Appendice dialettica alla Conferenza

A seguito della pubblicazione di questi video e delle reazioni spontanee che ne sono sorte,
anch’io, avendo precedentemente ascoltato con attenzione le registrazioni, ho preso posizione,
evidenziando in ordine sparso 11 tesi che il relatore principale ha cercato di sostenere, marcando
così la radicale novità ed originalità delle sue affermazioni. Queste mie considerazioni sono
rimbalzate a lui direttamente e ne è nato uno scambio pacato e cordiale, ove, pur prendendo atto
della distanza delle nostre posizioni, abbiamo convenuto che io avrei riformulato in modo più
compiuto, quei rilievi fatti in un discorso già iniziato. Ne è nata così questa “Appendice dialettica”
ove io (MT..a), a titolo meramente personale, pongo quelle domande che evidenziano il nostro
divario teologico, Fernando De Angelis (DAF) risponde cercando di farci “leggere ed intelligere”
meglio il suo pensiero al di la dell’intento talvolta oratorio e talvolta effervescente della conferenza,
ed io ribadisco nella mia replica (MT..b) quella visione delle cose verso cui lui si pone come
alternativa. Tonino Mele

MELE TONINO (MT) 1a. Consideri le tue convinzioni, malgrado la loro originalità e radicale novità,
delle ipotesi di ricerca suscettibili di ulteriore definizione o delle acquisizioni per te ormai definite? Se
non è così, perché, vista anche la specificità e la complessità delle questioni sollevate, si è dato alla
conferenza un taglio più di tipo “oratorio” che dialettico, cioè privo di persone preparate nello
specifico, che avrebbe dato modo ai presenti di comprendere meglio cosa era in gioco e a te modo di
dimostrare meglio il valore delle tue asserzioni?

DE ANGELIS FERNANDO (DAF) 1.
Definisci il Convegno come “privo di persone preparate nello specifico”. Da parte mia considero
pienamente adeguati gli altri componenti dello staff, mentre fra il pubblico è vero che c’erano poche persone
ufficialmente titolate, ma si trattava per lo più di credenti abituati a riflettere sulla Parola di Dio e ad
assumersi le proprie responsabilità. Pensando agli “allevatori di pecore” Abramo e Davide, a Pietro e
Giovanni che vennero definiti «popolani senza istruzione» (Atti 4:13), mi viene da concludere che quando
Dio vuole cominciare qualcosa di innovativo parte dal basso, perché sono proprio le esigenze del “popolo”
quelle alle quali vuole andare incontro. I “capi” sono in genere restii ad ogni cambiamento e anche quando si
convincono che è necessario, spesso hanno bisogno di molto più tempo e travaglio per uscire dall’ambiguità,
come si può vedere in Nicodemo (Giov 3:1-2; 7:50; 19:39).
Riconosco di aver espresso le mie convinzioni in modo perentorio e comprendo come qualcuno ne possa
essere disturbato. All’inizio del secondo intervento ho dovuto chiedere scusa all’uditorio, perché in quello
precedente qualcuno era rimasto scandalizzato dal tono troppo alto e da qualche frase “sopra le righe”.
Grazie per non esserti fermato alla forma, ma in quel tono non c’è comunque niente di autoritario, perché su
quelle tesi ci ho dialogato prima e durante il Convegno, continuando a farlo come vedi anche ora.

MELE TONINO (MT) 1b. Come già ho detto precedentemente su questo social network apprezzo il
tuo tentativo di fare un passo indietro sul “tono troppo alto” e “qualche frase ‘sopra le righe’”. Preciso
solo che nella mia domanda non parlavo di “capi” ma di esperti della materia oggetto delle tue tesi,
esperti non “di parte” come potrebbero essere visti i “componenti del tuo staff”, ma relatori che
avrebbero avuto il compito di sostenere la lettura della Bibbia verso cui tu ti poni come alternativa,
dando agli uditori di tirare le loro conclusioni e fare la loro sintesi.

MT 2a. Con la premessa di tipo ermeneutico alle tue tesi ritieni più legittimo partire dall’Antico
Testamento per leggere il Nuovo Testamento e non viceversa: è l’Antico Testamento che getta luce sul
Nuovo Testamento! Ora, riconoscendo che questo in parte è vero, essendo l’Antico e il Nuovo
Testamento le due parti di una stessa storia, con antefatti e fatti, promesse e adempimenti, inizio e
fine, non pensi che sia stato dato agli apostoli il compito di sistemare la dottrina cristiana, dare la
giusta collocazione alla legge e il vangelo (cfr. Galati, Romani), l’Antico e il Nuovo Patto (cfr. 2Corinzi 3-
4), Mosè e Cristo (cfr. Ebrei), Israele e la Chiesa (cfr. Romani 9-11 e Efesini 2-3)? Non pensi che sia
l’insegnamento di Cristo (la parola Gv.1:17) e degli apostoli (il fondamento Ef.2:10) il criterio per dare la
giusta collocazione ad ogni elemento della rivelazione biblica, la luce che illumina il tutto? Inoltre, pur
riconoscendo che esiste un orizzonte immediato di ogni parola biblica, che non va snaturato mischiando
Antico e Nuovo Testamento, non pensi che esiste un orizzonte più ampio che ci è dato conoscere grazie
al progresso della rivelazione e che fa parte di quei “futuri beni” di cui l’Antico Testamento era solo
“ombra” (Eb.10:1)? Non pensi che “la luce” è venuta con Cristo e quindi col Nuovo Testamento?

DAF 2. Dopo l’irruzione di Costantino e Agostino (IV secolo) ritengo che si sia sviluppata una “strategia
dello stravolgimento” che si è approfondita e ci permea da quasi due millenni. Certe cose sembrano perciò
evidenti, ma a me ora sembrano assurde. Come quando chiedi: «Non pensi che “la luce” è venuta con Cristo
e quindi col Nuovo Testamento?». Da Adamo a Cristo intercorrono circa 4.000 anni: Dio ha forse lasciato al
buio l’umanità per tutto quel tempo? Enoc, Noè, Abramo e Davide hanno forse vissuto una “fede senza
luce”? È l’inizio del Vangelo di Giovanni che indica in Gesù “la luce”, ma dopo aver detto che «ogni cosa è
stata fatta per mezzo di lei» (Giov 1:1-3) e ciò implica che è con Genesi 1 che Gesù comincia a rivelarsi.
Sembra allora evidente che Giovanni usi un linguaggio iperbolico e voglia dire che Gesù è una luce molto
più splendente di quelle precedenti, non che tutto comincia con la sua incarnazione, dato che la sua esistenza
precede quella di Abramo (Giov 8:58).
Gesù si è mantenuto in un contesto ebraico e la sua rivelazione è rivolta a chi conosceva l’Antico
Testamento: dobbiamo perciò acquisire quello sfondo se vogliamo comprendere bene il Vangelo. Anche se,
dopo aver compreso l’Antico Testamento alla luce dell’Antico, è opportuno rileggere l’Antico alla luce di un
Nuovo Testamento precedentemente acquisito in modo corretto. I bereani (Atti 17:11) godono di un generale
apprezzamento ed essi valutarono il messaggio di Paolo alla luce dell’Antico Testamento!
Il “progresso della rivelazione” non può significare che il nuovo è in contrasto col precedente, ma che il
nuovo è lo sviluppo di ciò che già c’era. L’albero non contraddice la sua ombra, perché la visione diretta fa
comprendere meglio, non diversamente.

MT 2b. Indubbiamente bisogna prendere le distanze da ogni ideologia che incide negativamente sul
nostro modo di leggere la Bibbia, tuttavia non ho affermato che “da Adamo a Cristo Dio abbia lasciato
al buio l’umanità” (cfr. Sal.119:105), ma che rispetto al passato, Cristo ha rappresentato una radicale
novità, appunto “LA Parola” (Gv.1:17), “LA Luce” (Gv.1:8-9). Condivido il principio ermeneutico che per
capire il NT si deve tener conto del suo sfondo giudaico e veterotestamentario, posso anche ammettere
come fasi dell’esegesi una lettura dell’AT alla luce dell’AT, del NT alla luce dell’AT, dell’AT alla luce di
un “NT corretto” (come lo definisci), tuttavia, il fondamento normativo per applicare oggi l’AT e il NT
ce lo danno Gesù e gli apostoli (Ef.2:10) e quando ad Efeso vi erano “alcuni” che “vogliono essere dottori
della legge”, Paolo precisa che “la legge è buona, se uno ne fa un uso legittimo…SECONDO il vangelo
della gloria del beato Dio, che egli mi ha affidato” (1Tm.1:6,7,11).

MT 3a. La tua tesi di fondo, più volte ribadita nella stessa conferenza è la radicale continuità tra
Antico e Nuovo Testamento, da cui nascono alcune delle tue affermazioni più radicali e originali, alcune
delle quali elencherò nel prossimo punto. Ora, riconoscendo che esistono tra Antico e Nuovo
Testamento elementi di continuità, in particolare tra il patto Abramitico ed il Nuovo Patto, non pensi
che il Nuovo Testamento marchi invece la grande novità della venuta di Cristo e la discontinuità,
soprattutto tra patto Sinaitico e Nuovo Patto (Eb 9:15; cfr. 1 Co 11:23-26; 2Co 3:4-14; Gal.3:21-29)?
Non pensi che il fratello Rinaldo Diprose, pur consulente teologico di EDIPI di cui fai parte, avesse
ragione quando scriveva: “È necessario riconoscere la discontinuità fra il patto della legge e quello
basato sull’opera compiuta da Gesù il Messia…se il nuovo patto inaugurato da Cristo venisse considerato
la semplice continuazione di quello che Dio strinse con Israele sul monte Sinai, su quale base
potrebbero i pagani essere esonerati dai 613 obblighi incombenti su chi prende parte al patto sinaitico”
(Israele e la chiesa, pg. 215-218)?

DAF 3. Qui si evidenzia come sia necessario discutere su Abramo e su Mosè, prima di parlare di Cristo;
se poi si definisce Gesù come “il Messia” allora prima bisognerebbe chiarire il significato che quella parola
aveva per un ebreo come l’apostolo Andrea (Giov 1:41), che certamente la collegava all’atteso “Figlio di
Davide” descritto dai diversi Salmi “messianici” e da numerosi passi profetici. Non potendo essere
esauriente, mi concentro su un solo aspetto.
I più fanno una stretta associazione fra Mosè e l’Antico Testamento, ma Paolo contesta questa
impostazione, affermando che il fondamento dell’Antico Testamento è Abramo, con Mosè che va visto alla
sua luce (Gal 3:15-18). La Bibbia è una “storia genealogica” che va da Abramo a Giacobbe, poi si
interrompe e viene ripresa con Rut, bisnonna di Davide, arrivando infine a Gesù, Figlio di Davide. Anche
secondo l’inizio del Vangelo di Matteo, Gesù prosegue la storia di Abramo e di Davide, dove Mosè brilla per
la sua assenza dall’asse centrale. Cogliere una discontinuità fra Mosè e Gesù, evidenziando un collegamento
diretto fra Abramo e Gesù, significa che il Nuovo Patto… ha un fondamento più antico del patto sul Sinai.
Appare cioè come un recupero delle origini, che terminerà con quella restaurazione dell’Eden che troviamo
alla fine dell’Apocalisse (21:1-4; 22:1-5).

MT 3b. Debbo riconoscere che qui ho fatto fatica a seguire tutto il tuo ragionamento, comunque
trovo interessante quando dici: “I più fanno una stretta associazione fra Mosè e l’Antico Testamento, ma Paolo
contesta questa impostazione …”. Penso che sia giusto non confondere l’AT come libro o tempo “da Adamo a
Cristo”, con l’AT in quanto patto, perché son due cose distinte e laddove noi pensiamo di vedere la
discontinuità, in realtà c’è continuità (cioè tra il patto abramitico e il nuovo patto), ma, d’altro canto,
dove noi pensiamo di vedere la continuità, in realtà c’è discontinuità (cioè tra il patto mosaico e il Nuovo
Patto). Per cui sarebbe buono usare una corretta terminologia, chiamando “Antico Testamento” i libri
da Genesi a Malachia, “Antico Patto” il patto mosaico, “Nuovo Testamento” i libri da Matteo a
Apocalisse e “Nuovo Patto”, il patto inaugurato sulla croce (vedi tuttavia 2Cor.3:14).

MT 4. Cerchi di accreditare la tua tesi di fondo con affermazioni tipo:

MT 4.1a. Israele non ha rigettato il Messia;

DAF 4.1. Già nel Convegno ho precisato che con questa frase, chiaramente polemica, intendevo
contrastare un collegamento più o meno sottinteso che in essa spesso si coglie. Il sottinteso è che Israele non
sarebbe più il popolo di Dio, sostituito da noi Gentili che invece Gesù lo avremmo accolto. La realtà è che
“la maggioranza” degli Ebrei ha rifiutato il Messia, ma fino ad Atti 9 i primi numerosissimi seguaci di Gesù
erano “tutti Ebrei” e “solo Ebrei”. Il fatto che solo “un residuo” abbia accettato il Messia non è niente di
nuovo: solo un residuo rimase fedele dopo la distruzione di Gerusalemme e solo un “residuo del residuo”
tornò dall’esilio, ma ciò non significò assolutamente che fossero annullate le promesse “nazionali” fatte da
Dio ad Abramo e a Davide, definite “per sempre” e “eterne” (Gen 17:8; 2Sam 23:5).

MT 4.1b. Condivido pienamente il fatto che questo tipo di “collegamento più o meno sottinteso” è
perlomeno inopportuno, anche se ciò non toglie che “Israele ha rifiutato il Messia”, seppur Dio non ha
“sostituito Israele” e non ha “annullate le promesse” a loro fatte in precedenza.

MT 4.2a. L’ evangelizzazione mondiale c’è stata prima di Paolo a cura della sinagoga;

DAF 4:2. In Isaia è scritto: «Consolate, consolate il mio popolo […] proclamatele che il tempo della sua
schiavitù è finito […] Tu che porti IL VANGELO a Sion sali sopra un alto monte […] Come un pastore, egli
pascerà il suo gregge» (Is.40:9). Certo, ciò è vero anche riguardo a Gesù, ma Isaia si riferisce in prima
battuta a quando finirà la schiavitù di Babilonia. È qui che nella Bibbia viene introdotta la parola
“Vangelo/Buona notizia” e perciò è questo il significato che poi avrà… se i traduttori non usassero il trucco
di rendere diversamente la stessa parola, in modo da avvalorare i loro presupposti!
Davide scrisse: «Il Signore è il mio pastore, nulla mi manca» (Sal 23:1). Insegnò a cantarlo non solo nel
Tempio, perché Dio voleva essere il pastore di ciascuno. Questo lo sappiamo bene, ma non teniamo ben
conto che già Davide e Salomone rivolsero questo messaggio anche ai non Ebrei (1Cro 16:8; 1Re 8:41-43),
per poi essere portato fra le nazioni con la dispersione del popolo d’Israele e la fondazione delle sinagoghe.
Paolo scrive che Gesù «È stato predicato fra le nazioni, è stato creduto nel mondo» (1Tim 3:16). Se
riteniamo corretta questa espressione di Paolo, in quanto riferita al mondo a quel tempo conosciuto, allora è
corretto anche dire che già con le sinagoghe si era fatto un lavoro simile, perché Paolo non è andato al di là
dei territori raggiunti già dalle sinagoghe, dato che anche a Roma c’erano già diversi Ebrei (Atti 28:17).

MT 4.2b. Non è un caso che Isaia sia stato definito il 5° evangelista, per l’affinità del suo messaggio
col messaggio di Cristo, il che mostra che “il trucco” dei traduttori in fondo non è poi così riuscito!
Comunque l’ebreo Pietro chiarisce che “non per se stessi, ma per voi (i lettori della lettera – 64-67
d.C.), amministravano quelle cose che ORA vi sono state annunziate da coloro che vi hanno predicato il
vangelo, mediante lo Spirito Santo inviato dal cielo” ([Pentecoste] 1Pt.1:12). Ecco perché Marco,
discepolo di Pietro, quando scrive “L’INIZIO del Vangelo di Gesù Cristo”, pur citando Isaia, fa partire
questa “inizio” da Giovanni Battista” (Mc.1:1-4). Inoltre, se ho ben capito il ragionamento che fai su
1Tim.3:16, mi sembra debole, perché, qualsiasi valore si voglia dare alla parola “mondo”, Paolo non
attribuisce la predicazione del vangelo alle sinagoghe, e se ne facciamo una questione di “territori
raggiunti dalle sinagoghe” allora dobbiamo dare pari merito anche a quella formidabile rete di
collegamento che sono state le “strade romane” nel mondo antico.

MT 4.3a. La sinagoga e la chiesa sono la stessa cosa;

DAF 4.3. Gesù ha detto: «Edificherò la mia chiesa» (Mat 16:18) e per i più ciò rende evidente il distacco
di Gesù e dei suoi discepoli dall’ebraismo. In realtà è evidente che questo è un altro caso di manipolazione
delle parole, al fine di accreditare presupposti sbagliati.
“Chiesa” è un’altra parola non tradotta, perché ricalca il termine greco “ekklesia”. Basta consultare un
dizionario etimologico per rendersi conto che “sinagoga” e “chiesa” hanno grossomodo il significato di
“assemblea”. I maestri di ebraismo (rabbi), come lo erano Giovanni Battista e Gesù, riunivano intorno a sé
dei discepoli (cfr. Mat 9:14), perciò la “chiesa di Gesù” era l’assemblea ebraica dei discepoli di Gesù.
Dopo Cornelio e dopo Antiochia (Atti 10-11), a fianco delle “chiese/sinagoghe” dei discepoli Ebrei di
Gesù, si formarono delle “chiese/sinagoghe” dei discepoli non Ebrei di Gesù, ma il modello restò quello
della sinagoga: lettura comunitaria della Parola di Dio, preghiera, canto, esortazione, governo degli
“anziani”, autofinanziamento.

MT 4.3b. Condivido le similarità terminologiche, liturgiche, amministrative e di conduzione tra la
sinagoga e la chiesa, tuttavia non credo che ci sia manipolazione se si crede che, secondo il progetto di
Gesù, la chiesa di Gesù Cristo è qualcosa di radicalmente nuovo, fondata su basi completamente nuove.
Essa è nata a Pentecoste, quando “noi tutti siamo stati battezzati in un unico Spirito per formare un
unico corpo, Giudei e Greci, schiavi e liberi” (1Cor.12:13). E riferendosi a quell’evento, l’ebreo Pietro lo
definisce un “principio” (At.11:15).

MT 4.4a. Il Nuovo Patto non è così nuovo come si pensa, ma c’era già un “nuovo patto dell’AT”
stipulato con i reduci da Babilonia;

DAF 4.4. Purtroppo in genere non si tiene conto che il Nuovo Testamento, più che “citare” l’Antico, lo
“evoca”; cioè richiama alla memoria dell’uditorio l’intero contesto. Il versetto dell’Antico Testamento citato
nel Nuovo, perciò, bisognerebbe considerarlo nel suo contesto originario. In Ebrei 8:8 è scritto: «Ecco i
giorni vengono, dice il Signore, che io concluderò con la casa d’Israele e con la casa di Giuda un nuovo
patto»; essendo una citazione di Geremia, si ritiene evidente che si tratti di una profezia riguardante Cristo.
Quel passo in Geremia 31, però, fa parte di una sezione comprendente i capp. 30-33, che è collegata
strettamente al cap. 29, nel quale Geremia rassicura gli esuli a Babilonia che dopo settant’anni Dio li farà
tornare. I capitoli 30-33, perciò, sono rivolti a quegli stessi esuli, con i quali nel futuro Dio non vuole
soltanto ripristinare i vecchi rapporti risultati inefficaci, ma intende stabilire un rapporto più profondo. Tutto
ciò è ben chiaro all’inizio della sezione: «Ecco, i giorni vengono in cui io riporterò dall’esilio il mio popolo»
(Ger 30:3); è evidente che in tutta la sezione i giorni futuri ai quali ci si riferisce non sono quelli dell’avvento
del Messia, ma del ritorno da Babilonia (31:27,31,38; 33:14; cfr. anche 30:7-8; 31:1,6,29).
Per farla breve, Ezechiele riprenderà poi lo stesso tema in modo più sintetico e perciò di più immediata
percezione; dato che Ezechiele rivolge la sua parola agli esuli in Babilonia, dove lui stesso si trovava,
l’applicazione a quell’uditorio delle sue parole è inevitabile. Ezechiele trasmette, da parte di Dio, il seguente
messaggio: «Vi farò uscire dalle nazioni, vi radunerò da tutti i paesi, e vi ricondurrò nel vostro paese; vi
aspergerò d’acqua pura e sarete puri […] vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo
[…] sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio» (Eze 36:24-28).

MT 4.4b. Nella citazione di Ger.30:3 ti sei fermato troppo presto. Presa per intero dice: «Ecco, i
giorni vengono in cui io riporterò dall’esilio il mio popolo D’ISRAELE E DI GIUDA» (Ger 30:3). Questo è
importante per capire i tempi di questo Nuovo Patto, come vedremo più avanti.

MT 4.5a. Con Gesù comincia “un nuovo ciclo, un altro nuovo patto”;

DAF 4.5. Quando Gesù avvisò che il Tempio e Gerusalemme sarebbero stati distrutti è come se si fosse
“vestito da Geremia”. Nell’annunciare la distruzione del primo Tempio e la dispersione del popolo, Geremia
rassicurò che ciò non avrebbe comportato la fine delle promesse di Dio ad Abramo, a Davide e al suo popolo.
La storia del popolo liberato dalla schiavitù d’Egitto, insomma, non sarebbe finita con la schiavitù di
Babilonia, perché Dio avrebbe operato una nuova liberazione (Ger 16:14-15; cfr. Isa 43:14-18).
Per il Nuovo Testamento il rapporto di Dio con Israele non finisce alla croce (Rom 9-11) e Gesù ha
lasciato al suo popolo due “finché” (Mat 23:39; Luca 21:24), con i quali annuncia che ci sarà un rilancio del
suo rapporto con Israele.
Il “nuovo patto” annunciato da Geremia agli esuli in Babilonia e che poi in qualche modo si realizzò, era
per gli apostoli una garanzia che Dio avrebbe fatto un “nuovo patto” anche con i nuovi esuli che ci sarebbero
stati dopo la nuova distruzione di Gerusalemme, ma sarebbe stato un patto più efficace di quello annunciato
da Geremia, perché scritto col sangue di Gesù (Luca 22:20).

MT 4.5b. Condivido il fatto che “il rapporto di Dio con Israele non finisce alla croce”, ma non riconosco la
disgiunzione che fai tra nuovo patto per gli “esuli in Babilonia” e “nuovo patto con i nuovi esuli che ci sarebbero
stati dopo la distruzione di Gerusalemme”. Esiste un solo “nuovo patto” del quale Gesù è diventato
“mediatore” e questo in virtù del fatto che “la sua morte è avvenuta per redimere dalle trasgressioni
commesse sotto il primo patto” (Eb.9:15), dunque è “la sua morte” lo spartiacque tra antico o “primo
patto” e nuovo o “secondo patto”.

MT 4.6a. La teologia dei patti è una beffa;

DAF 4.6. Entrando nella questione che poni in questo punto, parto dalla costatazione che alcuni
espongono la “teologia dei patti” – cioè i vari patti di Dio che troviamo nella Bibbia – come se un nuovo
patto comporti l’annullamento del precedente. Dio, insomma, si prenderebbe la libertà di non rispettare i
patti stabiliti e perciò di beffare quelli con i quali li aveva fatti. Risulterebbe così meno affidabile degli
antichi Romani, per i quali “pacta servanda sunt”, cioè i patti vanno rispettati ed un “nuovo patto” non può
perciò alterare il precedente. Questo è anche il ragionamento di uno che era cittadino romano “di nascita”,
cioè di Paolo (Atti 22:25-28), che lo ha esposto in un passo già ricordato (Gal 3:15-17).

MT 4.6b. Condivido la tua preoccupazione verso una lettura troppo rigida dei patti, quasi come dei
compartimenti stagni, senza sovrapposizioni, ampliamenti ed altri elementi di continuità, soprattutto
tra patto abramitico e Nuovo Patto. La fede è un elemento di continuità tra i vari patti (Rm.4; Eb.11).
D’altro canto è pur vero che sia nell’AT che nel NT, si considera il Nuovo Patto una sostanziale novità,
che sta in una radicale discontinuità rispetto all’Antico Patto: “farò un nuovo patto con la casa
d’Israele e con la casa di Giuda; NON COME IL PATTO CHE FECI CON I LORO PADRI il giorno che li
presi per mano per condurli fuori dal paese d’Egitto” (Ger.31:31-32); “Egli ci ha anche resi idonei a
essere ministri di un nuovo patto, NON DI LETTERA, ma di Spirito” (2Cor.3:6 cfr. v.7-11); “se quel
primo patto fosse stato senza difetto, non vi sarebbe stato bisogno di SOSTITUIRLO CON UN
SECONDO” (Ebr.8:7 cfr. v.13; 9:15-17; 10:1,9).

MT 4.7a. L’epistola ai Romani non è una novità;

DAF 4.7. La Lettera è rivolta non ai Romani in senso stretto, ma ai credenti “che stavano” a Roma (1:7)
ed è scritta non in latino, ma in greco. Se poi consideriamo che suppone un uditorio che ha conoscenza della
legge di Mosè (7:1), allora diventa chiaro che anche la Lettera ai Romani è sostanzialmente rivolta a
quell’elemento ebraico che era ancora prevalente nelle chiese. Tutti i passaggi teologici di quella Lettera
sono supportati da citazioni dell’Antico Testamento e la giustamente famosa dottrina della “salvezza per
grazia, mediante la fede” che Paolo annuncia, è lì presentata (cap. 4) come da Dio già applicata ad Abramo
(prima della legge di Mosè) ed a Davide (dopo la legge di Mosè): niente di nuovo, dunque! Anche se quella
meravigliosa Lettera rende tutto più chiaro e più facile da apprendere.

MT 4.7b. Qui devo dire “buona la prima, ma non la seconda e la terza”. Giustamente osservi che Paolo
scrive ai credenti “che stavano” a Roma (1:7 cfr. v.15), ma questo può anche dipendere dal fatto che la
chiesa era distribuita fra varie “chiese in casa” (vedi Rm.16:3-5,10,11,13,15). Non credo comunque che la
lettera fosse rivolta “sostanzialmente all’elemento ebraico”, anzi, pur riconoscendo il carattere misto
della chiesa, credo in una prevalenza gentile (cfr. 1:5,13-15; 6:19; 10:1-2; 11:13,25,28,30-31; 15:15-16).
Inoltre non è vero che non c’è “niente di nuovo”: Paolo, pur riconoscendo la continuità col patto
abramitico (cap.4), afferma la radicale discontinuità tra la giustizia della legge e la giustizia in Cristo,
quando dice: “la legge dà soltanto la conoscenza del peccato. ORA però, INDIPENDENTEMENTE
DALLA LEGGE, è stata manifestata la giustizia di Dio, della quale danno testimonianza la legge e i
profeti, vale a dire la giustizia di Dio MEDIANTE LA FEDE IN GESÙ CRISTO” (3:20-22). Questa è una
giustizia di Dio del “tempo presente” (v.26), laddove in passato c’era solo “tolleranza” e “pazienza”
(v.25-25).

MT 4.8a. Non c’è grande novità tra il ruolo dello Spirito Santo nell’AT e nel NT;

DAF 4.8. “Spirito Santo” letteralmente significa “soffio che appartiene a Dio”. I testi originali della
Bibbia sono di solito scritti in lettere maiuscole, così sono i traduttori a decidere se mettere “Spirito” o
“spirito”. In certi casi la decisione è problematica, ma in altri il traduttore è chiaramente influenzato da quei
presupposti che vuole giustificare. Mi pare che nelle traduzioni più recenti si accetti di mettere più facilmente
“Spirito” anche nell’Antico Testamento, ma alcuni lo ritengono pressoché proibito. Per obiettività, allora,
riportiamo alcuni passi dell’Antico Testamento scrivendo la parola tutta in maiuscolo (SPIRITO).
«Dicevo: “Parleranno i giorni, il gran numero degli anni insegnerà la saggezza”. Ma quel che rende
intelligente l’uomo è lo SPIRITO, è il soffio dell’Onnipotente» (Giobbe 32:7-8).
Il Signore disse a Mosè: «Radunami settanta fra gli anziani d’Israele […] prenderò lo SPIRITO che è su
te e lo metterò su di loro, perché portino con te il carico del popolo […] appena lo SPIRITO fu posato su di
loro, profetizzarono» (Num 11:16-25).
«Da quel giorno lo SPIRITO del Signore investì Davide» (1Sam 16:13). «Lo SPIRITO del Signore
investì in mezzo all’assemblea Iaaziel» (2Cro 20:14). «Lo SPIRITO del Signore t’investirà, e tu profetizzerai
con loro e sarai cambiato in un altro uomo» (1Sam 10:6).
Nel Nuovo Testamento non viene spiegato che cos’è lo SPIRITO, perché è dato come già conosciuto e
perché produce gli stessi effetti che nell’Antico. Viene solo chiarito che lo SPIRITO: a) come profetizzato,
“investirà” non solo alcuni ma tutti (Gioele 2:28-32; Atti 2:17-18); b) dimorerà nel credente per sempre,
come spesso succedeva nell’Antico Testamento; c) è una persona divina (ed è questa la novità più
importante, che però credo possa essere vista come sviluppo) (Giov 14:15-17; Atti 5:3).

MT 4.8b. Condivido la difficoltà che talvolta s’incontra nella Bibbia nel poter definire se si parla
dello spirito con la “s” minuscola o la “S” maiuscola. In virtù di ciò accolgo con beneficio d’inventario la
tua proposta su Giobbe 32:7-8, tuttavia, per “gli effetti” di cui parli preferisco attenermi all’inventario
già fatto da Gesù e dagli apostoli in merito al ruolo radicalmente nuovo che lo Spirito assume nel Nuovo
Patto, chiamato altresì “il nuovo regime dello Spirito” contrapposto a “quello vecchio della lettera”
(Rm.7:6 cfr. 2Cor.3:6), dove sì lo Spirito era presente in modo parziale e discontinuo, in concomitanza
col Tempio, laddove ora siamo noi “il tempio dello Spirito Santo” (1Cor.6:19). Si potrebbe dire che
nell’AT si poteva essere “aspersi” di Spirito Santo, ma nel Nuovo Patto si è “battezzati in Spirito”
(At.1:5), cioè immersi!

MT 4.9a. L’Israele etnico è un errore;

DAF 4.9. L’idea che nell’Antico Testamento per Israele si intenda solo un gruppo legato da vincoli di
sangue è falsa. Solo i depositari della promessa ad Abramo dovevano essere geneticamente legati a lui (Gen
15:4), ma la comunità di fede era senza confini. Perché insieme ad Abramo furono circoncisi anche i suoi
schiavi (Gen 17:9-13), perché chiunque poteva decidere di farsi circoncidere e divenire membro a pieno
titolo del popolo di Israele (Eso 12:48), perché anche il non circonciso poteva offrire i sacrifici nel Tempio e
con le stesse regole dei circoncisi (Num 15:14-16), perché Dio ascoltava anche le preghiere dei non
circoncisi (1Re 8:41-43). Ma i “nuovisti”, per giustificare un Nuovo Testamento pieno di nuove aperture,
sono costretti a nascondere quelle che nell’Antico già c’erano. Caleb, rappresentante della tribù di Giuda, è
un esempio molto significativo: a lui fu assegnata la porzione della Terra Promessa dove c’è la tomba di
Abramo, della quale fu perciò il custode; Caleb era però di etnia kenizea, cioè Gentile! (Num 13:6; 14:24;
32:12 in cfr. a Gen 15:19; Giosuè 14:6-14)

Vedi seconda parte del Dialogo con T. Mele