Fernando De Angelis

PAOLO E GESÙ. Capire meglio Paolo per capire meglio Gesù

 

Paolo e Gesù 1. PAOLO HA OPERATO IN SINTONIA CON GESÙ E CON LA CHIESA

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1.Introduzione a questa nuova serie

2.«Paolo, missionario del Messia Giosuè» (1Timoteo 1:1 a)

3.Pietro e Paolo: complementari e diversi

4.L’intimità di Paolo con Gesù, con il Padre e con lo Spirito

 

1.INTRODUZIONE A QUESTA NUOVA SERIE

In vista della conclusione della prima bozza delle “Note al Vangelo di Matteo”, ho considerato l’utilità di individuare un significato complessivo dell’opera di Gesù fra i Giudei. Dopo un complesso travaglio interiore, ho deciso di sospendere per un po’ quelle “Note” e dedicarmi ad approfondire l’opera dell’apostolo Paolo, con questa che vorrebbe essere una “mini serie”, ma che alla fine potrebbe risultare più ampia del previsto.

I Vangeli costituiscono il fondamento del Nuovo Testamento e possono essere compresi meglio se consideriamo gli sviluppi finali del progetto di Gesù, da lui realizzati attraverso Paolo. Affrontare in modo esauriente la complessa personalità di Paolo sarebbe un’opera al di là delle mie possibilità e degli obiettivi che mi prefiggo, perciò ho semplificato l’approccio prendendo come base la sua prima Lettera a Timoteo, nella quale Paolo ha esposto in modo semplice e sintetico la sua visione della Chiesa, dando significativi squarci su se stesso.

Ho considerato necessario questo lavoro per poter andare oltre a ciò che spesso si pensa su Paolo, respingendo lo schema che vede il “cristianesimo di Paolo” come innovativo, e in certi aspetti contrapposto, a quello di Gesù.

Già l’inizio della 1Timoteo ci offre l’occasione per alcuni chiarimenti preliminari.

 

2.«PAOLO, MISSISONARIO DEL MESSIA GIOSUÈ» (1Timoteo 1:1 a)

La traduzione consueta è: «Paolo, apostolo di Cristo Gesù». Leggendo queste parole, però, difficilmente si coglie il reale significato che avevano al tempo di Paolo. Infatti due parole (apostolo e Cristo) in realtà non sono tradotte, ma ne è stato solo riprodotta la loro pronuncia in greco, mentre in un’altra (Gesù) l’inganno è più nascosto. Si tratta di questioni che abbiamo già affrontato altrove e perciò, dopo aver dato i relativi riferimenti, preciseremo solo lo stretto necessario.

«Apostolo». Essendo una parola non tradotta, appare estranea alla nostra quotidianità. Ad essa è poi facile attribuire significati diversi da quello che aveva in origine, quando «apostolo» significava semplicemente «mandato, inviato», cioè «missionario».

Come al solito, Gesù ha insegnato soprattutto con l’esempio. Avendo definito se stesso come un «inviato dal Padre» (Giov 5:23), era il modello per quelli poi inviati da lui: «Come tu hai mandato me nel mondo, anch’io ho mandato loro nel mondo» (Giov 17:18). Certo, i Dodici hanno avuto un incarico speciale (cfr. le “Note a Matteo” relative a 10:1-5), ma a loro volta dovevano essere un modello di missionario per altri, come i Settanta (Luca 10:1-20) e i discepoli in genere.

Nel definirsi «apostolo» Paolo non rivendicava dunque una posizione, ma un compito, affidatogli da Gesù per mezzo della chiesa di Antiochia (Atti 13:1-3). Sul piano formale, perciò, la qualifica di apostolo poneva Paolo a livello di Barnaba, non di Pietro e dei Dodici. In Atti 14:14, non a caso, si parla «degli apostoli Barnaba e Paolo»; con Barnaba nominato per primo perché, in quel momento, Paolo svolgeva il ruolo di suo giovane aiutante. L’eccezionalità di Paolo, perciò, non era data da titoli formali, cioè dall’essere un apostolo, ma dal modo di esercitarlo, nel quale manifestava straordinari doni ricevuti da Dio.

Mentre Giovanni Battista predicava nel deserto e la gente si recava da lui, Gesù andava di luogo in luogo (Mat 3:1-5; 9:35). Anche i Dodici furono inviati di luogo in luogo (Mat 10:23) e così ha pure fatto Paolo (Atti cap. 13 e segg.). Nel contesto del Nuovo Testamento, perciò, «apostolo» ha il prevalente significato di «missionario itinerante».

«Cristo». È la traduzione greca dell’ebraico «Messia» e ha il significato di «Unto». Vuol dire semplicemente che ci è stato spalmato sopra un po’ d’olio, ma nell’Antico Testamento indicava qualcosa “messo a parte per Dio”. Anche Davide, in quanto re, era un “unto”. Al tempo di Gesù si aspettava un re glorioso discendente di Davide, descritto nei Salmi e dai profeti, indicato come «l’Unto». È evidente che il significato del termine è intraducibile, ma traslitterando la parola ebraica si ha «Messia», che rimanda a un significato da cercare nel contesto ebraico; mentre la forma greca di «Cristo» è spesso percepita come una sorta di cognome di Gesù, dal significato imprecisato (nelle “Note a Matteo, cfr. cap. 2, par. 4 e 5).

«Gesù». Per fare un esempio, se dico che ho conosciuto una persona straordinaria che si chiama Filippo e che è di Parma, per quanto possa essere eccezionale, chi porta il nome di “Filippo da Parma” non può che essere uno di noi. Gesù e Giosuè sono lo stesso nome, ma vengono tradotti in un modo diverso e così non ce ne accorgiamo. Gesù/Giosuè era un nome comune e in Atti 13:6-11 è citato un «Figlio di Gesù» («Bar-Gesù») che Paolo definisce «Figlio del Diavolo», mentre in Colossesi 4:10-11 è nominato un «Gesù, detto Giusto», uno dei pochi rimasti vicino a Paolo durante la prigionia. A quel tempo, perciò, il solo nome di Gesù non lo identificava inequivocabilmente, per questo è spesso riportato con qualche abbinamento: “Gesù di Nazaret” era il suo nome ufficiale, mentre “Gesù Messia” (“Gesù Cristo” in greco) era quello prevalente fra i credenti.

La traduzione «Paolo, apostolo di Cristo Gesù» solitamente usata, insomma, porta molti a pensare a quei quadri dove un Paolo angelico e con l’aureola sembra avere pensieri che vagano sulle nuvole, mentre la Lettera a Timoteo va collocata in un contesto di realismo quotidiano, come la concretezza degli argomenti affrontati spinge poi a fare.

Una comprensione corretta delle prime parole è perciò necessaria, per eliminare quella patina religiosa che ostacola un’interazione più immediata con quanto Paolo vuole trasmettere.

 

3.PIETRO E PAOLO: COMPLEMENTARI E DIVERSI

Sono gli Atti degli apostoli che fanno vedere il complesso rapporto fra Pietro e Paolo, ma su di essi ci siamo già soffermati con un apposito libro (“Ritornare al Vangelo di Pietro e Paolo. Note agli Atti degli apostoli”). Qui non possiamo che limitarci a qualche aspetto essenziale.

Nei primi capitoli degli Atti al centro della scena c’è Pietro, mentre Paolo appare solo alla fine del capitolo 7 e in veste di persecutore. Viceversa, negli ultimi tredici capitoli (cioè 16-28) c’è al centro Paolo e Pietro non è mai citato.

Fra Pietro e Paolo non c’è mai stato un formale passaggio di consegne, ma dopo la conversione di Paolo descritta al capitolo 9, matura sempre più uno scenario adatto all’opera di Paolo, che riappare in modo inarrestabile con l’invito di Barnaba a collaborare per istruire la chiesa di Antiochia, la prima fatta in prevalenza da Gentili (Atti 11:19-26).

Pur iniziando come aiutante di Barnaba e come membro della chiesa di Antiochia, dal secondo viaggio missionario (cioè dopo Atti 15:36) Paolo si è mosso sempre più in autonomia, con la sua impostazione che nella Chiesa finirà per prevalere. In primo luogo per l’ampiezza dei territori evangelizzati con successo, che resero i suoi discepoli come numericamente prevalenti sugli altri. Questa prevalenza numerica diventerà poi egemonica poco dopo, cioè nell’anno 70, quando i Romani distruggeranno Gerusalemme e disperderanno gli Ebrei, riducendo così sempre più le chiese fatte in prevalenza da circoncisi.

Al tempo del Nuovo Testamento la complementarietà con Pietro è espressa da Paolo in Galati 2:7: «A me era stato affidato il vangelo per gli incirconcisi, come a Pietro per i circoncisi». Considerati gli sviluppi, sarà quanto fatto da Paolo a essere il completamento dell’opera di Gesù raccontata nei Vangeli.

Non è sbagliato parlare di “opera di Paolo”, ma molti non si rendono conto che la maggior parte di ciò che attribuiscono a Paolo non è frutto di sue iniziative. Paolo ha infatti eseguito precise istruzioni date via via da Gesù, come vedremo nel paragrafo successivo. Ciò che ha fatto maturare e diffuso, poi, erano stati altri a farlo nascere. È stato Pietro a battezzare il primo non circonciso, cioè Cornelio (Atti 10). È stato Barnaba, come fiduciario dei Dodici ad avviare e organizzare la prima chiesa fatta in prevalenza da non circoncisi, cioè Antiochia (Atti 11:19-24). In quello che viene chiamato «il primo viaggio missionario di Paolo», il principale responsabile era Barnaba, anche se a Paolo veniva riconosciuta una maggiore efficacia nella predicazione.

Barnaba fu assente a partire dal secondo viaggio missionario, ma Paolo continuò a operare con il pieno appoggio della chiesa di Antiochia. Non volendo gestirlo in modo solitario, sostituì Barnaba con Sila (detto anche Silvano, Atti 15:40), che godeva come Barnaba di grande fiducia da parte di Pietro (Atti 15:22; 1Pie 5:12).

Non è perciò corretto affermare che Paolo ha introdotto nel cristianesimo delle novità, perché Paolo ha agito sempre in collegamento con Gesù e mantenendo l’unità della fede con tutti. L’episodio del contrasto fra Paolo e gli altri riportato in Galati 2:11-21 fu una parentesi presto superata, come dimostra ciò che ha scritto Pietro nella sua seconda Lettera, ritenuta da tutti come certamente posteriore a Galati e dove, dopo aver riconosciuto che comprenderlo non sia facile, pone gli scritti di Paolo al livello di quelli dell’Antico Testamento (2Pie 3:15-16).

In conclusione, ci stiamo interessando dell’opera di Paolo perché la vediamo come un tutt’uno con quella del Gesù dei Vangeli. Questa unità è ancora più chiara se consideriamo con attenzione i rapporti “trinitari” di Paolo.

 

4.L’INTIMITÀ DI PAOLO CON GESÙ, CON IL PADRE E CON LO SPIRITO

È noto che non è stato Paolo ad andare incontro a Gesù, ma viceversa. Paolo si è però presto reso conto che quell’incontro era programmato da Dio fin da quando era nel grembo materno (Gal 1:15). L’opera affidata a Paolo non fu perciò improvvisata, ma prevista da Dio prima dell’entrata in scena di Giovanni Battista e di Gesù stesso.

Dopo essergli apparso sulla via per Damasco e averlo sconvolto, Gesù mandò da Paolo il discepolo Anania, al quale disse: «Va’, perché egli è uno strumento che ho scelto per portare il mio nome davanti ai popoli, ai re e ai figli d’Israele» (Atti 9:15). In effetti Paolo si mise subito a predicare con forza, ma gli oppositori ne traevano occasione per accentuare la persecuzione, non per convertirsi. Così i credenti di Gerusalemme (cioè in primo luogo Pietro e i Dodici) lo rimandarono a casa, nella nativa Tarso (Atti 9:20-30).

Nel periodo che va da Atti 9:31 a 11:25 la vicenda di Paolo sembrava simile a un fuoco di paglia, che fa subito un gran fiamma e poi si spegne. Dio invece stava lavorando su più fronti, preparando un ritorno di Paolo efficace e definitivo. Prima di tutto Dio operò in Paolo, che arriverà a predicare raccogliendo molto frutto. Poi nella Chiesa, che attraverso Barnaba capirà quanto Paolo poteva essere utile. Infine operò nelle circostanze, che in Atti 12 diventarono adatte all’inizio di una nuova e gloriosa fase del progetto di Dio, che era quello di portare il Vangelo a tutti i popoli.

Dopo essergli apparso sulla via per Damasco, Gesù non abbandonò Paolo, ma continuò a incontrarlo. Gli Atti ci riportano due episodi, ma c’è da ritenere che non siano stati i soli, anche perché sono raccontati come fossero eventi “normali”. Il primo lo troviamo in Atti 18:9-10, dove Gesù incoraggiò Paolo nella fase iniziale dell’evangelizzazione a Corinto. Il secondo è riportato più avanti, anche se forse è accaduto prima. Testimoniando ai Giudei, Paolo a un certo punto raccontò che, mentre pregava nel Tempio, vide Gesù e dialogò con lui, ricevendo la conferma della missione affidatagli di andare «lontano, tra i popoli» (Atti 22:17-21).

Come per i grandi profeti del passato (cfr. Isa 6; Ger 1:4-10; Eze 1-2), anche per Paolo c’è stata una visione del Padre celeste, che ne ha poi condizionato il comportamento. Lo racconta in 2Corinzi 12:1-10, dove scrive di essere stato rapito fino al terzo cielo e ha visto cose che non può raccontare, ma che gli avevano dato una grande forza per affrontare le difficoltà incontrate nel suo immenso sforzo, teso a portare il Vangelo dove ancora non era arrivato.

Anche la relazione di Paolo con lo Spirito Santo fu molto intensa e ne fu infatti subito riempito (Atti 9:17). Poi lo Spirito disse chiaramente alla chiesa di Antiochia: «Mettetemi da parte Barnaba e Saulo per l’opera alla quale li ho chiamati» (Atti 13:2). Lo Spirito Santo accompagnò Paolo nei suoi viaggi e lo guidò (Atti 13:9), fino a vietargli di continuare a predicare nell’attuale Turchia, in modo da potersi subito dirigere verso ovest e approdare nell’attuale Grecia (Atti 16:10). Quando necessario, per mandare messaggi a Paolo, Dio utilizzò anche gli angeli (Atti 27:23-25).

Tutto ciò per ribadire che Paolo fu un esecutore della volontà di Dio, non l’inventore di un cristianesimo “migliore” di quello di Gesù e di Pietro.