Alessia Lanini

DA ADAMO AGLI APOSTOLI

Una panoramica di tutta la Bibbia basata sul testo in sé

Volume (da definire)

 

Scuola elementare di cristianesimo

Dialoghi sulla prima lettera di Paolo ai Corinzi, condotti da Fernando De Angelis

 

BOZZA 1 DEL DIALOGO 8: 1CORINZI 3:1-15

 

Scarica qui il file dei Dialoghi da 6 a 8.

Il file dei Dialoghi 1-5 è scaricabile dal post sul Dialogo 5. 

 

Approfondimento n. 6. Dobbiamo o non dobbiamo giudicare?            

A.Introduzione

B.Il contrasto tra Gesù e Paolo non può che essere apparente

C.Due estremi pericolosi: inquisizione e libertà ai malvagi

D.L’importanza di sapere chi e come è chiamato a giudicare

E.Lasciare che sia Dio a mettere in atto la sentenza

F.Conclusione

1.Due infantilismi: litigiosità e dipendenza da un leader (3:1-7)

2.Giudicati per il premio, non per la salvezza (3:8-15)

 

Dialogo 8

1CORINZI 3:1-15

 

Prima di considerare questo brano è necessario approfondire il tema del giudicare, emerso alla fine del brano precedente.

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Approfondimento n. 6

DOBBIAMO O NON DOBBIAMO GIUDICARE?

«L’uomo spirituale, invece, giudica ogni cosa ed egli stesso non è giudicato da nessuno. Infatti “chi ha conosciuto la mente del Signore da poterlo istruire?” Ora noi abbiamo la mente del Messia» (2:15-16).

 

A.Introduzione.

Paolo afferma che un credente in Gesù giudica ogni cosa e questo è in forte contrasto con l’idea molto diffusa che un cristiano non debba giudicare, atteggiamento che viene giustificato da frasi di Gesù che ritroviamo nei Vangeli e che appaiono molto chiare.

Di fronte a questo tipo di temi controversi abbiamo scelto di non sorvolare, di non lasciare che ognuno si arrangi e concluda con ciò che più ritiene adeguato o che più gli fa comodo, come se la Parola di Dio dicesse tutto e il contrario di tutto… cioè niente! Credendo che la Bibbia sia ispirata da Dio, non possiamo accettare che dica cose contrastanti. Gesù ha affermato: «Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli» (Mat 11:25; Luca 10:21). Siamo perciò convinti che, se ci poniamo con semplicità di fronte alla Parola di Dio e volendo imparare, la sintesi ai contrasti si possa trovare. Vogliamo condividere le convinzioni maturate sul modo di comporre l’apparente contraddizione, senza la pretesa di riuscire a convincere tutti.

 

B.Il contrasto tra Gesù e Paolo non può che essere apparente.

Gesù ha affermato: «Non giudicate, affinché non siate giudicati» (Mat 7:1, Luca 6:37) e «Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra» (Giov 8:7). Queste parole fanno pensare che «Nessuno può giudicare nessuno». È Gesù stesso però ad invitare i discepoli a valutare i comportamenti dei fratelli, fino al punto di affermare che «tutte le cose che legherete sulla terra, saranno legate nel cielo; e tutte le cose che scioglierete sulla terra, saranno sciolte nel cielo» (Mat 18:15-17). Bisogna quindi fare attenzione e non prendere solo una parte di quello che ha detto Gesù. Essendo egli un esempio, si è forse astenuto dal giudicare? Non ha giudicato scribi, farisei e anche altri? Dobbiamo ricordarci che certe espressioni di Gesù sono “iperboliche”, cioè espresse in un modo esagerato per farle rimanere impresse, quindi vanno equilibrate con l’insieme della Parola di Dio.

Paolo è stato dichiaratamente uno strumento di Gesù per portare avanti la sua opera e Gesù l’ha assistito dall’inizio alla fine. Pertanto le parole di Paolo non possono essere messe in contrasto con quelle di Gesù. In 1Corinzi 5:12-13 Paolo scrive: «Devo forse giudicare quelli di fuori? Non giudicate voi quelli di dentro? Quelli di fuori li giudicherà Dio. Togliete il malvagio di mezzo a voi stessi». Secondo Paolo abbiamo perciò il dovere di individuare e giudicare il malvagio che si infiltra nella chiesa.

Cercando una sintesi, possiamo cadere nella trappola di considerare la Parola di Dio come un manuale di diritto, nel quale si può saltare da una pagina all’altra, dimenticandoci che la rivelazione della Bibbia è di norma circostanziata, dato che è rivelata in un certo contesto, a determinati interlocutori, per raggiungere precisi scopi. Ne deriva che un insegnamento dato in tempi e luoghi diversi può dire cose diverse, facendo riferimento a contesti diversi.

 

C.Due estremi pericolosi: inquisizione e libertà ai malvagi.

Possiamo vedere in noi, nella parola di Dio, nel Nuovo Testamento e nella storia, che la chiesa può essere vittima di due eccessi, tutti e due molto dannosi. Il primo si ha quando un sistema di potere umano espropria le coscienze e dice agli individui: «Tu devi fare quello che diciamo noi, altrimenti guai a te», costringendo a tenere un comportamento considerato giusto secondo valutazioni umane.

Nella Bibbia, la prima persona ad aver messo in pratica questo sistema è Neemia, che arrivò a strappare i capelli a coloro che non facevano quello che lui supponeva doveroso (Neemia 13:25). Questo aspetto di Neemia viene di solito nascosto dai molti che lo prendono a modello, ma è da lì che proviene quel modo dispotico dei capi giudei che troviamo nei Vangeli. Il sinedrio che esisteva al tempo di Gesù derivava da Neemia, che aveva riunito i capi, saldandoli insieme e facendone un sistema di governo che agisse sotto l’autorità ufficiale dell’imperatore (Neemia 9:38), costruendo così una struttura di tipo mafioso, che permetteva di governare un territorio senza disporre di un’autorità politica ufficiale.

Nonostante che Neemia abbia agito circa cinque secoli prima di Gesù, nei Vangeli troviamo ancora ben funzionante il suo metodo. In Giovanni 7:12-13 è scritto: «Vi era tra la folla un gran mormorio riguardo a lui. Alcuni dicevano: “È un uomo per bene!”, altri dicevano: “No, svia la gente!”. Nessuno però parlava di lui apertamente, per paura dei Giudei». Questa “paura dei Giudei” si ritrova anche in Giovanni 9:22; 12:42; 19:38; 20:19 e in Galati 2:12. Gesù stava agendo tra il popolo di Dio, ma la gente era bloccata dal giudizio dei capi. Questo tipo di eccesso è stato messo poi in pratica dall’inquisizione cattolica ed oggi è presente anche in certe chiese protestanti che, se avessero un’isola a loro disposizione e qualcuno disobbedisse al “pastore”, non esiterebbero a buttarlo a mare.

Nel suo contesto, Gesù ha voluto rompere la gabbia oppressiva che ha trovato, dicendo “nessuno giudichi nessuno”. Evidentemente questo non è un principio che può valere sempre e ovunque, tanto che Gesù ha invitato a valutare il comportamento dei fratelli (Mat 18:15-17), come già detto. Gesù ha agito come prosecutore dell’Antico Testamento, ma in quel momento ha ritenuto necessario accentuare di più un certo aspetto.

Gli eccessi sono soliti stimolare la nascita degli eccessi opposti, così l’oppressione inquisitoriale ha via via prodotto un altro eccesso, che arriva a dare piena libertà ai malvagi. Uno dei passi in cui è descritta la libertà permessa ai malvagi è 2Pietro 2:10-19, dove sono descritti quelli che hanno al centro il soddisfacimento di desideri peccaminosi. Pietro dice di loro: «Audaci, arroganti, non hanno orrore di dir male delle dignità […] come bestie prive di ragione, destinate per natura a essere catturate e distrutte, dicono male di ciò che ignorano, e periranno nella propria corruzione, ricevendo il castigo come salario della loro iniquità. Essi trovano il loro piacere nel gozzovigliare in pieno giorno; sono macchie e vergogne; godono dei loro inganni mentre partecipano ai vostri banchetti. Hanno occhi pieni di adulterio e non possono smettere di peccare; adescano le anime instabili; hanno il cuore esercitato alla cupidigia; sono figli di maledizione! […] Con discorsi pomposi e vuoti adescano, mediante i desideri della carne e le dissolutezze, quelli che si sono appena allontanati da coloro che vivono nell’errore; promettono loro la libertà, mentre essi stessi sono schiavi della loro corruzione, perché uno è schiavo di ciò che lo ha vinto».

Si tratta di persone diaboliche alle quali piace stare fra i credenti, con lo scopo di sedurre quelli che cominciano ad allontanarsi dal mondo e stanno facendo i primi passi di un percorso di santità. A loro questi malvagi dicono: «Come? Tu cerchi di soffocare certi istinti perché ritieni che siano peccato? Ma non sai che Cristo ci ha resi liberi? Noi non siamo sotto la legge, quindi dobbiamo essere liberi e sinceri. Tu invece sei ipocrita a nascondere i tuoi impulsi naturali che Dio stesso ha creato».

Molte chiese cadono in uno de due eccessi, ma ci sono anche quelle che praticano una sana e corretta disciplina, cercando di arginare il male e incoraggiare al bene in modo amorevole.

Concludiamo divagando un po’ su un paradosso, quello che i due estremi a volte si integrano. Quando la morale di un gruppo è controllata da un sistema umano, non può che concentrarsi su ciò che è visibile, cioè sulle “esteriorità sociali”. Più che aumentare la moralità aumenta l’ipocrisia, che può arrivare alla nota condizione dei «sepolcri imbiancati» (Mat 23:27).

Un gruppo dirigente che impone un certo comportamento, poi, tende a privilegiare i propri interessi. Per esempio, è facile che insista sul pagamento di quelle “quote sociali” destinate anche a loro, mentre sui peccati che sono per Dio più gravi è disposto a chiudere un occhio e a volte ambedue.

Se mettiamo in pratica un comandamento di Dio è più facile farlo con un altro e lo stesso accade con i vizi, che tendono a svilupparsi insieme, più che in modo alternativo.

 

D.L’importanza di sapere chi e come è chiamato a giudicare.

Non è secondario stabilire chi è chiamato a giudicare, né come bisogna farlo. Un giovane credente ripeteva spesso 1Corinzi 2:15: «L’uomo spirituale, invece, giudica ogni cosa», così si sentiva libero di giudicare tutto e tutti. Anche a noi è capitato di aver giudicato per poi dover chiedere scusa, riconoscendo che avevamo prodotto qualche danno. Ribadiamo l’importanza di percorrere la parola di Dio non “con l’elicottero”, ma “a piedi”; così facendo si passa prima dal versetto 6, dove Paolo dice: «Tuttavia a quelli tra di voi che sono maturi esponiamo una sapienza, però non una sapienza di questo mondo né dei dominatori di questo mondo». La sapienza che permette di giudicare, perciò, si acquisisce con la maturità spirituale, che impedisce di esprimere giudizi che scaturiscano dal nostro particolare punto di vista, perché arriva a farci avere la mente del Messia (v. 16), dandoci il punto di vista di Gesù. Possiamo perciò giudicare, ma solo dopo un percorso di maturazione e con la certezza che, nel farlo, stiamo usando la mente del Messia, non la nostra.

Consideriamo Numeri 11:14-17, dove Mosè dice a Dio: «Io non posso, da solo, portare tutto questo popolo; è un peso troppo grave per me». Dio gli rispose: «Radunami settanta fra gli anziani d’Israele, conosciuti da te come anziani del popolo e come persone autorevoli; conducili alla tenda di convegno e vi si presentino con te. Io scenderò e lì parlerò con te; prenderò lo Spirito che è su te e lo metterò su di loro, perché portino con te il carico del popolo e tu non lo porti più da solo». Mosè cercò dunque persone stimate e di valore, le cui qualifiche umane non sarebbero però bastate per renderle capaci di governare il popolo di Dio, cioè per emettere giudizi (cfr. Deu 1:9-17), una funzione che può essere svolta adeguatamente solo con una speciale assistenza dello Spirito Santo.

Qualcuno potrebbe pensare che questo valga solo per l’Antico Testamento e non per il Nuovo. Vediamo allora 1Corinzi 12:28, dove Paolo scrive: «Dio ha posto nella chiesa in primo luogo degli apostoli, in secondo luogo dei profeti, in terzo luogo dei dottori, poi miracoli, poi doni di guarigioni, assistenze, doni di governo, diversità di lingue». Non è possibile essere apostolo, profeta o dottore della parola di Dio astenendosi dal giudicare e saper governare significa implicitamente anche avere la capacità di giudicare.

Nelle chiese del Nuovo Testamento non era prevista una figura di tipo monarchico che governasse la comunità in modo solitario, anche se questo succede oggi non di rado. La funzione di giudicare era svolta collegialmente e si parla infatti di apostoli, profeti e dottori al plurale, facenti parte di un collegio di anziani che governava la chiesa condividendo le decisioni. In questo modo veniva ridotto il rischio del “conflitto di interessi”, che si ha quando chi giudica ha interesse ad emettere una sentenza piuttosto che un’altra. Per esempio, è difficile per un pastore essere obiettivo, se sono coinvolti suoi familiari o amici, oppure se è lui stesso ad essere contestato.

 

E.Lasciare che sia Dio a mettere in atto la sentenza.

Negli Atti troviamo che gli apostoli qualche volta giudicavano. Ci limitiamo a citare il caso di Anania e Saffira (Atti 5:1-11), dove i due coniugi muoiono improvvisamente dopo un giudizio su di loro espresso da Pietro, che li aveva ripresi per aver mentito allo Spirito Santo. Più avanti c’è il caso del mago Elima (Atti 13:9-12), dove Paolo, pieno di Spirito Santo e non d’orgoglio, dice al mago che il Signore l’avrebbe accecato, dato il suo pervertire le vie del Signore, con il mago che rimase cieco all’istante.

Paolo non aveva gli strumenti politici per punire fisicamente il mago, Mosè invece ce li aveva, ma se ne asteneva ugualmente. Come si può notare in Numeri 16, quando quelli di Core furono inghiotti dalla terra che Dio spalancò sotto di loro, perché si erano ribellati.

Geremia non cercò di uccidere il falso profeta Anania, ma gli annunciò un giudizio di Dio che lo avrebbe fatto morire entro quell’anno (Ger 28:15-17). Non dobbiamo essere noi ad eseguire la sentenza, ma è meglio limitarci ad esprimere il punto di vista di Dio, lasciando che sia lui a decidere se, come e quando intervenire. Correndo il rischio di essere noi svergognati, se il giudizio che abbiamo espresso non è condiviso da Dio.

 

F.Conclusione.

Concludiamo sottolineando alcuni punti da non dimenticare.

1.Non dobbiamo ritenerci superiori, mettendoci sopra a chi ha sbagliato o sta sbagliando;

2.Dobbiamo giudicare con amore. In 1Corinzi 5:2 Paolo scrive: «Siete gonfi, e non avete invece fatto cordoglio, perché colui che ha commesso quell’azione fosse tolto di mezzo a voi!». Li rimprovera per non essersi prima di tutto messi a piangere («fatto cordoglio») per chi aveva peccato, perché la prima cosa da fare è dispiacersi per chi ha sbagliato, anziché inorgoglirsi;

3.Avendo l’obiettivo del recupero. Il nostro desiderio deve essere che quel fratello riesca a rialzarsi e a fortificarsi. Spesso invece succede che chi sbaglia, o si ritiene che abbia sbagliato, venga allontanato non provvisoriamente, ma a vita.

4.Quindi sì al giudicare, ma fatto dalle persone giuste e nel modo giusto.

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1.DUE INFANTILISMI: LITIGIOSITÀ E DIPENDENZA DA UN LEADER (3:1-7)

Ai primi 15 versetti del capitolo 3 daremo una scorsa veloce, perché contengono temi che abbiamo in parte già anticipati o che saranno ripresi più avanti.

 

«Fratelli, io non ho potuto parlarvi come a spirituali, ma ho dovuto parlarvi come a carnali, come a bambini nel Messia. Vi ho nutriti di latte, non di cibo solido, perché non eravate capaci di sopportarlo» (3:1-2a).

Appena convertiti abbiamo bisogno di cose essenziali e semplici, non essendo in grado di comprendere gli insegnamenti più complessi. Nei circa due anni di sosta a Corinto, è come se Paolo avesse svolto un programma da primo biennio delle elementari, prefiggendosi con questa Lettera di arrivare al completamento dei cinque anni di questa scuola basilare.

 

«Anzi, non lo siete neppure adesso, perché siete ancora carnali» (3:2b).

Era trascorso un certo tempo, da quando Paolo li aveva lasciati, ma ciò non aveva prodotto un’adeguata crescita e molti di loro si erano adagiati in una vita spirituale da bambini.

 

«Infatti, dato che ci sono tra di voi gelosie e contese, non siete forse carnali e non vi comportate secondo la natura umana?» (3:3).

Gelosie e contese erano il segno del loro infantilismo. Quando sono insieme, infatti, è facile che i bambini litighino, a volte ancora più se sono fratelli.

 

«Quando uno dice: «Io sono di Poalo», e un altro: «Io sono di Apollo», non siete forse carnali? Che cos’è dunque Apollo? E che cos’è Paolo? Sono servitori, per mezzo dei quali voi avete creduto, così come il Signore ha concesso a ciascuno. Io ho piantato, Apollo ha annaffiato, ma Dio ha fatto crescere; quindi colui che pianta e che colui che annaffia non sono nulla: Dio fa crescere!» (3:4-7)

Paolo paragona i Corinzi a un bambino che divinizza il genitore. Se uno ci trasmette il Vangelo e ci aiuta in un’esperienza di conversione, per noi diventa un punto di riferimento indiscutibile. È facile elogiarlo oltre misura e ritenerlo più santo di noi, mettendolo al posto di Dio. Il passaggio ad adulti significa arrivare a stimare i fratelli, mettendoli non sopra di noi, ma al nostro fianco, come credenti più maturi e quindi capaci di insegnarci.

Riprendendo lo schema visto poco sopra, i due vizi della litigiosità e della dipendenza da un leader (“leaderismo”), anche in questo caso possono prosperare insieme. In un contesto di litigiosità, infatti, la via di uscita umana è quella di affidarsi ad un “capo indiscutibile”.

 

2.GIUDICATI PER IL PREMIO, NON PER LA SALVEZZA (3:8-15)

«Ciascuno riceverà il proprio premio secondo la propria fatica. Noi siamo infatti collaboratori di Dio, voi siete il campo di Dio, l’edificio di Dio. Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come esperto architetto, ho posto il fondamento; un altro vi costruisce sopra. Ma ciascuno badi a come vi costruisce sopra; poiché nessuno può porre altro fondamento oltre a quello già posto, cioè il Messia Gesù» (3:8-11).

Il fondamento dell’opera di Dio deve essere il Messia Gesù. È lui che deve stare al centro e al quale collegare le persone, senza legarle a noi per promuovere un tipo di club umano. Il credente diviene parte del corpo del Messia e si relaziona con il Messia: se si scantona da questo fondamento, non si sta più operando per Gesù e per Dio, ma si sta facendo un’opera di proselitismo umano per ricavarne una gloria umana.

 

«Ora, se uno costruisce su questo fondamento con oro, argento, pietre di valore, legno, fieno, paglia, l’opera di ognuno sarà messa in luce; perché il giorno del Messia la renderà visibile; poiché quel giorno apparirà come un fuoco; e il fuoco proverà quale sia l’opera di ciascuno. Se l’opera che uno ha costruita sul fondamento rimane, egli ne riceverà ricompensa; se l’opera sua sarà arsa, egli ne avrà il danno; ma egli stesso sarà salvo; però come attraverso il fuoco» (3:12-15).

Paolo si riferisce ai servitori di Dio che, nel portare avanti la sua opera, possono farlo in un modo che ha valore o che non ha valore. Quando l’opera non ha valore non supera la prova del fuoco e la persona non riceve alcun premio, tuttavia quella persona è salva lo stesso.

Paolo qui distingue fra salvezza e premio, mostrando che pure il credente sarà giudicato, non però per decidere sulla sua salvezza che resta per grazia, ma su un premio con il quale Gesù vorrà onorare chi lo ha servito più fedelmente, come anche espresso nella parabola delle mine (Luca 19:12-26). Questo passo ci convince ancor più sulla certezza della salvezza, che non dipende da noi e dalle nostre azioni, ma da Dio soltanto.