Roberto Mazzeschi fra Siena 2015 e Chianciano 2019

di Fernando De Angelis 

Nel dicembre 2015 si è svolto a Siena un Convegno sugli Atti degli apostoli. Al termine del mio primo intervento, Mazzeschi pose questioni di grande interesse, rilevanti anche perché è stato Presidente dell’Alleanza Evangelica Italiana per un decennio (2000-2011). Pur partendo da approcci diversi, il dialogo fu fraterno e già in quell’occasione emersero alcune convergenze. Chi l’ha ascoltato non si aspettava che dopo quattro anni ne facessimo un altro in piena collaborazione, come quello sul Vangelo di Matteo programmato nei giorni 1-3 novembre 2019 a Chianciano (Siena) (INSERIRE LINK del “Comunicato 2”), dove Mazzeschi fra l’altro farà da Moderatore ai miei dialoghi. Riporto sotto la trascrizione essenziale del dialogo di Siena, poi Mazzeschi chiarirà il senso della nostra collaborazione.          

 

1.Il dialogo fra Roberto Mazzeschi e Fernando De Angelis al Convegno sugli Atti (Siena, dicembre 2015).

Mazzeschi è intervenuto dopo la prima relazione di De Angelis, nel tempo dedicato alle domande. Il dibattito è reperibile su Youtube, dal minuto 57 in poi.

ROBERTO MAZZESCHI. Mi sento in sintonia con certe cose dette, ma la conseguenza è che noi in tutti questi anni, e anzi in questi secoli, abbiamo distribuito in giro quasi un falso.

FERNANDO DE ANGELIS. In un certo senso sì. Bisogna però considerare che Pietro voleva fare un lungo discorso a Cornelio, ma fu interrotto dallo Spirito Santo, che scese su Cornelio dopo che aveva annunciato che attraverso Gesù si otteneva il perdono dei peccati. Secondo Dio, come prima lezione poteva bastare e alla Chiesa è stato dato il compito di fare la “alfabetizzazione spirituale del mondo”, un compito che grossomodo sappiamo fare e abbiamo fatto. Pietro restò pochi giorni con Cornelio, che su Davide e su Mosè aveva presumibilmente idee non chiare e sulle quali perciò improvvisava.

RM. Forse no, perché Cornelio era visitato dagli angeli e aveva già una certa conoscenza dell’ebraismo.

FDA. È vero, ma nel discorso di Paolo all’Aeropago di ebraismo ce n’era poco e, in generale, la prima istruzione degli apostoli ai pagani era di tipo elementare.

RM. Certamente, ma allora noi in questi duemila anni abbiamo fatto un’alfabetizzazione e niente più, perciò la nostra crisi è spaventosa. Anche considerando che siamo in prossimità del ritorno del Signore.

FDA. Consideriamo un altro aspetto. Agostino è definito “Padre della Chiesa” e non solo di quella cattolica, perché Lutero non era forse un agostiniano?

RM. Alla grande.

FDA. Agostino non può però essere il Padre della Chiesa di Gesù e degli apostoli, perché essa c’era già da tre secoli. Noi perciò deriviamo più da Agostino che dagli apostoli e sono quasi duemila anni che ci esercitiamo a copovolgere il Nuovo Testamento. Quando me ne sono reso conto, sono stato fermo un anno e poi ho organizzato un incontro di una settimana con una quindicina di amici, per discutere sulla convinzione che la Lettera agli Ebrei insegna la continuità del Nuovo Testamento rispetto all’Antico, non la discontinuità e il contrasto, ricevendo dai convenuti l’incoraggiamento a proseguire su quella strada.

RM. T’incoraggio anch’io, ma allora abbiamo ricevuto e abbiamo continuato a fare un danno micidiale.

FDA. Non direi un danno. La mia chiave d’interpretazione parte dall’affermazione di Gesù che Gerusalemme sarebbe stata calpestata dai Gentili fino al compimento del “tempo dei Gentili”. Quando gli Ebrei hanno ripreso possesso di Gerusalemme, la città ha iniziato a riacquistare il suo significato e “il tempo dei Gentili” si è chiuso. Costantino e l’orgogliosa cristianità del suo tempo hanno compiuto un’opera simile a quella di Geroboamo, che cercò di sostituire Gerusalemme con un altro luogo di culto, ponendoci delle immagini che dessero l’illusione della presenza di Dio. Nel regno di Samaria quell’operazione è stata sopportata dalla pazienza di Dio per due secoli. Con noi ha sopportato di più perché c’era da portare avanti la “alfabetizzazione spirituale” fino all’estremità della Terra e la fedele trasmissione della Parola di Dio scritta.

RM. Non direi fedele, perché quella Parola scritta ha dentro dei falsi.

FDA. Le traduzioni sì, però possiamo dire che il testo del Nuovo Testamento in greco e quello dell’Antico Testamento in ebraico sono stati trasmessi in modo sostanzialmente affidabile. Io però ci aggiungo un’altra considerazione. Dato che Dio mi ha messo a disposizione queste traduzioni in italiano, le accolgo e parto da esse, perché anche una traduzione imperfetta è una miniera dalla quale si possono trarre infiniti benefici. Sulla via per Damasco, Paolo non incontrò certo una migliore traduzione!

RM. Nonostante tutto sono contento di questo “alto solaio” nel quale dialogare e dal quale può nascere qualcosa di positivo, ma ho una seria pastorale preoccupazione di un cristianesimo prevalente che già di per sé non è credibile e che, sotto un certo profilo, è predicato in maniera scorretta. Critichiamo la “teologia della sostituzione” come affare cattolico, ma molte volte è dentro il nostro mondo e non ce ne accorgiamo.

FDA. È impressionante il capovolgimento che come cristianità abbiamo fatto durante 1.700 anni e che è penetrato profondamente, sia nel nostro linguaggio che nel nostro modo di fare.

RM. Concordo.

 

2.Roberto Mazzeschi: sei ragioni per collaborare al Convegno promosso da Fernando De Angelis.

1.Perché trovo utile rendere pubblico il suo lavoro sul Vangelo di Matteo, consentendo ai più di confrontarlo e condividere anche altri punti di vista, che sicuramente arricchiranno chi ascolta.

2.Perché, pur non condividendo tutto, concordo nell’atteggiamento di vedere nella Bibbia un disegno unitario, dalla Genesi all’Apocalisse.

3.Perché non usa nomi ebraici, quali Yeshua Hamasiach al posto di Gesù Cristo.

4.Perché l’attenzione per l’Antico Testamento non comporta una scimmiottatura dell’ebraismo.

5.Perché Fernando crede che in Gesù abbiamo TUTTO anche noi Gentili.

6.Perché, oltre a fare da Moderatore ai Dialoghi di Fernando De Angelis sul Vangelo di Matteo, avrò l’occasione di dare il mio contributo ed ascoltare le opinioni degli intervenuti.