Alessia Lanini

DA ADAMO AGLI APOSTOLI

Una panoramica di tutta la Bibbia basata sul testo in sé

Volume (da definire)

 

Scuola elementare di cristianesimo

Dialoghi sulla prima lettera di Paolo ai Corinzi, condotti da Fernando De Angelis

 

BOZZA 1 DEL DIALOGO 13: 1CORINZI 6:1-11

 

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1.Introduzione

2.I santi giudicheranno il mondo e regneranno sulla terra (6:1-3)

3.La cattiva testimonianza delle liti fra credenti (6:4-6)

4.Accettare torti e danni? (6:7-8)

5.La santificazione come antidoto per l’illusione (6:9-11)

 

Dialogo 13

1CORINZI 6:1-11

 

1.INTRODUZIONE

Nel capitolo 5 Paolo mette in luce un peccato dei Corinzi e poi ne trae le conclusioni generali. Il capitolo 6 riprende il ciclo precedente, mettendo in primo piano un altro peccato e poi traendone delle conclusioni generali simili. Prima di affrontare i versetti iniziali del capitolo, vogliamo evidenziare un atteggiamento della cristianità, che proveremo ad esprimere con una storiella. Una coppia senza figli lasciò in eredità un patrimonio e venne interpellato l’unico nipote. Dopo aver esaminato il patrimonio, il nipote disse: «Prendo tutte le attività e tutti i crediti, ma i debiti no»›. Il giudice avrà forse acconsentito a dargli ciò che voleva, cioè tutto il positivo e niente del negativo? È certo che, per prendere un’eredità, bisogna accettare tutto, debiti compresi.

Spesso la cristianità è come quel nipote, pretende tutte le promesse e le benedizioni fatte da Dio a Israele, ma lasciando tutti i difetti a loro. Alcuni così sintetizzano: «Israele non è più il popolo di Dio e ora lo siamo noi Gentili. Le benedizioni di Israele sono passate alla chiesa». Così, quando ne vediamo gli aspetti negativi, siamo pronti a puntare il dito contro Israele e non ci sentiamo più eredi.

Questo atteggiamento riguarda anche la chiesa di Corinto. Dei loro comportamenti scorretti alcuni dicono: «Si sa che a Corinto erano disordinati, ma noi non siamo così. Noi siamo eredi di quelli che erano “d’un sol cuore e di un’anima sola”» (Atti 2:46). Insomma, anche come eredi della chiesa degli apostoli diventiamo selettivi, facendo i furbi. Ma chi vuole ingannare Dio è furbo o s’illude? Paolo in 6:9 avverte: «Non v’illudete», perché per noi è facile caderci.

 

2. I SANTI GIUDICHERANNO IL MONDO E REGNERANNO SULLA TERRA (6:1-3)

«Quando qualcuno di voi ha una lite con un altro, ha il coraggio di chiamarlo in giudizio davanti agli ingiusti anziché davanti ai santi? Non sapete che i santi giudicheranno il mondo? Se dunque il mondo è giudicato da voi, siete voi indegni di giudicare delle cose minime? Non sapete che giudicheremo gli angeli? Quanto più possiamo giudicare le cose di questa vita!» (6:1-3).

Purtroppo anche oggi alcuni non trovano un contrasto fra il ritenersi “buoni cristiani” e il denunciare un fratello per piccole questioni. Non vogliamo soffermarci su questo aspetto, ma sul fatto che Paolo non dice che i santi finiscono beati in cielo, ma chiede: «Non sapete che i santi giudicheranno il mondo?». Accogliere l’una o l’altra prospettiva cambia anche il nostro approccio alla realtà, perché per giudicare il mondo bisogna essere persone d’esperienza, che conoscono le situazioni, cioè fare un allenamento del tutto diverso rispetto a quello che sarebbe necessario per starsene inoperosi in cielo. In quest’ultimo caso, infatti, dovremmo prepararci a lasciare la concretezza per diventare simili ad angeli che canteranno eternamente.

Molti cercano il modo di depotenziare queste parole di Paolo, ma il concetto si ritrova anche in Matteo 19:28, dove Gesù dice agli apostoli: «Io vi dico in verità che nella nuova creazione, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, anche voi, che mi avete seguito, sarete seduti su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele». Mentre nella parabola delle mine leggiamo: «Quando egli fu tornato, dopo aver ricevuto l’investitura del regno, fece venire quei servi ai quali aveva consegnato il denaro, per sapere quanto ognuno avesse guadagnato mettendolo a frutto. Si presentò il primo e disse: “Signore, la tua mina ne ha fruttate altre dieci”. Il re gli disse: “Va bene, servo buono; poiché sei stato fedele nelle minime cose, abbi potere su dieci città”. Poi venne il secondo, dicendo: “La tua mina, Signore, ha fruttato cinque mine”. Egli disse anche a questo: “E tu sii a capo di cinque città”» (Luca 19:15-19). È chiaro che il re che torna dopo essere andato a ricevere l’investitura del regno è Gesù, mentre quelli chiamati a trafficare sono coloro che ne attendono il ritorno. E dove dobbiamo trafficare? Evidentemente in questo mondo! Quindi, Gesù non torna per prenderci e portarci via, ma per regnare e affidarci responsabilità. Nel regno di Dio è come nelle aziende sane, dove si danno gli incarichi in base alle capacità dimostrate.

Gesù ci chiama alla concretezza, non a camminare su questa terra avendo la testa altrove, non a vedere questo tempo come un “inutile periodo”, riconoscendolo invece come una preparazione per il regno di Dio. In Matteo 5:5 Gesù dice: «Beati i mansueti, perché erediteranno la terra». Queste sono parole chiare, ma capita di sentire dei fratelli predicare più o meno così: «Qui è detto che i credenti erediteranno la terra, ma si sa che invece i credenti erediteranno il cielo. Gesù dice che “erediteranno la terra” per adeguarsi alla mentalità ebraica, che è una mentalità terrestre, mentre noi siamo spirituali e celesti». In sostanza, anche Gesù aveva un po’ di questa tara ebraica oppure si adeguava ai tarati!

Apocalisse 2:26-27 ci fa vedere come va a finire: «A chi vince e persevera nelle mie opere sino alla fine, darò potere sulle nazioni, ed egli le reggerà con una verga di ferro e le frantumerà come vasi d’argilla». Anche se sono usate parole chiare, i credenti “spirituali” diranno: «Io con una verga di ferro? Mai! Io sono per la pace, la bontà e il perdono». In altre parole: «Io sono più bravo e più buono di Gesù». Sulla stessa linea è anche Apocalisse 19:13-15: «Era vestito di una veste tinta di sangue e il suo nome è la Parola di Dio. Gli eserciti che sono nel cielo lo seguivano sopra cavalli bianchi, ed erano vestiti di lino fino bianco e puro. Dalla bocca gli usciva una spada affilata per colpire le nazioni; ed egli le governerà con una verga di ferro, e pigerà il tino del vino dell’ira ardente del Dio onnipotente». Gesù torna per regnare con una verga di ferro e ci invita a collaborare con lui. Che succederà ai credenti “spirituali” che ne rimangono scandalizzati?

In Apocalisse 5:9-10 leggiamo: «Essi cantavano un cantico nuovo, dicendo: “Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai acquistato a Dio, con il tuo sangue, gente di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, e ne hai fatto per il nostro Dio un regno e dei sacerdoti; e regneranno sulla terra”». Regneranno non in cielo, ma «sulla terra»!  “Regnare”, da un punto di vista biblico, è sinonimo di “giudicare”, “essere arbitri”, “governare”. La prospettiva espressa da Paolo che «i santi giudicheranno gli angeli», perciò, trova ampie analogie altrove.

Paolo scrive: «Non sapete?», evidentemente i Corinzi se n’erano dimenticati, ma noi dovremmo saperlo, perché quelle istruzioni di Paolo sono presenti in tutte le Bibbie, che vengono lette, ma spesso ricordiamo sulla base di ciò che ci piace o meno.

 

3. LA CATTIVA TESTIMONIANZA DELLE LITI FRA CREDENTI (6:4-6)

«Quando dunque avete da giudicare su cose di questa vita, costituite come giudici persone che nella chiesa non sono tenute in alcuna considerazione. Dico questo per farvi vergogna. È possibile che non vi sia tra di voi neppure una persona saggia, capace di pronunciare un giudizio tra un fratello e l’altro?» (6:4-5).

Riportiamo una testimonianza di Fernando De Angelis. Qualche anno fa era in lite con un credente, prese proprio i versetti che stiamo considerando e invitò uno stimato fratello per fare da arbitro. Quest’ultimo diede torto a Fernando, che però riteneva di avere ragione. Aveva davvero ragione? Non si sa, ma è possibile che ce l’avesse. Infatti, guardando alla vicenda biblica fra Saul e Davide, c’è da considerare che Saul e i suoi soldati appartenevano al popolo di Dio e Saul era stato designato re da Dio. Davide nei suoi confronti aveva ragione, eppure era perseguitato da Saul. A Saul non faceva bene perseguitare Davide, ma paradossalmente a Davide gli faceva del bene. Infatti, quel periodo è stato per Davide come una scuola per poi diventare re ed è stato utile anche a noi, perché ci sono tanti bei Salmi che Davide ha scritto durante la persecuzione.

Parallelamente, a Giuseppe non fece forse del bene il maltrattamento dei suoi fratelli? Fu proprio quel loro volerlo uccidere che, alla fine, fece arrivare Giuseppe ad essere viceré d’Egitto. Anche Fernando ha poi riconosciuto che chi gli ha dato torto gli ha fatto del bene. Lui pensava che il fratello chiamato avrebbe espresso un giudizio giusto, poi si è accorto che era comunque un giudizio voluto da Dio. Per non dilungarci, vediamo il caso descritto in Giovanni 11:47-52: «I capi dei sacerdoti e i farisei, quindi, riunirono il sinedrio e dicevano: “Che facciamo? Perché quest’uomo fa molti segni miracolosi. Se lo lasciamo fare, tutti crederanno in lui; e i Romani verranno e ci distruggeranno come città e come nazione”. Uno di loro, Caiafa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: “Voi non capite nulla, e non riflettete come torni a vostro vantaggio che un uomo solo muoia per il popolo e non perisca tutta la nazione”. Or egli non disse questo di suo; ma, siccome era sommo sacerdote in quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire in uno i figli di Dio dispersi». Vediamo quindi che le parole di Caiafa, per quanto giuridicamente ingiuste, furono ispirate da Dio. Infatti, se ci mettiamo nelle mani di Dio, quello che ci succede è perché Dio lo vuole e dobbiamo perciò accettare anche le ingiustizie, perché sono una scuola di Dio per noi, un allenamento che ci porterà del bene.

 

«Ma il fratello processa il fratello, e lo fa dinanzi agl’infedeli» (6:6).

I primi due comandamenti sono di amare Dio e di amare il prossimo: che testimonianza è quella di una chiesa dove invece si litiga e, addirittura, si denuncia?

Uno dei rimproveri che Dio fa ad Israele è che «per causa vostra il mio nome è bestemmiato fra i Gentili» (Rom 2:24, che cita Eze 36:20). Il fatto che il suo popolo gli facesse una cattiva pubblicità non riguarda solo Israele, ma anche la chiesa di Corinto, sia con le sue liti e sia con una condotta morale che Paolo definisce peggiore di quella dei pagani (1Cor 5:1).

 

4. ACCETTARE TORTI E DANNI? (6:7-8)

«Certo è già in ogni modo un vostro difetto che abbiate fra voi dei processi. Perché non patite piuttosto qualche torto? Perché non patite piuttosto qualche danno?» (6:7).

Paolo pone due domande simili, ma nei torti ci possono essere coinvolte questioni di giustizia e di offese personali, mentre i danni rimandano più alla sfera economica. Paolo invita a non reagire a torti e danni per non dare una cattiva testimonianza ed è senz’altro positivo sopportare per amore di Gesù. Siamo però convinti che Paolo tenga conto di un vasto insegnamento dell’Antico Testamento, chiaramente presente anche in alcune parole di Gesù. Per esempio, in Luca 6:38 leggiamo: «Date, e vi sarà dato; vi sarà versata in seno buona misura, pigiata, scossa, traboccante; perché con la misura con cui misurate, sarà rimisurato a voi». In queste parole di Gesù viene data una motivazione in più, perché viene promesso che chi dona verrà ricompensato e perciò ci guadagnerà. Un nostro comportamento adeguato è perciò facilitato dalla fede nelle promesse di Dio, più che dallo sforzo di voler essere buoni. Il ragionamento è questo: «Il fratello mi ha fatto un torto rubandomi 100 euro e io glieli regalo, avendo fede che Dio me li restituirà con gli interessi». Più che fare “il buono”, ho fede che Dio non rimarrà in debito. Chi non ha fede pensa che la persona generosa sia poco scaltra, ma donare perché si ha fiducia in Dio è il contrario.

In Matteo 6:31-33 Gesù promette: «Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più». Non dice «e per il resto pazienza», ma che il mangiare, il bere e il vestire, ci saranno sopraggiunte! Ci possiamo fidare delle parole di Gesù? Nessun credente avrebbe il coraggio di rispondere no, ma nel comportamento dimostriamo se ci fidiamo veramente. Qualcuno dice: «Ci ho provato, l’ho messo in pratica, ma poi non ho avuto risposta. Pazienza… Si vede che non era nella sua volontà». Qui c’è qualcosa che non funziona, perché se pensiamo che Dio non onori la sua parola non dobbiamo arrenderci. Giobbe ad un certo punto non ebbe più pazienza (cap. 3 e segg.) e mise ben in chiaro di fronte a Dio che non gli stava bene ciò che stava succedendo. Alla fine Dio ha elogiato le parole di Giobbe (42:7) ed è come se gli dicesse: «Bravo Giobbe, perché tu non hai smesso di avere fede in me».

Se vediamo che qualche promessa di Dio non si realizza, specie se è stata fatta a noi personalmente, non dobbiamo rassegnarci. Quando un figlio non ottiene ciò che il padre gli ha promesso, va a reclamare. A volte Dio aspetta proprio questo da noi, perché vuole che prendiamo sul serio la sua Parola, vuole essere sicuro che desideriamo quel dono, che lo apprezziamo e che ne avremo cura.

C’è però una distorsione abbastanza diffusa che ci impedisce di prendere sul serio molte promesse di Gesù ed è quella di spostare tutta la ricompensa di Dio a dopo la morte. Non è completamente sbagliato, ma Dio non agisce solo dopo la nostra morte. Nel corso dei secoli la cristianità si è esercitata a leggere i Salmi e i Proverbi in senso “spirituale” (cioè non concreto), mentre essi sono profondamente radicati e contestualizzati in questa vita, cosa che è ben ricavabile dai testi, se si ha l’onestà di non stravolgerli. Potremmo citare centinaia di versetti dai Salmi e dai Proverbi, ma ci limiteremo a riportarne quattro, aggiungendoci brevi commenti:

Salmo 6:10: «Tutti i miei nemici siano confusi e grandemente smarriti; voltino le spalle per la vergogna in un attimo». Quand’è che il salmista chiede che tutti i suoi nemici siano grandemente smarriti? Quando chiede di essere liberato dai suoi nemici? Dopo la sua morte?

Salmo 143:9-11: «Liberami dai miei nemici, Javè; io cerco rifugio in te. Insegnami a far la tua volontà, poiché tu sei il mio Dio, il tuo Spirito benevolo mi guidi in terra piana. Javè, fammi vivere per amor del tuo nome; nella tua giustizia libera l’anima mia dalla tribolazione!». Qui il salmista chiede a Dio di essere liberato dai suoi nemici e di farlo vivere. È chiaro che il suo orizzonte sia questa vita.

Proverbi 11:25: «Chi è benefico sarà nell’abbondanza, e chi annaffia sarà egli pure annaffiato». Quando Gesù dice «date e vi sarà dato», sta evidentemente citando i Proverbi.

Proverbi 19:17: «Chi ha pietà del povero presta a Javè, che gli contraccambierà l’opera buona». Cosa capiva un ebreo? Quand’è che Dio gli avrebbe contraccambiato l’opera buona?

I Proverbi affermano più volte che, se uno è generoso verso il fratello, suscita in Dio il desiderio di compensarlo in abbondanza. Se abbiamo fede nel Dio vivente e nella sua Parola, cercheremo perciò di essere generosi, ovviamente in modo sensato e non buttando i soldi. Insomma, se uno mi ruba qualcosa e io glielo regalo, non è che poi lui è un po’ più ricco e io un po’ più povero. Anzi, facendo così, lui si impoverisce e Dio mi benedirà. Un credente non deve essere generoso, ma vuole esserlo, poiché Dio è stato generoso con lui e questo lo sappiamo bene, ma dobbiamo anche considerare che Dio sarà ancor più generoso.

 

«Invece siete voi che fate torto e danno; e per giunta a dei fratelli» (6:8).

L’ultimo versetto è chiaro in sé, ma vogliamo fare una considerazione che aiuterà a capire meglio anche altri versetti.

Nelle Lettere ai Corinzi è come se Paolo dicesse sia «voi non mi volete» sia «voi mi volete», ma ci sembra chiaro che non possa essere riferito alle stesse persone. Nel soprastante versetto Paolo fa un uso del voi simile, perché non tutti quelli che erano a Corinto facevano torto e danno ai fratelli, ma ci dovevano per forze essere anche quelli che subivano i torti e i danni. Quindi voi ha il senso di “alcuni di voi”.

Questo ci aiuta a capire che a volte è sbagliato pensare che una certa parola di Paolo sia riferita a tutti, perché con una lettura più attenta è chiaro che è rivolta a coloro che corrispondono a determinate caratteristiche.

 

5. LA SANTIFICAZIONE COME ANTIDOTO PER L’ILLUSIONE (6:9-11)

«Non sapete che gl’ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non v’illudete; né fornicatori, né idolatri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriachi, né oltraggiatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Messia e mediante lo Spirito del nostro Dio» (6:9-11).

Torna qui il «non sapete?» di Paolo verso i Corinzi dei versetti 2 e 3, per ricordare loro che alcune categorie di persone non erediteranno il regno di Dio. Come troviamo pure in Apocalisse 22:13-16: «Beati quelli che lavano le loro vesti per aver diritto all’albero della vita e per entrare per le porte della città! Fuori i cani, gli stregoni, i fornicatori, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna. Io, Gesù, ho mandato il mio angelo per attestarvi queste cose in seno alle chiese». Gesù manderà fuori dal suo regno «chiunque ama e pratica la menzogna»: un’espressione che fa capire la differenza fra il peccare e l’essere peccatori impenitenti.

A molti viene da dire: «Gesù giudica, ma noi non possiamo giudicare», implicito: «Noi siamo più buoni di Gesù». Ci si definisce seguaci di Gesù, ma poi si evita di prendere atto della sua severità. Dio ci chiama a comportarci come lui si comporterà, perciò è evidentemente sbagliato quell’atteggiamento che applica in modo esagerato e fuori contesto il «non giudicare», dato da un’erronea comprensione di «non giudicate, affinché non siate giudicati» (Mat 7:1), il cui senso è quello di non condannare.

Paolo prosegue invitando a non illudersi, che implica un non illudete, cioè il non incoraggiare ad illudersi, predicando un Gesù tutto e solo dolcezza. Perché se sottolineiamo alcuni aspetti di Gesù negandone altri, quello che chiamiamo Gesù è in realtà una nostra invenzione, cioè un idolo che ci siamo fatti. Il vitello d’oro, d’altronde, venne identificato con Javè, per illudersi di continuare a relazionarsi con lo stesso Dio (Eso 32:3-6).

Nella parte finale del precedente ciclo, in 5:11, Paolo aveva riportato sei categorie di persone viziose: fornicatori, avari, idolatri, oltraggiatori, ubriaconi e ladri. Poi aveva concluso con «togliete il malvagio di mezzo a voi» (5:13).  In questa nuova lista (6:9-10) vengono di nuovo incluse tutte e sei le precedenti categorie, aggiungendocene altre e rendendo così chiara la ciclicità, anche perché è simile anche la conclusione: «Non erediteranno il regno di Dio». Siamo insomma invitati a fare ora ciò che Gesù farà poi con più severità di noi, in modo da prepararci e aiutare a prepararsi a quell’evento finale, senza illusioni.

Il linguaggio di Paolo è quello usuale dei pescatori della Galilea, per i quali c’erano dei criteri osservabili per decidere chi fosse ladro e chi adultero. Certo, agli occhi di Dio siamo tutti imperfetti, tutti fornicatori, tutti ladri, tutti omicidi, ma Paolo non sta descrivendo come siamo agli occhi di Dio, ma sta usando il comune linguaggio umano. Ed è secondo questo linguaggio che poi prosegue al versetto 11, dicendo che: «Tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Messia e mediante lo Spirito del nostro Dio». Per la gente, sul piano della concretezza, c’era una chiara differenza fra il comportamento di quelle persone prima e dopo aver creduto in Gesù, che non accetta di essere Salvatore di coloro che non lo desiderano anche come Signore della propria vita.

L’essere stati lavati e giustificati, cioè l’aver avuto tutti i peccati tolti con il perdono in Gesù e tutte le macchie lavate col suo sangue, è qualcosa su cui si insiste molto più rispetto all’essere stati santificati, ma non dovremmo insistere su tutti gli aspetti in ugual misura? Ecco che anche qui torna la nostra selettività, il nostro cercare di fare i furbi con Dio. Significativo è che siamo esortati ad essere irreprensibili, infatti si può esserlo, cioè si può non avere comportamenti scandalosi (cfr. Tim 3:1-7; Tito 1:5-9; 2:6-8). In conclusione, usare certi versetti per giustificare il nostro disordine e rimanere in esso, dicendo che «tanto siamo tutti peccatori, tanto Dio ci perdona», giustificando la nostra mancanza di santificazione, significa prendere alcuni versetti ignorandone altri, che è di fatto un modo per falsificare la Parola di Dio.