Alessia Lanini

DA ADAMO AGLI APOSTOLI

Una panoramica di tutta la Bibbia basata sul testo in sé

Volume (da definire)

 

Scuola elementare di cristianesimo

Dialoghi sulla prima lettera di Paolo ai Corinzi, condotti da Fernando De Angelis

 

BOZZA 1 DEL DIALOGO 9: 1CORINZI 3:16-4:8

 

Scarica qui il file dei Dialoghi da 6 a 9.

Il file dei Dialoghi 1-5 è scaricabile dal post sul Dialogo 5. 

 

1.Riemerge il filo conduttore dei partiti

2.La sapienza umana demolisce anziché costruire (3:16-20)

3.Legati al Messia apprezzando tutti i fratelli (3:21-23)

4.Giudicare l’operato e non la persona (4:1-5)

5.Non oltre ciò che è scritto per evitare le divisioni (4:6-8)

 

Dialogo 9

1CORINZI 3:16-4:8

 

1.RIEMERGE IL FILO CONDUTTORE DEI PARTITI

Nella Lettera ai Corinzi sembra che Paolo cambi spesso discorso, rendendo complicato riconoscere un filo conduttore. Si possono però vedere delle chiare tracce nel testo, se ci soffermiamo un po’.

In 1:10 Paolo introduce il tema dei partiti, cioè del denominazionalismo, e sembra concluderlo in 1:16, ma in realtà ricompare, arrivando almeno fino 4:8. In 3:4, per esempio, Paolo parla di coloro che si sentivano appartenere a lui o ad Apollo e in 3:22 riemerge lo stesso argomento.

Un aspetto importante da cogliere è il parallelismo tra i passi 3:3-4 e 4:6. In 3:3-4 Paolo scrive: «Infatti, dato che ci sono tra di voi gelosie e contese, non siete forse carnali e non vi comportate secondo la natura umana? Quando uno dice: “Io sono di Paolo”, e un altro: “Io sono di Apollo”, non siete forse carnali?». Il sorgere dei partiti provoca vere e proprie spaccature nella chiesa, creando gruppi distinti, dotati di propri leader, che hanno uno specifico orientamento e i cui membri si favoreggiano l’un l’altro. I partiti sono fonte di gelosie, contese e carnalità, cioè di una mentalità che non riflette quella di Dio, ma è tipicamente umana. Mentre in 4:6 è scritto: «Ora, fratelli, ho applicato queste cose a me stesso e ad Apollo a causa di voi, perché per nostro mezzo impariate a praticare il non oltre quel che è scritto e non vi gonfiate d’orgoglio esaltando l’uno a danno dell’altro». Torna dunque lo stesso concetto: la formazione di partiti spinge all’orgoglio e ai litigi.

Paolo invita a non confidare nella sapienza umana, perché i partiti non si fondano sulla base di quanto sta scritto nella Bibbia, ma poggiano su dottrine particolari inventate da qualcuno, che viene poi esaltato da chi aderisce, generando litigi con quelli appartenenti a un altro partito. Per Paolo il denominazionalismo non è solo un difetto, ma è la sorgente di una degenerazione complessiva, che colpisce poi tutti gli aspetti della vita cristiana.

 

2.LA SAPIENZA UMANA DEMOLISCE ANZICHÉ COSTRUIRE (3:16-20)

«Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?» (3:16).

Questo versetto è chiaramente collegato con 3:9, dov’è menzionata la chiesa come «l’edificio di Dio», un’espressione parallela al «tempio di Dio» di 3:16. Che i singoli siano abitazione dello Spirito è un’idea biblicamente giusta e non contrasta con il considerare l’insieme della chiesa come dimora di Dio, cioè come Tempio, nel quale il singolo credente è come una pietra. Ciò è ben evidente, per esempio, in 2Cor 6:16; Efe 2:20-22; 1Pie 2:2-5. Un’impostazione confermata dal vedere Gesù come Tempio (cfr. Giov 2:18-21) e i singoli credenti come parti del suo corpo (1Cor 12:27).

Il versetto in esame inizia con «non sapete» ed è un esempio di come i problemi possano derivare dal fatto che non siamo coscienti. Il fratello maggiore del figliol prodigo stava in casa del padre privandosi di molte cose, ma il padre gli dice che tutto apparteneva anche a lui; non ne era però consapevole, perciò viveva da povero con un padre ricco (Luca 15:25-31). Essere consapevoli è molto importante e ci evita di sforzarci per conquistare ciò che è già a nostra disposizione. Il capitolo 1 della Lettera agli Efesini insiste sulla nostra identità, sulla nostra posizione, su chi siamo in Gesù, ma dopo averlo letto e apprezzato, spesso succede che non l’applichiamo. Se siamo però coerenti con quello che ci dice, tutto diventa straordinario e dovremmo osare di dire: «Grazie, mio Dio, per quanto mi assicuri e che perciò voglio vivere». Paolo dice che siamo il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in noi, non dice che dovremmo o che dovrebbe, ma che è già così. Nella chiesa succede spesso qualcosa di positivo e inaspettato, ma non dobbiamo sorprenderci, data la presenza di Gesù in mezzo al suo popolo (Mat 18:20; 28:20).

 

«Se uno guasta il tempio di Dio, Dio guasterà lui; poiché il tempio di Dio è santo; e questo tempio siete voi» (3:17).

Ai versetti 13-14 Paolo aveva detto che quando i servitori di Dio fanno cose inutili, perdono il premio; mentre qui afferma che chi fa danni e guasta la chiesa, sarà guastato da Dio. Non c’è quindi da scherzare o improvvisare, quando si opera fra il popolo di Dio.

 

«Nessuno s’inganni. Se qualcuno tra di voi presume di essere un saggio in questo secolo, diventi pazzo per diventare saggio; perché la sapienza di questo mondo è pazzia davanti a Dio. Infatti è scritto: “Egli prende i sapienti nella loro astuzia”; e altrove: “Il Signore conosce i pensieri dei sapienti; sa che sono vani”» (3:18-20).

Paolo sembra cambiare completamente argomento, ma è solo un’apparenza, perché la sapienza umana è pazzia per Dio e distrugge la chiesa, cioè il tempio di Dio del v. 17. In altre parole, se qualcuno nella chiesa mette al primo posto la logica, la concretezza, ciò che vede con la sua miopia, può anche farlo con apparente umiltà, ma è come se si mettesse al posto di Dio, con effetti che risulteranno distruttivi, anche se inconsapevolmente. Entrare nell’opera di Dio e agire è una grandissima responsabilità, che non può essere presa sulla base della logica umana, perché essa non vede la potenza, la presenza e l’opera di Dio. Paolo invita a diventare pazzi secondo la pazzia di Dio, richiamando quanto aveva espresso in 1:20, cioè che Dio ha «reso pazza la sapienza di questo mondo».

Il falso profeta Anania era apparentemente sensato e biblico, pieno di fede e fedele alla Scritture; secondo lui il popolo d’Israele avrebbe vinto contro i nemici, se avesse riposto la propria fiducia in Dio, rifiutando di arrendersi, perché dalla Parola di Dio notava come egli aveva operato in altri casi (Ger 28:1-4). Geremia invitava invece ad arrendersi (Ger 25:8-9), apparendo non biblico e senza fede. Tant’è che il popolo d’Israele reagì volendo uccidere Geremia e considerandolo pazzo (Ger 29:26-27), mentre elogiavano e si lasciavano sedurre dalle parole del falso profeta Anania.

Possiamo e dobbiamo usare la concretezza, la logica e la razionalità, perché anch’esse sono un dono di Dio. La nostra logica non può però da sola determinare quale sia la volontà di Dio, ma può essere usata all’interno del disegno ricevuto da Dio per noi. Dio non è contro la logica, ma è sopra la logica.

Quando Dio ordinò a Mosè di andare dal faraone per liberare il suo popolo, Mosè si basò sulla propria logica e rispose che non poteva svolgere quella missione. Dio non gli disse di abbandonare quella logica, ma chiese a Mosè di integrarla, mostrandogli la sua potenza (Eso 4:1-5). Mosè allora non smise di essere logico, ma tenne conto di ciò che Dio gli aveva fatto vedere e andò. Un altro esempio è Eliseo, che vedeva intorno a sé gli angeli, contrariamente al suo servo (2Re 6:15-17). Prima di basarci su ciò che vediamo, dobbiamo perciò accogliere in noi la visuale di Dio.

Questa lotta di Paolo contro il razionalismo, cioè contro il mettere la ragione e la concretezza al primo posto, potrebbe far pensare che Paolo promuova l’irrazionalità. Più avanti contrasta invece anche quelli che si davano all’irrazionalità, scrivendo che «ogni cosa sia fatta con dignità e con ordine» (1Cor 14:40), cioè ogni cosa bisognava farla razionalmente e logicamente. Perché dobbiamo essere pazzi della «pazzia di Dio» (3:21-23), senza disprezzare la ragione, ma mettendo ogni cosa al suo posto.

 

3.LEGATI AL MESSIA APPREZZANDO TUTTI I FRATELLI (3:21-23)

«Nessuno dunque si vanti degli uomini, perché tutto vi appartiene. Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, le cose presenti, le cose future, tutto è vostro! E voi siete del Messia; e il Messia è di Dio» (3:21-23).

Introducendo con “dunque”, Paolo intende concludere il discorso precedente, per poi iniziarne un altro. Gli uomini dei quali i Corinzi non dovevano vantarsi erano Paolo stesso, Apollo e Cefa (Pietro), quindi non persone di poco conto, ma i migliori. Alcuni si vantano di appartenere ad una chiesa dove c’è un valente conduttore, al quale si affidano completamente e che elogiano oltre misura. Oppure si sente parlare della chiesa “di Tizio”, “di Caio” e “di Sempronio”: non è che sia sbagliato dirlo, perché in effetti è la realtà, dato che certi modi di fare di quella chiesa derivano da decisioni di Tizio, cioè non discendono direttamente dalla Parola di Dio. Mentre la chiesa di Caio e di Sempronio, che stanno poco più lontane, hanno fatto scelte diverse, seguendo i propri gusti. In non poche chiese si rischiano guai a contraddire il conduttore, perché tutto si fonda sul suo prestigio. Il problema più difficile non è dunque comprendere la Bibbia, ma viverla concretamente, distaccandoci e abbandonando le nostre abitudini. La 1Corinzi, non a caso, non è tra le più popolari Lettere di Paolo, perché mette in risalto i difetti “di gioventù”, ai quali si è spesso affezionati.

La contestazione che facciamo di certi modi, perciò, non vogliamo legarla ai nostri nomi, non vogliamo cioè che i credenti si mettano a discutere se abbiamo ragione o torto, ma che si sentano spinti ad andare a vedere cosa dice la Bibbia, cosa dice Dio, per giungere alle stesse conclusioni, oppure dissentirne.

Paolo dice ai Corinzi che tutto apparteneva loro, non ponendosi su un piano superiore agli altri e invitando ad ascoltare tutti. In 1Tessalonicesi 5:21 scrive: «Esaminate ogni cosa e ritenete il bene». Tutti hanno cose positive da dare, se le sappiamo cogliere.

Afferma poi che i credenti appartengono al Messia, non a una chiesa o a un conduttore. Un vero credente è legato al Messia e apprezza tutti i fratelli, senza sentirsi legato a qualcuno in un modo speciale.

Torniamo ancora sulla questione Cristo/Messia, sottolineando la differenza che c’è fra tradurre «Cristo è di Dio» (v. 23) oppure «il Messia è di Dio». Usando Cristo si rischia di fare confusione, essendo diffuso il pensiero che “tanto Cristo è Dio, quindi sono la stessa persona”. Invece il Messia è chiaramente distinto da Dio Padre, essendo prima di tutto il figlio di Davide promesso nelle Scritture, caratterizzandosi inequivocabilmente come ebreo, che può essere anche Figlio di Dio, senza perdere il suo essere anche figlio di Davide.

 

4.GIUDICARE L’OPERATO E NON LA PERSONA (4:1-5)

«Così, ognuno ci consideri servitori del Messia e amministratori dei misteri di Dio. Del resto, quel che si richiede agli amministratori è che ciascuno sia trovato fedele. A me poi pochissimo importa di essere giudicato da voi o da un tribunale umano; anzi, non mi giudico neppure da me stesso. Infatti non ho coscienza di alcuna colpa; non per questo però sono giustificato; colui che mi giudica è il Signore. Perciò non giudicate nulla prima del tempo, finché sia venuto il Signore, il quale metterà in luce quello che è nascosto nelle tenebre e manifesterà i pensieri dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio» (4:1-5).

Viene ripreso il discorso sui conduttori iniziato in 3:9. Il «non giudicate nulla» può essere inteso male, se non lo inquadriamo nel suo contesto. Alcuni lo intendono in senso assoluto, come «non giudicate mai niente e nessuno». Ciò però significherebbe approvare qualsiasi cosa faccia un conduttore, ma anche in quel caso lo staremmo giudicando, seppure in positivo. Non possiamo evitare di valutare i comportamenti di un conduttore o di noi stessi, evitando però di giudicare la persona, perché per valutarla dovremmo conoscere la sua coscienza e le sue motivazioni, cioè qualcosa che non ci compete.

Una sintesi si potrebbe così impostare: «Quel fratello ha un difetto evidente e saremmo ipocriti a negarlo, ma nel complesso sta facendo qualcosa di utile e dobbiamo stargli vicino». Senza tapparci gli occhi di fronte ai suoi limiti, cogliamo il positivo che c’è nel fratello, avvicinandoci a lui per essergli d’aiuto. Dobbiamo avere un confronto vero con gli altri, senza pensare che “tutti sono bravi” e “tutti fanno bene”, prendendo coscienza della realtà, ma vedendola con la benevolenza di Dio.

Viene poi detto che, alla sua venuta, il Signore Gesù metterà in luce ciò che è nascosto nelle tenebre, manifestando i pensieri dei cuori. Si potrebbe pensare a questo in negativo, ma Paolo dice che ciascuno ne avrà la sua lode da Dio, perché Dio vuole far emergere il positivo di ciò che siamo, anziché il negativo. Nella Lettera agli Ebrei, tra i campioni della fede c’è anche Sansone (Ebr 11:32), nella cui biografia ci sono anche aspetti che lasciano perplessi (Giudici 14-16), ma in quella Lettera si guarda alla fede delle persone perché, esagerando, i peccati li ha presi tutti Gesù.

 

5.NON OLTRE CIÒ CHE È SCRITTO PER EVITARE LE DIVISIONI (4:6-8)

«Ora, fratelli, ho applicato queste cose a me stesso e ad Apollo a causa di voi, perché per nostro mezzo impariate a praticare il non oltre quel che è scritto e non vi gonfiate d’orgoglio esaltando l’uno a danno dell’altro.» (4:6).

Paolo ci rivela il modo per evitare di farsi un partito: non andare oltre ciò che è scritto. Apollo era un suo collaboratore e anche a lui Paolo aveva insegnato a non andare oltre ciò che è scritto, così da evitare che i Corinzi dicessero «io sono di Paolo» o «io sono di Apollo». Nonostante questi insegnamenti, a Corinto lo dicevano lo stesso, perché quando uno ama un certo modo di essere, c’è poco da fare.

Se osserviamo bene, le denominazioni e le divisioni nascono da particolari vedute che qualcuno introduce e che non si basano sulla sola Scrittura. Ad esempio, del movimento battista non si capisce bene chi ne sia stato il fondatore, perché si rifacevano letteralmente alla Bibbia e così non c’è un vero fondatore. Per il luteranesimo e il calvinismo ci sono invece dei fondatori, perché alcune scelte di Lutero e di Calvino sono state determinate dalle circostanze e da loro personali vedute. Non è da trascurare il fatto che più ci basiamo direttamente sulla Parola di Dio, più diventa grande la condivisione con tutti i cristiani.

 

«Infatti, chi ti distingue dagli altri? E che cosa possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché ti vanti come se tu non l’avessi ricevuto?» (4:7).

Questo versetto è una medicina contro l’orgoglio, da tenere a portata di mano. Chi è che ci dice che in noi stessi valiamo più di quello o di quell’altro fratello? Ce lo dice Dio? No! Ce lo diciamo da soli, o ce lo dice qualche insensato. Se possediamo qualcosa di valore è certamente un dono di Dio, qualcosa che Dio ha costruito in noi, non può essere frutto di un nostro sforzo o della nostra intelligenza. Paolo con i suoi sforzi era arrivato ad essere un persecutore dei cristiani, poi Dio è intervenuto ed ha costruito qualcosa di valore in lui. Può succederci di ricevere qualcosa da Dio, usarlo e poi dimenticarci che l’abbiamo ricevuto da Dio, mettendo al primo posto noi stessi.

È probabile che abbiamo un dono che altri fratelli non hanno e che l’altro abbia qualcosa che a noi manca. Dio ci fa dei doni, comunque, non affinché ce ne possiamo vantare, ma per usarli a favore dei fratelli. È perciò necessario esercitarsi ad usarli bene.

 

«Già siete sazi, già siete arricchiti, senza di noi siete giunti a regnare! E fosse pure che voi foste giunti a regnare, affinché anche noi potessimo regnare con voi!» (4:8).

Paolo introduce l’argomento in modo ironico, dicendo ai Corinzi che sono già sazi, arricchiti e giunti a regnare senza lui, senza Apollo e Pietro. Sembra accogliere le loro valutazioni, accettando di essere considerato più indietro e meno intelligente di loro, giunti ormai al traguardo. I Corinzi si stavano comportando come quei bambini che, basandosi sulla loro poca conoscenza, si sentono sapienti e pensano di capire più dei propri genitori.

Questa illusione di aver raggiunto il traguardo si trova anche in 2Timoteo 2:18, dove Paolo descrive «uomini che hanno deviato dalla verità, dicendo che la risurrezione è già avvenuta, e sovvertono la fede di alcuni». Dire che la risurrezione era già avvenuta era chiaramente un’illusione, eppure c’erano alcuni che argomentavano di essere già risorti. Anziché controbattere con altri argomenti, Paolo mostra la realtà di ciò che lui era e viveva, esortandoli ad assumere il ruolo che competeva loro: non di maestri di Paolo, ma di suoi figli, dato che era stato lui a generarli in Gesù (4:9-11).

I Corinzi si illudevano di essere arrivati e allora Paolo mostra qual è il vero punto di arrivo, se si segue Gesù realmente. È facile essere attirati dalla gloria umana, anziché dalla gloria di Dio, che si trova in un’altra dimensione. È in prigione che Paolo e Sila, dopo essere stati bastonati, videro la manifestazione della gloria di Dio, così magnifica che il carceriere ne rimase folgorato e si convertì a Gesù. Era infatti diventato per lui chiaro che essere dei carcerati come Paolo e Sila fosse meglio che essere carcerieri (Atti 16:16-34). Stare con Gesù dà un appagamento che non è dello stesso tipo di quello che i Corinzi perseguivano e si illudevano di avere, ma un appagamento che Paolo viveva e invitava a vivere.