Ping pong 026. L’USO DEI NOMI EBRAICI: UNA MODA PERICOLOSA

LETTERA FIRMATA (25/6/18). Caro Fernando, nel tuo commento a Matteo 6:9-15 e cioè alla preghiera del “Padre nostro”, fai un’osservazione che condivido, facendo presente che «gli apostoli hanno santificato il nome del Padre non ripristinando l’uso del Tetragramma, ma onorando il Padre attraverso il Figlio» (“Note al Vangelo di Matteo”, cap. 12/3). Ultimamente noto che non solo si insiste sul nome Javè (o Geova), ma anche sul chiamare Gesù con Yeshua anche in italiano. Non c’è nulla di male, ma questo insistere mi sembra un po’ fuorviante.

RISPOSTA (3/9/18). Caro Amico, a me sembrano invece dei segnali molto pericolosi, sia per le deviazioni che introducono, sia perché un uso distorto delle radici ebraiche ne ostacola quello corretto, del quale invece c’è molto bisogno. Nell’usare Yeshua al posto di Gesù vengono però coinvolti presupposti e atteggiamenti diversi, rispetto a quando si usa Javè al posto di Signore, perciò distingueremo le due questioni.

Non credo che si possa separare Gesù dagli apostoli, né separare gli apostoli dal Nuovo Testamento, scritto in parte da loro e il resto con la loro approvazione. Il Nuovo Testamento è stato scritto in Greco e, negli originali greci, i nomi ebraici sono tradotti o adattati alla lingua greca. Nella prima predicazione del Vangelo (Atti 2) fu presumibilmente usato l’ebraico, dato che fu fatta a Gerusalemme, in ogni caso Dio fece il miracolo di farla udire a ciascuno «NELLA LINGUA NATIVA». Usare Yeshua, perciò, significa fare il contrario di ciò che hanno fatto gli apostoli, tentando di annullare il desiderio di Dio di parlare a ciascuno con parole a lui accessibili.

Nell’Antico Testamento il nome di Dio è dato dal Tetragramma (JHWH), la cui traduzione letterale presenta qualche incertezza. Io preferisco Javè perché è la forma più semplice. Il desiderio di Dio di tradurre l’ebraico nella lingua dei destinatari si era manifestato già un paio di secoli prima di Gesù, quando fu approntata la traduzione greca dell’Antico Testamento (detta dei Settanta). Quella traduzione si diffuse anche fra il popolo di Dio e divenne prevalente nelle sinagoghe. In essa il Tetragramma è reso per lo più con “Signore”. Il Nuovo Testamento cita l’Antico usandone di solito la versione greca e per questo non contiene il Tetragramma. Nella predicazione degli apostoli c’era al centro il nome di Gesù, non il Tetragramma (per es. Atti 3:6; 4:10-12; 9:15). Nei commenti, però, è a volte utile metterlo in rilievo. Per esempio, le espressioni «Il Signore ha detto al mio Signore» (Sal 110:1; Mat 22:44) e «Il Signore è Dio» (1Re 18:39) sono molto più chiare, se rese con «Javè ha detto al mio Signore» e «Javè è Dio».

Matteo sottolinea le “radici ebraiche” di Gesù, mostrandone le connessioni con l’Antico Testamento. Nelle continue dispute con i farisei, però, sottolinea anche come certe radici ebraiche siano velenose. Capire la cultura e le tradizioni ebraiche può aiutarci a capire meglio Gesù. Gli italiani che vogliono riscoprire le radici ebraiche di Gesù, però, spesso non sono attenti a distinguere quelle salutari da quelle velenose. DAF