessità di usare la verga e che i Corinzi se la sarebbero meritata, ma si è trattenuto dall’usarla, cercando alternative.

Un’altra questione importante è che Paolo la verga non l’avrebbe usata in solitudine, perché in 1Corinzi 5:4 scrive: «Nel nome del Signore Gesù, essendo insieme riuniti voi e lo spirito mio, con l’autorità del Signore nostro Gesù, ho deciso che quel tale sia consegnato a Satana». Paolo mostra che avrebbe agito insieme ai Corinzi, convinto che molti conduttori si sarebbero associati a lui, così avrebbero operato tutti insieme nel nome del Signore Gesù.

In 2Corinzi 10:6 Paolo ha espresso un concetto simile: «Siamo pronti a punire ogni disubbidienza, quando la vostra ubbidienza sarà completa». Potrebbe sembrare contraddittorio, perché Paolo dice che lui e i suoi collaboratori saranno disposti a punire ogni disubbidienza dei Corinzi quando questi si disporranno in un atteggiamento di ubbidienza. Il senso è che Paolo non voleva fare il dittatore, ma convincere almeno la maggioranza e i conduttori della chiesa di Corinto sulla necessità di una disciplina, da esercitare insieme a loro.

Paolo non eseguiva le sue sentenze, infatti, in 1Corinzi 5:5 scrive: «Ho deciso che quel tale sia consegnato a Satana, per la rovina della carne, affinché lo spirito sia salvo nel giorno del Signore Gesù». Se questa decisione di Paolo non fosse stata condivisa da Gesù, quelle parole non avrebbero avuto alcun effetto. C’è una netta differenza tra persone come Paolo e Mosè, rispetto a un Neemia che era un politico e non un profeta. Quando Neemia vedeva qualcuno che faceva ciò che lui riteneva sbagliato, arrivava fino a prenderlo per i capelli e strapparglieli (Neemia 13:25).

Quando anziani di chiesa emettono sentenze nel nome di Gesù che poi eseguono loro stessi, per esempio scomunicando qualcuno, Gesù potrebbe essere d’accordo con loro o no, dato che non c’è una prova evidente che lo dimostri. Geremia non eseguì la sentenza di Dio che ebbe l’incarico di comunicare al falso profeta Anania, quando gli disse che sarebbe morto entro un anno. La profezia poi si avverò, ma non perché Geremia lo colpì di spada (Ger 28:15-17). Se agiamo convintamente nel nome di Dio, dobbiamo pronunciare parole che sarà poi Dio stesso a eseguire, correndo noi il rischio di dirle.

Anche in Atti 13:10-11 vediamo che Paolo operò secondo lo stesso principio, cioè parlando e lasciando poi agire Dio stesso. Disse infatti al falso profeta Bar-Gesù: «O uomo pieno d’ogni frode e d’ogni malizia, figlio del diavolo, nemico di ogni giustizia, non cesserai mai di pervertire le rette vie del Signore? Ecco, ora la mano del Signore è su di te, e sarai cieco per un certo tempo, senza vedere il sole». Cosa che effettivamente avvenne subito per opera di Dio. Se non fosse successo nulla, Paolo sarebbe stato subito squalificato. Anche nel caso di Anania e Saffira non fu Pietro a colpirli di spada e ucciderli, ma fu Dio ad eseguire su loro la sentenza, dopo che avevano mentito allo Spirito Santo (Atti 5:1-11).

Questo vale anche in positivo, come quando Pietro, nel nome di Gesù, disse allo zoppo di alzarsi e camminare: se lo zoppo non fosse subito guarito, Pietro avrebbe perso ogni credibilità (Atti 3:1-11). Ci sono sedicenti profeti che assicurano la guarigione ai malati e, se non avviene, hanno pronta la scusa, incolpando il malato di poca fede. Gesù e gli apostoli non dissero parole a vuoto come costoro. Certi credenti hanno però poco discernimento e così, oltre al peso della malattia, si fanno carico anche della colpa di non avere fede.

 

2.IL COMPORTAMENTO SCANDALOSO DI UN MEMBRO DI CHIESA (5:1-8)

«Si ode addirittura affermare che vi è tra di voi fornicazione, una tale fornicazione che non si trova neppure fra i pagani; al punto che uno si tiene la moglie di suo padre!» (5:1).

Gesù non ci ha dato la libertà di fare il male, ma quella dello Spirito, cioè di avere la forza di vincere il male. Allora come ora, nel nome di Gesù alcuni si permettono un’immoralità più grande di quella dei pagani. Questo succede perché si estremizza il concetto di perdono, il fatto che siamo tutti peccatori e che il peccato è più nei pensieri che nei comportamenti. Così la libertà in Gesù viene perversamente usata per coprire la malizia, come scrive Pietro (1Pie 2:16).

 

«E voi siete gonfi, e non avete invece fatto cordoglio, perché colui che ha commesso quell’azione fosse tolto di mezzo a voi!» (5:2).

Di fronte al membro di chiesa che aveva peccato gravemente, i Corinzi si erano gonfiati, cioè inorgogliti. Un modo per farlo è di guardare il disordinato e dire: «Ma io non faccio così. Quello si sta comportando male e sarà peggio per lui». È un modo per sentirsi a posto e disinteressarsi del problema. Altri invece si fano carico della questione: «Adesso a quel disordinato ci penso io. Bisogna difendere Gesù, contro quelli che lo infangano». Entrambi questi modi di reagire, però, non risolvono veramente il problema, perché quando esercitiamo la disciplina con le nostre forze, non facciamo altro che alimentare le liti e peggiorare la situazione.

Come prima cosa, Paolo invitò i Corinzi a fare cordoglio, cioè a mettersi a piangere per quel fratello che stava peccando. Solo una riprensione accompagnata dalle lacrime ha qualche probabilità di successo.

 

«Nel nome del Signore Gesù, essendo insieme riuniti voi e lo spirito mio, con l’autorità del Signore nostro Gesù, ho deciso che quel tale sia consegnato a Satana, per la rovina della carne, affinché lo spirito sia salvo nel giorno del Signore Gesù» (5:4-5).

Il significato di «giorno del Signore» è lo stesso che abbiamo visto in 1:18 e si riferisce al giorno in cui Gesù tornerà, ci sarà la risurrezione e instaurerà il suo regno.

Paolo parla di un credente che pecca gravemente e che viene punito sembrerebbe con la morte, senza però perdere la salvezza. Appare un po’ strano, ma nella stessa 1Corinzi 11:29-32 troviamo scritto: «Poiché chi mangia e beve, mangia e beve un giudizio contro se stesso, se non discerne il corpo del Signore [Gesù]. Per questo motivo molti fra voi sono infermi e malati, e parecchi muoiono. Ora, se esaminassimo noi stessi, non saremmo giudicati; ma quando siamo giudicati, siamo corretti dal Signore [Gesù], per non essere condannati con il mondo». È facile per noi pensare che una chiara punizione di Dio significhi anche una condanna, eppure qui vediamo che una punizione anche estrema, come la morte, non implica la condanna. Qualcosa di simile è riportato anche in 1Corinizi 3:13-15: «L’opera di ognuno sarà messa in luce; perché il giorno del Messia la renderà visibile; poiché quel giorno apparirà come un fuoco; e il fuoco proverà quale sia l’opera di ciascuno. Se l’opera che uno ha costruita sul fondamento rimane, egli ne riceverà ricompensa; se l’opera sua sarà arsa, egli ne avrà il danno; ma egli stesso sarà salvo; però come attraverso il fuoco». Qualcuno opera in un modo che non ha valore e per questo perderà il premio, ma lui stesso sarà salvo.

Questi passi della 1Corinzi sono molto importanti per il tema della certezza della salvezza, già trattato nell’Approfondimento n. 1.

 

«Il vostro vanto non è una buona cosa. Non sapete che un po’ di lievito fa lievitare tutta la pasta?» (5:6).

Paolo non cambia argomento, al versetto 2 ha parlato del loro essere gonfi e adesso del loro vanto. Dato che la chiesa non si dissociava dal comportamento sbagliato e peccaminoso di quel credente, è come se implicitamente lo approvasse. Così altri si sentivano autorizzati ad imitarlo. In Israele, per esempio, spesso l’idolatria non era osteggiata dal popolo, che l’accoglieva facilmente. Un po’ di lievito, appunto, fa lievitare tutta la pasta e se certi comportamenti scorretti sono lasciati correre, si diffondono in tutta la chiesa.

 

«Purificatevi del vecchio lievito, per essere una nuova pasta, come già siete senza lievito. Poiché anche la nostra Pasqua, cioè il Messia, è stata immolata» (5:7).

L’invito a purificarsi richiama la santificazione, però poi è detto che è già una realtà, con un discorso un po’ contraddittorio. Il divenire credente mette in noi il seme di Dio, la presenza dello Spirito Santo che innesca una vita nuova. C’è già un inizio di santificazione e purificazione, insieme alla certezza che Gesù ci renderà simili a lui alla risurrezione. Quindi già siamo sempre più e già siamo come prospettiva, per questo abbandoniamo il peccato, che non fa parte del nostro destino e del nostro futuro.

 

«Celebriamo dunque la festa, non con vecchio lievito, né con lievito di malizia e di malvagità, ma con gli azzimi della sincerità e della verità» (5:8).

È colui che commetteva fornicazione che usava malizia e malvagità, facendo passare il suo comportamento come buono. La sincerità e la verità vengono contrapposte alla malizia e alla malvagità. La malizia è ipocrisia, perché cerca di nascondere il male e perciò non è sincerità. La malvagità è contrapposta alla verità perché presenta un Messia non vero e una fede falsa.

 

3.LA CHIESA NON DEVE TOLLERARE I MALVAGI (5:9-13)

Dopo essersi soffermato su un caso specifico, Paolo prosegue sullo stesso argomento, inserendolo in un contesto più ampio, per delineare un principio generale con il quale affrontare problemi simili.

 

«Vi ho scritto nella mia lettera di non mischiarvi con i fornicatori; non del tutto però con i fornicatori di questo mondo, o con gli avari e i ladri, o con gl’idolatri; perché altrimenti dovreste uscire dal mondo; ma quel che vi ho scritto è di non mischiarvi con chi, chiamandosi fratello, sia un fornicatore, un avaro, un idolatra, un oltraggiatore, un ubriacone, un ladro; con quelli non dovete neppure mangiare. Poiché, devo forse giudicare quelli di fuori? Non giudicate voi quelli di dentro? Quelli di fuori li giudicherà Dio. Togliete il malvagio di mezzo a voi stessi» (5:9-13).

Poco sopra (5:2) Paolo aveva scritto che quel singolo andava tolto di mezzo a loro e ora applica il principio in senso generale, dicendo che vanno tolti, cioè posti fuori della comunione della chiesa, tutti quelli che danno scandalo con il loro comportamento. Paolo non sta però riproponendo il fariseismo. I farisei non volevano avere contatto con i peccatori, rimanendo scandalizzati quando Gesù faceva amicizia con loro. Gesù lo faceva perché c’era in loro un atteggiamento di ravvedimento e perché lui stesso non aveva paura di quel contatto. Chi invece si sentiva fragile, non frequentava i peccatori per cautelarsi. Paolo non ha invitato a separarsi da quelli del mondo, ma da chi dichiara di avere fede in Gesù ed ha un comportamento scandaloso.

Certamente siamo tutti peccatori, ma siamo tutti fornicatori? Qualcuno potrebbe dire che tutti lo siamo col pensiero, ma è sensato ritenere che avere un pensiero impuro equivale a commettere adulterio? In tutti e due i casi abbiamo certamente bisogno del perdono di Dio, ma hanno la stessa gravità? Siamo tutti avari, idolatri, oltraggiatori, ubriaconi e labri? Paolo non dice di togliere i peccatori, perché lo siamo tutti, ma di togliere il malvagio, cioè colui che si immerge nel male anche con il comportamento.

Una chiesa non può però correggere se prima essa stessa non ha fatto un percorso di santificazione, necessario per avere quell’autorità morale che la rende credibile. In Osea 4:14 è scritto: «Io non punirò le vostre figlie perché si prostituiscono, né le vostre nuore perché commettono adulterio; poiché essi stessi si appartano con le prostitute e sacrificano con donne impudiche; il popolo, che non ha discernimento, corre alla rovina». Dio dice che non avrebbe punito le mogli e le figlie di quegli uomini che, per primi, davano un esempio di corruzione.

Se noi coccoliamo il malvagio, chiudiamo un occhio e lo giustifichiamo, gli diamo l’illusione che anche Dio lo giustifichi. Più avanti, però, Paolo fa chiarezza: «Non sapete che gl’ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non v’illudete; né fornicatori, né idolatri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriachi, né oltraggiatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio» (6:9-10).

Un altro problema sorge quando si va a giudicare, perché è facile che qualcuno dica che non possiamo farlo, dato che siamo tutti peccatori. Questo però è un cristianesimo superficiale, “da bar”, che può essere tollerato in chi non conosce la Parola di Dio. Chi invece legge gli insegnamenti di Paolo ai Corinzi, li ritiene Parola di Dio e si rifiuta di esercitare una sana disciplina, non è che faccia un’interpretazione sbagliata; ma si comporta in modo disonesto, perché segue i suoi propri pensieri, per poi appoggiarsi su quello che la Parola di Dio dice in certi versetti, ignorando le affermazioni contrastanti.

Ci sono diversi modi di esercitare la disciplina, ma riguardo a questo ci siamo già soffermati nell’Approfondimento n. 6, commentando 1Corinzi 2:15, dove Paolo scrive che «l’uomo spirituale, invece, giudica ogni cosa». Siamo certamente invitati a non giudicare, a non condannare, a perdonare e a tenere presente che siamo tutti peccatori. Un credente in Gesù con un minimo di maturità non può però prendere solo una parte della Parola di Dio e ignorare il resto, se professa di accettarla tutta e di seguire l’insegnamento degli apostoli.

Lo schema del capitolo 5 viene ripreso da Paolo subito dopo, cioè nella prima parte del capitolo 6 (vv. 1-11). Avremo perciò modo di fare ulteriori precisazioni su questi difficili temi.